venerdì 31 maggio 2013

Neurosis - The Eye of Every Storm (2004)

Occorre riconoscere ai californiani una funzione importantissima (se non pionieristica) nell'aver superato gli steccati hardcore e metal sapendo elaborare una formula che è sicuramente la summa del post-metal.
Tuttavia, non sono mai stato un grande fan perchè nessun loro disco mi ha completamente soddisfatto nè fatto esaltare come per altre bands, fra cui anche loro evidenti eredi e/o influenzati. Li ho sempre trovati eccessivamente enfatici e dispersivi, potrei dire mitologici in una continua vivisezione della sofferenza che evoca il loro output storico. E' solo una questione chimica, credo.
Indicato come uno dei loro dischi più riflessivi, The eye of every storm non eccede da questa mia personale regola: ci sono spunti notevoli (Shelter, A season in the sky, pregni di scoramento doom, la dolente title-track), ma le loro classiche esplosioni metalliche finiscono per appesantire un contesto che già di per sè è quasi asfissiante. Insomma, non fanno per me.

giovedì 30 maggio 2013

Neptune - Intimate Lightning (2004)

Gruppo bostoniano che da oltre 10 anni porta avanti la filosofia degli strumenti auto-costruiti e di un art-rock abrasivo di quelli unici, che hanno origini e radici illustrissime e continuano la lunga sfida della dissonanza epidermica.
La particolarità di questi strumenti è piuttosto rilevante: il drum kit è pervaso da piatti e lastre di ogni tipo, le chitarre hanno forme improbabili e suonano ben più aspre delle tradizionali dal corpo in alluminio. Ma, a dirla proprio tutta, i Neptune suonerebbero avvincenti anche se fossero in possesso di strumentazione ordinaria.
Intimate lightning può ricordare alcune cose come i This Heat, i Red Krayola, degli Shellac controllati ma colti, in certi momenti addirittura certe pagine sbiadite degli Slint. Sempre carico di tensione sottocutanea, di atmosfere sinistre che esplodono raramente, è un disco complesso di difficile fruizione che non manca di avvincere per il suo percorso articolato e mai banale.

mercoledì 29 maggio 2013

Neil On Impression - The Perfect Tango (2005)

A monte dello splendido L'oceano, questo movimentato tango, che stando ad un intervista fu ispirato ad una Parigi cinematica ed alle sue luci. 
Articolato in 4 movimenti strumentali fra i 7 e i 10 minuti, tutti dai titoli estremamente suggestivi, ci mostra un ensemble in crescita in cui piano, tromba e violoncello si ritagliano ruoli attivi nella costruzione degli arrangiamenti ma restano comunque un po' sacrificati dal fragore delle chitarre e dalle ritmiche poderose, non sempre adatte ad ospitare dinamiche con velleità diciamo pseudo-cameristiche. 
Non che con questo sia a giudicare il disco debole: diciamo c'era da smussare un po' di testosterone e che le potenzialità si intravedevano, infatti dopo 3 anni sarebbero uscite alla grande. In The Perfect tango i momenti belli e suggestivi non mancano, sono soltanto posizionati un po' alla rinfusa.

martedì 28 maggio 2013

Necks - Mindset (2011)

Ad oggi Mindset è l'ultimo album dei Necks e come da titolo prosegue felicemente la loro ricerca mentale, snocciolata questa volta in 2 pezzi da 21 minuti, diametralmente opposti l'uno all'altro.
Rum Jungle è la tempesta perfetta, una baraonda poliritmica che scorre sul wall of sound costruito da gragnuole pianistiche, lo sferragliare incessante dei piatti e le bordate di double bass. Ciò che odo negli ultimi drammatici minuti poi, giurerei essere una chitarra elettrica grattugiata!
Daylights è la sinistra quiete dell'alba, dopo la nottata di bagordi. Ci si aggira fra spettrali tocchi di rhodes, ticchettii di manico, ronzii di quello che potrebbe essere un synth: impossibile non fare un parallelo con la nostrana library degli anni dorati (dopo l'outing dei Demdike Stare sulla passione per il genere, potrebbero sentirsene delle belle anche in Australia). Intorno al decimo minuto si fa vivo anche Buck con un charleston ipercinetico, Swanton traccheggia con l'archetto, l'aria si fa plumbea e sembra che qualcosa stia per esplodere. Invece tutto si tronca all'improvviso, senza neanche un fading nè un rallentamento.
Lunga vita.

