sabato 30 maggio 2020

Sausage ‎– Riddles Are Abound Tonight (1994)

Raggiunto già un ragguardevole successo con i Primus, Les Claypool volle togliersi la soddisfazione di riesumare la sigla che li aveva anticipati, e che in qualche modo aveva mancato di pochissimo il lancio su larga scala, forse anche per ringraziare i due compagni (Lane e Huth, certamente validi ma una bella spanna sotto Alexander e Lalonde). RAAT si ricollega inevitabilmente ai Primus, non fosse soltanto per lo stile pirotecnico di Claypool, di cui fornì in quest'unico album una versione scura, secca e senz'altro meno creativa. Di fronte a queste piccole sentenze, si potrebbe pensare ad un disco poco riuscito o una distrazione; invece nel suo complesso si merita una bella menzione, perchè esprime una tecnica tutta sua nel saper creare atmosfere surreali quanto fisicamente prestanti. Il trio si è riunito lo scorso capodanno per un live. Mi piacerebbe tornassero anche in studio.

giovedì 28 maggio 2020

Mamiffer ‎– The World Unseen (2011)

Dopo le prodezze del primo album e la conferma (seppur contaminata) del secondo, Faith Coloccia ha dovuto fare seriamente i conti con una valanga di split ed un brutto live (Statu Nascendi) che ne hanno ridimensionato la statura guadagnata. Il ritorno quindi ad un formato più curato e preparato, con questo The World Unseen, è stato più che benvenuto, anche se Aaron Turner continua a invadere il campo artistico con esiti alterni.
Come ad esempio nell'interminabile Domestication of the Ewe, 26 minuti riusciti soltanto a tratti, cioè quando la Coloccia prende il comando delle operazioni col suo piano compassato ed epico. Ovviamente il meglio del disco sta nella ricetta che ci è più cara, quella delle splendide 13 Burning Star, Mara, Parthenogenesis, Flower of the field, che segnano anche una maggiore cura e stratificazione delle parti vocali. Quindi un disco che sarebbe stato più bello se messo maggiormente a fuoco, ma in fondo bastano le parti speciali per azzerare le incertezze e gli sbrodolamenti.

martedì 26 maggio 2020

Screams From The List #95 - L. Voag ‎– The Way Out (1979)

Ennesima scheggia di follia, imprevedibilmente dalla Perfida Albione, ad opera di tal Jim Welton, bassista degli Homosexuals, gruppo DIY uscito dal punk ma arrivato persino ad incidere per la Recommended di Chris Cutler a metà anni '80. 
The way out, originalmente autoprodotto, fu ristampato nel 1997 con un espansione che non ha fatto altro che scompigliare ancor di più il banco di un oggetto non identificabile, composto di due parti: House (X-Axis), la parte musicale, composto di 7 pezzi sbilenchi fra avant-rock, reggae demenziale, jazz deviato, surf zoppicante, cabaret e folk. Irresistibile.
La seconda, Chat (Y-Axis), virtualmente ampliata dalle numerose bonus track, è un coacervo di tracce molto brevi, sotto i 2 minuti, in cui succede letteralmente di tutto, fra musica concreta, deliri fuori controllo, nastri in reverse, cantilene spettrali abbozzate, e collage di praticamente un po' di ogni fonte sonora possibile.
Un calderone forse fin troppo dispersivo; difficile riuscire a seguirlo. Ma tanto lo scopo era di shockare, e Welton riuscì ad ottenere lo scopo perfettamente. Non ci fu alcun seguito.

domenica 24 maggio 2020

Agitation Free ‎– Last (1976)

Terzo e postumo degli AF, uscito a gruppo già bello sciolto. In teoria un prodotto minore, in realtà un live che rialzava, seppur solo per la gloria, le quotazioni di una kraut entità esordita con bel botto nel 1972 e poi attenuatasi col secondo del 1973, un po' lambiccato e meno epidermico al confronto.
Con i synth spaziali di Michael Hoenig sugli scudi, Last ha il pregio di coprire tutte le aree in cui gli AF sapevano eccellere, dalla contemplazione cosmica alla cavalcata lisergica (alla Amon Duul, per intenderci). La facciata A, registrata in Francia nel 1973, mette in mostra l'inedito Soundpool ed una ripresa di Laila II che fa un figurone rispetto a quella in studio del secondo disco.
La facciata B è live in Berlino 1974, con i 23 minuti della mono-tonica Looping IV, metà minimalismo sintetico e metà jam alla Saucerful Of Secrets memoria.
Un trip che va preso per come è, senza troppe pretese, ma nel suo complesso bello spontaneo.

venerdì 22 maggio 2020

Uzeda ‎– Quocumque Jeceris Stabit (2019)

