lunedì 21 febbraio 2011

Necks - Sex (1989)

Mi giustifico sempre, perchè non sono un cultore del jazz. Non ho mai ascoltato i classici degli anni '60, mi sono fermato a dare attenzione a pochissimi e neanche nella loro intera parabola, insomma, non è una scusa valida. E sarà anche per questo che mi capita un disco così quasi per caso, che tange solo marginalmente il jazz, e mi strega.
Necks è un trio australiano di Sidney che debuttò proprio con questo Sex, ed ovviamente la loro provenienza era dall'area classica del genere. Ma questo è un lavoro troppo atipico per restare confinato, e si pone in una terra di mezzo in cui minimalismo ed improvvisazione si fondono misteriosamente.
Il primo sta nel compito della sezione ritmica: Buck (batteria) e Swanson (contrabbasso) fanno un lavoraccio che per dei jazzisti consumati immagino sia stato infame, ovvero mantenere lo stesso identico ritmo per un ora, felpato e sinuoso. Logico che si sia divertito di più il pianista Abrahams, che fa invece sfoggio di lenti fraseggi ricercati, ripetuti in figure pressochè puntuali ed intercalate a micro-soli di poche note, senza mai strafare. Nel sottofondo i vagiti sommessi di una tromba (non è dato di sapere chi l'abbia suonata) e percussioni sorde quasi impercettibili creano scenari indefiniti, fra nebbia e soli desertici.
Comunque, era chiaro che Sex avesse finalità collettive ben precise, ben lungi dal voler inscenare showcase personali. Sottolineando la qualità pregiatissima dei suoni (sembra quasi di averli davanti!), l'effetto finale è quello di un ipnosi piacevole, un abbandono rilassato, autentico cibo per la mente.
Al minuto 56, quando basso e batteria fermano il loro indefesso cammino in punta di dita e Abrahams ha già chiuso il copri-tastiera del piano, la voglia di farsi sedurre di nuovo è difficile da trattenere....

Nessun commento:

Posta un commento