lunedì 27 maggio 2013

Necks - Townsville (2007)

Ancora live, ed inevitabilmente altra perla. Townsville e' un po' il loro Strumming music, ovvero una summa del loro minimalismo progressivo che non sta mai fermo, è pacato e sereno come da trademark ma in fondo è anche inquieto e curioso.
Buck lavora esclusivamente sui piatti creando un tappeto di trance scintillante, Swanton passa da ghirigori tremolanti di archetto a cervellotiche escursioni sulla parte più alta del manico, Abrahams sgrana gli accordi a pioggia sul grand-piano ultra-riverberato. Col passare del tempo, man mano che le sue note non lasciano più spazio neanche per un capello, gli armonici si espandono fino a creare stranissime (in)sonorizzazioni.
Townsville è il risultato dell'interplay indistruttibile fra i 3 maestri, un esperimento che circonda l'ambiente e lo ricopre interamente, come tempesta di pulviscono atmosferico, come un eclissi lunare.

Necks - Drive By (2003)

Uno dei maggiori punti di forza del Necks-sound è il saper agire in situazioni sempre diverse nonostante la complessa omogeneità delle loro intenzioni abbia permesso di tracciare un percorso sostanzialmente lineare, atto a rifiutare qualsiasi categorizzazione o standard sotto cui essere etichettati. Il formato dell'impro-suite di un'ora è stato ripetuto svariate volte e forse è quello che esalta di più la loro creatività sottilmente minimalistica: in questo senso Drive by è uno dei loro capolavori assoluti.
E' un gioco di specchi, uno spettacolo illusionistico, la contropartita dei loro concerti, utilizzando le tecniche e gli effetti di studio con parsimonia (pochi gli overdub e pochissima elettronica, qualche campionamento mi pare di bambini che giocano attorno alla mezz'ora), creando atmosfere talvolta sinistre. Prevale l'aspetto ritmico, con Buck-macchina-umana a tirare le redini indefesso, mentre le figure di basso e di tastiere scivolano sfalsate, come scale mobili allineate costanti nell'andatura ma a partenze ed arrivi diversi.
Abrahams si guadagna il riflettore nella seconda metà della suite, con le stratificazioni di organo e le elegantissime geometrie di piano.Sarebbe ingiusto non citare anche Swanton, sempre scomodo ed essenziale a lavorare ai fianchi (questa volta direi con un basso elettrico).
Allo scoccare dell'ora, un frinire insistito di grilli offusca gli ultimi sussulti di questa avvolgentissima conduzione. Si è fatta notte in un attimo.

giovedì 23 maggio 2013

Necks - Piano Bass Drums (1998)

Da quando, un paio d'anni fa, ascoltai per la prima volta Sex, mi sono irrimediabilmente appassionato ai Necks ed ho finito per amare più o meno allo stesso modo tutti i 17 dischi licenziati nel corso della loro ultra-ventennale carriera. E se mi capita di leggere praticamente soltanto giudizi entusiastici da parte della critica nei confronti dell'abstract-jazz minimalistico del trio australiano, un motivo fondato ci sarà.
Per cui, mi sento di dover omaggiare questo lucente percorso con un poker di uscite a cui sono probabilmente più legato (ma di una spanna, non di più) rispetto alle altre.
Laconicamente intitolata Unheard, la jam di un'ora registrata dal vivo contenuta in questo altrettanto laconicamente intitolato Piano bass drums, è una splendida progressione nel loro stile più felpato (attenzione, non raffinato!), che nasce come abbozzo al piano di Abrahams, viene fatta crescere da Swanton al contrabbasso e dal batterista Buck fino ad assumere un (apparente) controllo della situazione, con un tema circolare inizialmente ordinato.
Progressivamente, però, Abrahams impazzisce ed inizia a fare le capriole e i salti mortali, il ritmo sale sino a diventare frenetico, ed il caos ha il sopravvento. L'arte dei Necks è racchiusa in un implicito, comune comandamento: questi 3 uomini sono dei fenomeni, ma il loro scopo è dare importanza alla ricerca e creazione di scenari piuttosto che crogiolarsi nella vanagloria tecnica. Le loro jams sono sculture sonore che non solo trovano il loro senso compiuto al termine, ma calamitano l'attenzione durante la lavorazione.
Al minuto 53 la frenata generale con cui cala il sipario. Applausi.