A chi piace tanto '90s è sicuramente gradito questo inatteso ritorno degli Uzeda dopo ben 13 anni di silenzio, ancor di più se registrato da Steve Albini.
E' come se il tempo si fosse fermato, al punto che le potremmo definire le cariatidi del noise-rock nostrano, con un termine ingeneroso ma in fin dei conti veritiero.
Ma come negare che gli Uzeda siano aggrappati ai loro standard, con piccole variazioni forse legate all'invecchiamento (chitarre più spigolose che distorte, la voce della Cacciola che prende inusitate inflessioni alla Siouxsie), senza qualsiasi speranza di rinnovamento?
Terminato il pistolotto morale, questo disco dal titolo in latino è formalmente perfetto ed esce per la Temporary Residence in America, esplora più o meno tutto il ventaglio emotivo del loro songwriting ed è il 5° in quasi 30 anni. Cosa chiedere di più ad una band che è nata soltanto nella terra sbagliata?

mercoledì 20 maggio 2020

Ataraxia – The Unexplained (Electronic Musical Impressions Of The Occult) (1975)

Certamente non l'act gotico italiano uscito negli anni '90, bensì Mort Garson, compositore statunitense e pioniere del Moog a partire dagli anni '60 con un capitolo isolato a nome Ataraxia che, come da sottotiolo, sonorizza impressioni dell'occulto. Ed è un irresistibile lotto di tracce effervescenti, di girandole elettroniche che, seppur dal suono inevitabilmente antico, riscontra anche qualche anticipazione della techno-trance di un 15 anni dopo, grazie alle ritmiche ossessive ed in qualche caso con pompa-cassa, come nella title-track. Gradevolissimo.

lunedì 18 maggio 2020

Grale ‎– Eternity (2012)

Uno degli ultimi progetti dei venerabili Bruce Anderson e Dale Sophiea, sempre più duramente e puramente dediti all'astrazione sonora. In Grale si avvalgono di un addetto all'elettronica che affianca il barbuto DS, tal Gregory Hagan. I due mettono in scena un architettura post-atomica, fatta di nebbie radioattive, di droni fendenti nel buio della notte glaciale, di scenari raggelanti, di sparuti ritmi industriali, su cui Mastro BA indugia sulla sua vena più meditativa e compassata, quella che da diversi anni a questa parte ha preso il sopravvento. Sono quasi 80 minuti di gorgo sonoro a cui non si può fare altro che arrendersi a mani alzate. Questi due sessantenni hanno ancora tanto da dire.

sabato 16 maggio 2020

Captain Beefheart – Doc At The Radar Station (1980)

Il penultimo atto dell'ultimo, fantastico, irripetibile Capitano, ad integrare quella bestia lucente rinnegata ed il gelato finale per corvi. Best Batch Yet, Hot Head, Ashtray Heart, Dirty Blue Gene, Sheriff of Honk Kong, Telephone. Serve dire altro?
Le radici del math-rock, la palude ispida del blues sfigurato. Il licantropo cubista. Il genio puro, nudo e crudo.

giovedì 14 maggio 2020

People – 3 X A Woman: The Misplaced Files (2014)

Il progetto del grande Kevin Shea insieme alla cantante/chitarrista Mary Halvorson, per un indie-Rio(t)-jazz spostato e spassoso (oserei definirlo una versione femminile e cantautoriale dei Talibam!), alla prova del nove col terzo e per adesso ultimo album. Verifica perchè dopo due album interessanti ma un po' troppo scarni qui trovava una focalizzazione migliore, grazie all'inserimento di un bassista e di un trio di fiati senz'altro appropriati. Irresistibili soprattutto i pezzi da un minuto, schizzi imprendibili di gentil follia che formano un'ammasso all'apparenza inconciliabile: il compassato cantautoriato della Halvorson con il furibondo e selvaggio drumming dell'eterno Shea (peraltro autore delle liriche, e come si evince da video sottostante, autentico istrione da palco e dotato di un auto ironia che difficilmente si riscontra in musicisti così dotati).

martedì 12 maggio 2020

Thin White Rope ‎– The One That Got Away (1992)

Il lungo, commosso addio dei TWR nel loro concerto terminale in Belgio, nel giugno del 1992. Un live torrenziale (26 pezzi!), che pesca da tutto il loro aureo repertorio, registrato perfettamente, con lo spettacolo delle due lead guitar e soprattutto la realtà dei fatti comprovata alla riprova: Guy Kyser è stato uno dei più grandi cantanti di sempre. Il suo ruggito granitico non cede mai, ed è il simbolo principe del TWR output: un desert-rock arroventato, in grado di passare da momenti drammatici a disimpegno e divertimento nel giro di un angolo.

domenica 10 maggio 2020

Comet Is Coming ‎– Trust In The Lifeforce Of The Deep Mystery (2019)

Trio londinese (sax, batteria e tastiere) che propone una fascinosa mistura di jazz ed elettronica. I paragoni ingombranti (Sun Ra, Alice Coltrane) dopotutto ci possono anche stare, vista la relativa patina vintage del suono (per quanto riguarda i timbri, chè la registrazione è ottimale) trasferita su partiture strumentali mai sbrodolate e contenute su una media di 5 minuti per tema.
La cosa bella inoltre è che nessuno dei tre ci tiene a pavoneggiarsi particolarmente, in fatto di tecnica. Ne consegue un disco mai cervellotico, trascinante nei pezzi più sostenuti, onirico in quelli più contenuti, risultando alla fine fresco, estivo e coinvolgente.

