Un disco che vive in una dimensione eternamente ovattata.
Dall'Islanda con calore, mi verrebbe da dire. I Mùm giocano coi suoni e fanno tornare quasi bambini, al punto che immagino le loro musiche come un sottofondo ideale per comitive d'asilo. E' bello lasciarsi un po' andare ad atmosfere così camer(ett)istiche, con l'elettronica sfrigolata mai invasiva, e gli archi come nella splendida I can't feel my hand anymore, ad esempio. La voce femminile così bambinesca, poi, gioca la sua parte decisiva. Bellissima We have a map of the piano, con quel break strumentale e l'incipit di chitarra e piano al centro.
Tutto suonato in punta di dita, senza mai salire sopra le righe. Ecco, forse il limite dei Mùm sta proprio qui; seppur capaci di scrivere melodie lucenti ed ispirate, mostrano un filo di corde di ripetitività (la finale, eccessivamente lunga The land between solar system), indugiando nelle varie composizioni quasi come jam sessions. Che poi, per carità, magari il loro obiettivo è proprio quello; di portare l'ascoltatore in un piano onirico avvolgente che lo culli con sicurezza e linearità. L'ascolto è piacevolissimo, ma mi lascia con un retrogusto di incertezza...Elettronica spicciola o forma canzone? Vabbè, chi se ne frega, stiamocene in questo comodo limbo e giochiamoci su...
Dall'Islanda con calore, mi verrebbe da dire. I Mùm giocano coi suoni e fanno tornare quasi bambini, al punto che immagino le loro musiche come un sottofondo ideale per comitive d'asilo. E' bello lasciarsi un po' andare ad atmosfere così camer(ett)istiche, con l'elettronica sfrigolata mai invasiva, e gli archi come nella splendida I can't feel my hand anymore, ad esempio. La voce femminile così bambinesca, poi, gioca la sua parte decisiva. Bellissima We have a map of the piano, con quel break strumentale e l'incipit di chitarra e piano al centro.
Tutto suonato in punta di dita, senza mai salire sopra le righe. Ecco, forse il limite dei Mùm sta proprio qui; seppur capaci di scrivere melodie lucenti ed ispirate, mostrano un filo di corde di ripetitività (la finale, eccessivamente lunga The land between solar system), indugiando nelle varie composizioni quasi come jam sessions. Che poi, per carità, magari il loro obiettivo è proprio quello; di portare l'ascoltatore in un piano onirico avvolgente che lo culli con sicurezza e linearità. L'ascolto è piacevolissimo, ma mi lascia con un retrogusto di incertezza...Elettronica spicciola o forma canzone? Vabbè, chi se ne frega, stiamocene in questo comodo limbo e giochiamoci su...
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