mercoledì 22 maggio 2013

Nature And Organisation - Beauty Reaps The Blood Of Solitude (1994)

Michael Cashmore, l'anima musicale di Current 93 versante folk apocalittico, debuttò in solitaria con questo progetto caratterizzato da un'orchestrazione ricca e spaziosa. Dal momento che nella maggior parte dei pezzi compare Tibet alla voce, dopotutto si potrebbe definire un appendice (senza assolutamente sminuire l'effettivo titolare) alla discografia di C93 stesso.
Sull'onda di un periodo magico (lo splendido Thunder perfect mind era di un paio d'anni prima), Cashmore realizzò uno struggente disco di musica da camera per chitarra classica, violino, cello e flauto, con i salmi di Tibet intervallati di tanto in tanto ad una soave voce femminile, che apre in gran bellezza con Wicker man song, cover tratta dalla colonna sonora di un film horror del 1973. Non sono certo inferiori però le songs autografe, in particolare Bloodstreamruns, My Black Diary, Tears for an eastern girl, i 2 brevi strumentali di Blood of solitude. 
L'aria è seria e composta, le evocazioni sono di altri tempi; Beauty è uno dei dischi simbolo della corrente di questo folk britannico esoterico che ebbe il massimo risalto in quegli anni.

martedì 21 maggio 2013

Natural Snow Buildings - PM 50 - Peasant Magik Boxset (2010)

Duo francese dedito ad uno psych-folk dronico di antica concezione, un po' sbrodolante ma capace di creare atmosfere magiche, senonchè.....vittima di quella peste dei giorni nostri che lo induce a distribuire maree ed inondazioni di uscite, svilendo così la propria opera.
Non sono certo uno che va alla ricerca col lanternino della perla, per cui dopo aver ascoltato con piacere quello che è indicato come il loro migliore (The dance of the moon and the sun), mi sono imbattuto in questo contributo dei transalpini al validissimo cofanetto della Peasant Magik, che raccoglie 6 EP per altrettante formazioni di diverso retaggio e nazionalità, consigliato.
Curse of the devil apre e Restless cat's paradise chiude, due brevi filastrocche acustiche con voci eteree, gradevoli ma ininfluenti. Il cuore pulsante è costituito dai 20 minuti di The bottomless pit, un colosso di drammaturgia psycho-dronica, un impressionante maelstrom elettro-acustico che fa pensare di essere di fronte a Richard Skelton di Crow Autumn spalleggiato dai Barn Owl più fiammeggianti. Un affresco impressionante.

lunedì 20 maggio 2013

Naked City - Leng Tch'e (1992)

In piena antitesi al contemporaneo Grand guignol che annoverava 41 brevissimi frammenti, Leng thc'e è un pezzo unico di 32 minuti che costituisce non un tributo, ma una mutuazione estrema dei Melvins di Charmicarmicat, ovvero l'esasperazione sludge-doom a base di ritmi lentissimi e mannaie chitarristiche che terminano in feedback fisso. Ovvero un netto anticipo di come si proposero al mondo i Boris qualche anno dopo.
Per quanto sconvolgente fosse questo supergruppo all'epoca, fu una sorpresa relativa: erano in grado di fare qualsiasi cosa, e Zorn di concepire questo ed altro. Oltretutto lo schema strutturale del colosso non è neanche prevedibile perchè varia sensibilmente, ed intorno al 20° minuto succede un po' di tutto: Baron incalza il ritmo, entra Eye a seminare il panico con le sue urla belluine ed entra Zorn col suo sax spacca-vetri a starnazzare le note più alte che si possano emettere, fino a dominare il finale con un assolo psicotico dei suoi.
Recupero obbligato per gli stretti amanti del genere.


domenica 19 maggio 2013

Nahvalr - Nahvalr (2008)