venerdì 8 maggio 2020

Dolphin Brothers ‎– Catch The Fall (1987)

Bros, anche no. Steve Jansen e Richard Barbieri ci provavano, qualche anno dopo che il fratello del primo aveva mollato la nave Japan lanciata al successo. Catch the fall resterà un episodio non replicato, su Virgin, auto-prodotto ed all'insegna di un art-pop che non può non ricordare la casa madre, ma in un accezione più synth-oriented, per non dire ballabile. E la caratteristica più clamorosa resta senza dubbio la voce di Jansen, che non tradisce i geni e richiama in modo impressionante quella del fratello, che nello stesso anno raggiungeva il cielo con tutt'altre sonorità. Un po' di ritardo ci poteva stare, per quelli che erano stati importanti gregari. A parte qualche ruffianeria dopotutto digeribile, resta un disco gradevole con almeno due chicche memorabili, come My Winter.

mercoledì 6 maggio 2020

Bill Wells And Aidan Moffat ‎– The Most Important Place In The World (2015)

Le due barbe associate ci hanno riprovato, 4 anni dopo un debutto deludentissimo (Everything's getting older, 2011) e le cose sono andate di gran lunga meglio. Merito indubbiamente del songwriting di BW, decisamente più ispirato perchè in gran parte consono al canto ombroso e soffiato di AM (chi lo segue da lungo tempo non potrà non notarlo, che sembra sempre più intonato col passare degli anni!). Fin dall'accoppiata iniziale On The Motorway / VSH-C, melanconici e soffusi motivi guidati dal piano, si capisce che le melensaggini non faranno parte del lotto come il suo predecessore. Lungo l'arco BW dispensa anche raffinatezze adatte al suo pedigree jazzistico (This Dark Desire, Vanilla, la bossa di Any other mirror), si dà persino ai beat elettronici (The Unseen Man e The Eleven year glitch, con AM in narrazione vocale insistente, impossibile non pensare agli AS). Un paio di cadute di tono/stile non impedisce al disco di apprezzarlo nel suo insieme. Forse è difficile fare di meglio, il che fa pensare ad una società chiusa, visto lo iato intercorso.

lunedì 4 maggio 2020

Michael Brook With Brian Eno And Daniel Lanois ‎– Hybrid (1985)

Generoso oppure furbo, al primo passo solista MB preferì co-intestare l'album ai ben più famosi Eno e Lanois. Ma se quest'ultimo compare in meno della metà dei titoli, il genio di Woodbridge appare il vero master della situazione, tappezzando l'intero album con le sue pacifiche distese di effetti e tastiere e dandogli il vero tratto caratteristico ambientale. Il canadese, oltre alle composizioni, sfoggiava la sua placida infinite guitar, per un assetto globale estatico. Le percussioni sparse riportano l'assieme un po' a terra, molto gradevolmente, giusto per una coloritura world.
Splendide Mimosa, Ocean Motion e Earth Floor. Impeccabile.

sabato 2 maggio 2020

Audiac ‎– So Waltz (2017)

Il clamoroso e totalmente inaspettato ritorno del duo austriaco, a ben 14 anni di distanza da quel Thank you...., un exploit passato inosservato all'epoca. Stessa sorte è toccata a So Waltz, un disco che resta probabilmente appannaggio di pochi, ma che lo ameranno senza condizioni, disarmati ed estasiati da cotanta meraviglia.
Tutti questi anni sembrano un affare davvero irreale, di questi tempi. Eppure; stessa etichetta, stessa produzione a cura dell'ormai ottantenne H.J. Irmler. Soltanto che gli Audiac hanno eliminato pressochè ogni forma di ritmo per concentrarsi sulle composizioni e sulle atmosfere maestose, sugli arrangiamenti nitidi e divinamente orchestrati, sulle stentoree interpretazioni vocali di Alexander Van Veen, per confermarsi i più credibili sostituti del tardo Scott Walker, che se prima di morire non si fosse perso a rincorrere esperimenti inutili avrebbe dovuto partorire prodezze del genere. Non me ne voglia la buonanima.
Le asperità elettroniche dell'iniziale title-track sono svianti. A partire dalla seconda People going places, un pianoforte tempestoso ed insistente guida le emissioni dell'animo più profondo del duo, che affondano il coltello con le folate di mellotron e le vocals echeggianti di Gospels Unreal. Arie più rilassate ed eleganti caratterizzano le meraviglie assolute di Not Bound To Anything (Thom Yorke diventerebbe verde dall'invidia, se la ascoltasse, ma forse questo tipo di espressione sarebbe troppo intellettuale per i suoi fans meno acculturati) e Ambulance Music, condita da un florilegio solenne di trombe. Il restante scorre più placidamente, con omogeneità all'umore melanconico-impressionistico del lotto, sfiorando la musica da camera pura in When You Say My Name e chiudendo in grande stile con Lay Down Stay Here, dritta dritta al firmamento.
Che passino altri 14 anni, chi se ne frega (difficile però pensare che Irmler ci sarà ancora...); nel '31 sarò lì in impaziente attesa di un seguito. Questa è musica senza tempo, punto e basta.