Da quando, un paio d'anni fa, ascoltai per la prima volta Sex, mi sono irrimediabilmente appassionato ai Necks ed ho finito per amare più o meno allo stesso modo tutti i 17 dischi licenziati nel corso della loro ultra-ventennale carriera. E se mi capita di leggere praticamente soltanto giudizi entusiastici da parte della critica nei confronti dell'abstract-jazz minimalistico del trio australiano, un motivo fondato ci sarà.
Per cui, mi sento di dover omaggiare questo lucente percorso con un poker di uscite a cui sono probabilmente più legato (ma di una spanna, non di più) rispetto alle altre.
Laconicamente intitolata Unheard, la jam di un'ora registrata dal vivo contenuta in questo altrettanto laconicamente intitolato Piano bass drums, è una splendida progressione nel loro stile più felpato (attenzione, non raffinato!), che nasce come abbozzo al piano di Abrahams, viene fatta crescere da Swanton al contrabbasso e dal batterista Buck fino ad assumere un (apparente) controllo della situazione, con un tema circolare inizialmente ordinato.
Progressivamente, però, Abrahams impazzisce ed inizia a fare le capriole e i salti mortali, il ritmo sale sino a diventare frenetico, ed il caos ha il sopravvento. L'arte dei Necks è racchiusa in un implicito, comune comandamento: questi 3 uomini sono dei fenomeni, ma il loro scopo è dare importanza alla ricerca e creazione di scenari piuttosto che crogiolarsi nella vanagloria tecnica. Le loro jams sono sculture sonore che non solo trovano il loro senso compiuto al termine, ma calamitano l'attenzione durante la lavorazione.
Al minuto 53 la frenata generale con cui cala il sipario. Applausi.
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