Stravaganza compiuta dai grandi Have A Nice Life (a quando un nuovo disco???): si sono fatti spedire demos/registrazioni da amici e fans, le hanno assemblate, manipolate ed ecco qua Nahvarl.
Progetto che ha pochissimo o nulla a che fare con HANL: si sa che i due hanno una passione per il black-metal, e buona parte del disco verte su queste radici, anche se adeguatamente riadattate per l'occasione.
Quindi, un coacervo di distruzioni b-m, di vortici drone-doom, di lugubrità ambient-metal, persino martellate di power-electronics, pennellate di gothic-gaze vagamente reminescenti del duo Barrett/Macuga. Il tutto improntato su basi (obbligatoriamente?) troppo lo-fi per catturare un'attenzione profonda: si sente che qualche buono spunto c'è, ma la produzione è troppo importante quando si maneggiano queste sonorità, per cui Nahvalr è da considerarsi poco più che una curiosità.

sabato 18 maggio 2013

Nadja - Thaumogenesis (2007)

Monolite traslucido di dream-doom per i Nadja. Non posso davvero fare a meno di imprecare per l'assurda quantità di lavori diffusi dal duo, perchè di fronte ad un colosso così affascinante viene il sospetto che nel pagliaio ci siano altri solchi di questa qualità.
Si possono definire come si vuole: trasfigurazione romantica dei Sunn O))), dei Jesu purgati di ogni forma-canzone, dei primi Earth in bagno lisergico. Thaumogenesis è un viaggio orario che destabilizza qualsiasi concezione di post-rock, pur ricalcandone le classiche strutture; partenza quieta, ascensione del pachidermico e gigantesco muro di chitarre, break angelico con stratificazione di tastiere ambientali, ripresa del panzer ancor più amplificato, fase spezzata con alternanze di tutto, stasi ed abbandono, ripresa finale con climax incontrollabile fino allo spegnimento.
Detta così, sembrerei quasi denigrare il tutto. In realtà, specialmente per chi ama questa specie di doom-gaze espanso, Thaumogenesis azzecca il centro delle proprie intenzioni, cioè accompagnare l'ascoltatore in una cartavetrosa dimensione trascendentale. Funziona veramente, anche dopo 2-3 ascolti continuativi.
Avvincente.

venerdì 17 maggio 2013

My Cat Is An Alien - Landscapes Of An Electric City - Hypnotic Spaces (1999)

Debutto dei fratelli Opalio, che fece scalpore perchè Moore dei Sonic Youth dichiarò pubblicamente il suo amore nei loro confronti al punto di farli uscire sulla propria label: scalpore non certo per discutere sulla portata del progetto, ma perchè non ci si capacitava di come il loro demo fosse potuto capitare nelle mani del carismatico indie-hero.
Ma tant'è, a volte nella vita un pizzico di fortuna ci vuole. Due titoli raggruppati e letteralmente diversi: il primo è diviso in 3 movimenti per un totale di 45 minuti, e mostra il lato più ostico e sperimentale dei bros: un pigro e tristissimo arpeggio di chitarra acustica viene periodicamente sfregiato da un monotonale fischio elettronico e da clangori industriali che dopo un quarto d'ora prendono il sopravvento su tutto, facendo deragliare il movimento verso il rumorismo più incompromissorio: il secondo è un odissea galattica senza tregua, venata (vessata) da malformazioni psichedeliche di fattezze amorfe. Il terzo movimento attenua la devastazione andando a planare su folate inerti, con i fischi ormai in lontananza.
L'influenza industriale è palpabile ma i MCIAA riescono a farla passare in secondo piano.
Hypnotic Spaces normalizza il sound al punto che sembra di trovarsi di fronte ad altri personaggi: le schitarrate, il ritmo incalzante e la voce agitata di Spaces, il giro indolente di Stop moving trees e il folk beffardo di Things could happen sono molto interessanti ma non hanno nulla a che vedere con Landscapes, eccetto le pur ingombranti spirali rumoristiche. Probabilmente furono queste a colpire Moore.
Una saga che continua tutt'oggi, fra alti e bassi, ma la cui rilevanza internazionale è riprovevole e degna di ammirazione.

giovedì 16 maggio 2013

MX-80 Sound - Crowd Control (1981)

Insieme all'indiscusso capolavoro Out of the tunnel, questa è la seconda testimonianza della fase più eversiva della frammentatissima carriera, ovvero del periodo in cui erano alla Ralph Records dei Residents.
Ed è ancora più incendiario e concitato del sopracitato, indugiando in un art-metal squadrato e sempre più dominato dal chitarrista d'assalto Bruce Anderson, con Stim spesso dedicato alla seconda di supporto e meno dedito al sax.
Delle aperture pop resta ben poco, ovvero la mesmerica Obsessive devotion e se vogliamo è pop angolare anche l'inciso di More than good. La stragrande maggioranza del disco è fatta di sincopi ritmiche continue, di progressioni epidermiche da brivido, di strutture convulse al punto che alla fine arriva proprio come una boccata d'aria Promise of love, placida (almeno a metà) confessione che una decina d'anni dopo fu pressochè rivelata al mondo nientemeno che dai Codeine.
Così si potrà dire anche che i grandi MX-80 hanno persino anticipato qualcosa dello slow-core.

mercoledì 15 maggio 2013

Movie Star Junkies - A Poison Tree (2010)

Mi viene in mente quel sitùcolo in cui un simpaticone prelevava il verbo di Vasco Brondi e tramite un generatore random ne costruiva fantomatiche liriche alternative alle originali.
Lo dico con vera ironia e senza disprezzo, i torinesi MSJ sembrerebbero essere in possesso di un  simile generatore la cui fonte è la musica di Nick Cave, diciamo quello più elettrico.
A poison tree è piacevolissimo e non mancherà di incuriosire i fans dell'australiano, navigando nelle acque più torbide di un grottesco blues gridato a squarciagola e forte di songs irresistibili come Saddest smile, Almost a god, Leyenda nera, Hail.
Non voglio ridimensionare la loro portata artistica asserendo che si tratta di poco più che un tributo. Ripeto, il disco trascina e coinvolge, e basta prenderlo per quello che è.
Maudit lacerati nell'anima.

martedì 14 maggio 2013

Mount Eerie - Clear Moon (2012)

Pur incarnando l'ideale veste di cantautore deviato, eclettico ed estremamente personale, non sono mai impazzito per i dischi di Elverum. A volte l'ho trovato sfocato, troppo eterogeneo e confusionario, che non rappresentano necessariamente dei difetti; soltanto non è mai scattata la molla dell'invaghimento.
Sorprendentemente, Clear moon dell'anno scorso invece mi ha colpito al cuore fin dal primo ascolto. In questo caso, un'aurea di dolente romanticismo, ancor più evocativa della bella immagine di copertina, rende fenomenale la prima metà dell'output. Through the trees pt. 2, The place lives, The place I live, Lone bell, infarciti di arrangiamenti quasi cameristici, elevano la base folk ad una dimensione ultraterrena, di cui non trovo paragoni al momento.
Susseguendo, Elverum calca la mano sull'aspetto mistico della propria visionarietà, ma in maniera del tutto eterodossa: il salmo femminile di Over dark water, l'imponente sinfonia Clear moon, la serenità improvvisa di Yawning sky, conducono con lievi turbative al termine di questa splendida escursione in cui la calma e delicata voce è stata una preziosa didascalia.

lunedì 13 maggio 2013

Bob Mould - Workbook (1989)

Non so quali fossero le aspettative al tempo, ma di sicuro Workbook fu una bella rinascita per Mould. Visibilmente dimagrito, sceso dal treno ad altissima velocità HD senza farsi troppo male, tornò con questo disco che con esso non aveva proprio nulla a che fare, almeno a livello strumentale.
L'ispirazione acustica è preponderante, e a spingere al massimo ne venne fuori un rockettone sbracato come  Whichever way the wind blows, posto a fine linea. L'ausilio sparso di un violoncello donò intensità maggior ad un impianto scarno e professionalmente quadrato, di cui evidentemente Mould o chi per lui non si curava in maniera maniacale. Furono le canzoni, come sempre, ad avere la massima importanza.
Nonostante l'angoscia esistenziale che attanagliavano l'uomo, Workbook aveva buona lena ed atmosfere generalmente positive, nonchè quel sentore agreste che lo portavano a rivaleggiare alla pari in casa degli ancora non imbolsiti R.e.m.. Su tutte Wishing well, Poison years, Lonely afternoon, Dreaming I am, e soprattutto la commovente Sinners and their repetances.

venerdì 10 maggio 2013

Motorpsycho - Little Lucid Moments (2008)

Quanto affetto e simpatia che serbo per i Motorpsycho...Gli anni passano, il panorama musicale potrà anche essere oggetto di discussioni infinite ma Snah e Bent sono sempre lì, con i capelli lunghi e le facce divertite, i loro dischi nuovi (per modo di dire) e la loro genuina, ruspante semplicità.
Saltando a piè pari il pistolotto passatista, devo dire che Little lucid moments è stato sicuramente il loro miglior disco degli ultimi 10 anni, ma forse più per le carenze degli altri prodotti che per reali meriti artistici. Al di là della rimarcabilissima She left on the sun ship, in grado di evocare momenti importanti (a tratti mi rievoca la gloriosa S.T.G.), LLM si muove su canovacci di massima sicurezza: tirate strumentali a metà strada fra Grand Funk Railroad e Blue Cheer, pause ed aperture psichedeliche, armonie vocali di gusto classico, brio passatista, vigore salutista.
A convincere è la sequenza di come sono disposti gli episodi: pur non essendo propriamente un capolavoro, Little Lucid Moments evita magniloquenze o superamenti dei limiti in cui spesso i Motorpsycho sono incappati di recente.

mercoledì 8 maggio 2013

Motion Sickness Of Time Travel - Seeping Through The Veil Of The Unconscious (2010)

Debutto su Digitalis per la georgiana Rachel Evans, dedita ad un ambient vintagistica rigorosamente analogica che deve molto (moltissimo) alla stagione tedesca degli anni '70. 
Qualche similitudine con Grouper c'è: atmosfere dilatate, vocalizzi eterei, tastierame in multistrato. Al contrario della Harris che però a volte si sbilancia su campi dream di derivazione 4AD, la Evans si tuffa a pesce in un universo di 40 anni netti fa. Ed acuisce quel grande difetto che proprio non digerisco: l'incontinenza incontrollata (16 dischi e 9 EP in 4 anni).
Non dovessi ascoltare più nulla di questo progetto, i quasi 50 minuti di Seeping intanto lasciano un discreto ricordo, fornendo tessiture oniriche di buon fascino, elaborate su profondissimi tappeti di synth, organi, moog lasciati galleggiare e tirate per le misure giuste (al max si raggiungono i 12 minuti, tutti tollerabili). Due le curiosità rilevanti: una che il pezzo migliore però è il più breve (la bellissima Mental Projection, allineabile alle cose migliori della Harris), l'altra è che Magnetism mi ricorda un po' il Battiato di Clic. 
E' inevitabile per chi sceglie di girare le spalle al presente, un po' come, ad esempio, per i Cloudland Canyon; tributi dignitosi e piacevoli per i nostalgici, e nulla per cui esaltarsi.

martedì 7 maggio 2013

Mothlite - Dark Age (2012)

Stamattina, ascoltando il disco a scatola chiusa in auto (non ricordavo assolutamente chi si nascondesse dietro la sigla Mothlite), ho pensato: ma chi sono questi matti che fanno musica così desueta?
Poi, corso a ri-documentarmi e, scoprendo che è il progetto solista di O'Sullivan, sono rimasto sconcertato. Tutt'ora sono privo di bussola: svoltando completamente rispetto a più o meno tutto ciò che ha fatto fino ad ora, Mothlite assembla synth-wave-electro-pop che nello spirito arriva come uno schianto dalla metà degli anni '80, ma nella produzione è dannatamente attuale e ben confezionato. 
O'Sullivan compone, suona e canta con un appeal che potrebbe allettare fette di mercato potenzialmente vaste. Il mio disorientamento riguarda il contenuto del materiale, che è molto altalenante: ci sono pezzi stupendi come Wounded lions, The underneath (ereditate dei migliori Tears For Fears), Something in the sky (Talk Talk epoca The colour of spring), Milk, Red Rook e Seeing the dark, con gli arrangiamenti più modesti e le arie più raccolte, capaci di accendere magia. 
L'altra metà invece eccede un po' sul lato piacione e ruffiano oppure si fa fuori luogo quando i ritmi diventano da discoteca. Sarebbe bello se O'Sullivan si decidesse ad affrontare il progetto con le idee più focalizzate verso almeno un paio di direzioni, invece di disperdere il proprio talento in troppi rivoli. Se scegliesse quelle che piacciono a me, poi....

lunedì 6 maggio 2013

Ennio Morricone - Controfase (1972)

Rara incursione del premiatissimo in ambito library. Controfase è, manco a dirlo, un piccolo capolavoro sperimentale, teso fino allo sfinimento, in cui il naturale talento del compositore si sgretola in 8 numeri di  sfiancante astrattismo, spesso atonale, inquietante ma quanto mai distante da cliches horror e/o affini: anche in un campo così ostico riusciva ad essere peculiare fra i talentuosissimi colleghi contemporanei (eh, la magia dei settanta non ha mai fine...).
Fu pubblicato sulla gloriosa Gemelli nel 1972 e non è mai stato ristampato; non è dato di sapere cosa diavolo potesse sonorizzare, ma è la solita domandina che non necessita di risposta. Questi 33 minuti di dadaismo terroristico sono soltanto da ascoltare.
Apre la minacciosa title-track con archi tempestosi e sfibrati che ondeggiano impazziti: un drone di synth li silenzia progressivamente. Tempo assomiglia un po' ai collage aleatori tastieristici di Fabor, ma è soltanto la traccia più leggera. La stasi allucinogena di Soli piomba come miraggio desertico, fra pennate sparse e stridori acutissimi. Come sommersi prosegue il percorso (psichedelico? dadaista?) su liquidi tappeti (celesta? harpsicord?) che ci consegnano al luciferino, choccante, lato B.
Con ferma ostinazione riparte con la marcia degli archi cupissimi. Follia è allo stato puro: percussioni trovate, squittii di tromba smorzati, tagliuzzati e riverberati, qualche botta al piano buttata lì. Degenerazione è un muro di sirene di synth pre-MB, Eclissi seconda chiude come proseguimento di Come sommersi, ma con un espansione maggiore dei toni.
Un Morricone molto più che diverso.

domenica 5 maggio 2013

Morphine - Yes (1995)

Svolta cruciale per Sandman, un  per la luce. Come può criminalmente accadere a chi crea una formula unica al mondo, a lungo andare si rischia di esser tacciati per incapaci di rinnovarsi. Per me non sarebbe affatto stato un problema il ripetersi in serie di Cure for pain e di Good, a condizione che le songs fossero state altrettanto emozionanti. Ma si sa come può essere a volte la stampa, e così anche questa volta fu silenziata da un'altro gioiello di grunge implicito.
Yes, oh yes. Dinamico, a tratti sfrenato, il terzo disco che fece saltare sulla sedia, che aveva l'effetto ebbrezza dopo i cunicoli di eccitante ombrosità. Honey white, Supersex, Scratch, Radar, Sharks, All your way sfoderavano una vigoria che sembrava fuori dal dna dei bostoniani, abbinata alla solita capacità inebriante di Sandman di scrivere col botto annesso.
Eppure, restando sul sentiero tracciato in precedenza, Whisper, Free love (doom!), I had my chance, se ne restavano dietro il bancone di quel fumoso bar metropolitano che sornione accattava storie e le restituiva con fare compassato, esclusivo, sandmaniano.

sabato 4 maggio 2013

Roy Montgomery - The Allegory of Hearing (2000)

Caleidoscopio di chitarrismo in continuo strumming, tutto concentrato alla creazione di scenari ed immagini di grande ampiezza. Autorevole performer neozelandese, come altri conterranei suoi contemporanei beneficiava della visionarietà giusta per poter mettere in campo la sua idea di libertà espressiva, senza filtri ed una congiuntura temporale favorevole.
Un suono che sembra tridimensionale, tanta è la profondita che Montgomery riesce ad estrapolare dalla propria chitarra, pulita e settata con un riverbero ai massimi livelli, accompagnata solo in pochi frangenti da un organo o da qualche timido battito percussivo. Al primo ascolto sembra quasi concedersi al minimalismo, visti gli svolgimenti ossessivi e il calcare la mano sullo stesso riff sino allo sfinimento. Al primo ascolto sembra un po' noioso, ma dopo aver insistito un attimo arriva l'alba e l'individuazione delle tracce migliori: una su tutte la suite Vessel sublime, ma anche From a promontory e Above all, compassion.
Non da gridare al miracolo come ha fatto PS; qualche buon panorama, sì.

venerdì 3 maggio 2013

Monster Magnet - Superjudge (1993)

Dico veramente, oggi pensavo di scrivere su Powertrip e lo ascoltavo perchè mi chiedevo "ma per quale motivo i MM post-Dopes to infinity sono sempre stati così scadenti? Non è che mi sono sbagliato?"
Raramente mi auto-smentisco, e neanche stavolta è successo. Così meglio buttarsi su un masterpiece come Superjudge, che ai tempi passavo in heavy rotation sul mio stereo, mi dava una carica stupefacente e veniva osannato da Beppe Riva su Rockerilla. Era il top dello stoner, era più diretto e viscerale dei pur grandi Kyuss, e quant'altro. Poteva piacere al freak amante degli Hawkwind, al nostalgico dei primi Stooges e Blue Cheer, e non dispiaceva neanche al grunge-kid.
Non lo ascoltavo sicuramente da più di 10 anni ma ancora oggi, al di là dell'aspetto affettivo, Superjudge resta un grande disco, anche grazie ad una perfetta produzione major che rendeva giustizia al loro sound (non come il predecessore Spine of God, dall'impatto un po' smorzato nonostante l'eccelso materiale, su indie), con pochi momenti sottotono e tanti vortici di effetto devastante, come succede nella prima metà: Cyclops revolution, Twin Earth, Superjudge, Cage around the sun sono i perfetti manifesti del loro space-core che non sa solo assestare mazzate e far schizzare orbite ma sa anche fornire momenti di meditazione astrale. Nel secondo lato invece s'intensifica la pesante influenza Hawkwind, con l'inevitabile cover Brainstorm e la quasi cover Dinosaur Vacuum, ci sono rocciose entrate hendrixiane (Elephant Bell, Stadium) ed il tradizionale omaggio al raga indiano con la conclusiva Black Balloon.
Acquisisce così peso la mia opinione che, a partire da Powertrip non sono più stati i Monster Magnet, ma il mestierante Wyndorf con dei freddi collaboratori, tutti intenti a versare contributi a scapito del passato.

giovedì 2 maggio 2013

Monochrome Set - Strange Boutique (1980)

Gruppo inglese di culto (leggesi = mai famoso, per non dire sfigato a non aver avuto successo in un periodo così fertile) al suo primo disco. Generalmente chi debuttava nel 1980 in UK era minimo minimo interessante, e i MS mancavano al mio appello.
Trattasi di pop frizzante derivato dai sixties, a volte con le ritmiche poderose della wave, un po' ruffianello, con melodie abbastanza scontate. Due i nomi che tiro in ballo all'ascolto: gli XTC e i Feelies. Parole grosse? Non avevano il songwriting  dei primi e non avevano neanche l'impeto pazzoide dei secondi. Inoltre, il cantante aveva un tono da perenne svogliato che personalmente dopo un quarto d'ora mi ha già stancato.
Scarti wave che in fondo non lo erano neanche (wave).

mercoledì 1 maggio 2013

Moltheni - Fiducia Nel Nulla Migliore (2001)

Imponente, è l'aggettivo che mi sovviene pensando a Fiducia. Il suo miglior disco? 
Motivi: la presenza chitarristica fragorosa, la produzione piena, l'enfasi emotiva all'ennesima potenza, Fiduca è di fatto una catarsi che lo porterà al lungo silenzio quadriennale da cui riemergerà molto intimista.
Imponente perchè contiene il solito manipolo di composizioni clamorose; Educazione all'inverso, Qualsiasi aprile, Curami Deus, In me, esplodono con una grinta strumentale allora inedita (ed in seguito mai più riproposta da Umberto). Ai tempi risale anche un disco fantasma che si diceva essere molto duro, e vien da pensare che queste 4 perle fossero di quell'imprinting.
Anche le cose più accessibili sono di livello altissimo: Il bowling o il sesso, Mondodown, Misma, Ridi Irene  Ridi in un mondo migliore avrebbero riscosso ampio successo. All'universo meditativo una sola puntatina, ma di una bellezza stratosferica, Zona Monumentale.
Non è stato il suo migliore disco, no. E' che Umberto è semplicemente il miglior cantautore italico degli ultimi 15 anni.