Ogni volta che Kozelek fa uscire qualcosa la tentazione è sempre quella di lasciar stare, di non ascoltarlo, di evitare la sensazione e la visione di un declino inarrestabile.
Per fortuna che non mi sono ancora fermato; la speranza è l'ultima a morire e Admiral Fell Promises è un lieve-lieve ritorno alla buona forma compositiva per il nostro ex-campione del mondo. Niente cover, per fortuna. Neanche i compari degli ultimi dischi: è un disco in perfetta solitudine, che con una grazia che ha del miracoloso non solo non annoia come gli altri episodi degli ultimi 10 anni, ma avvince perchè Mark trova il bandolo della matassa. Alla luce di questo bel ritorno, avrei tanto voluto vederlo in Febbraio in quella chiesa alla periferia bolognese, ma purtroppo ho sottovalutato l'evento e il suo seguito: a pochi giorni di distanza il sito del Locomotiv invitava caldamente a non presentarsi se non muniti della prevendita che era andata via bruciacchiata in men che non si dica. Amen.
Ci sono ballads che non eccedono in alcuna direzione, nè malinconica nè solare, che avrebbero meritato il tocco leggero e fatato dei RHP d'annata: Half moon bay, Sam Wong Hotel (la migliore), Third and Seneca, Australian Winter, Church of the pines, una buona metà della scaletta fa gonfiare il petto di orgoglio e di ritrovata amicizia con l'intimissimo feeling che quest'uomo può riversare al mondo, se solo fosse più ispirato. E pazienza se l'altra metà non è altrettanto irresistibile, se a tratti Mark si perde in qualche giro smaliziato di acustica per mostrare che è anche diventato piuttosto bravo, se si inerpica in qualche barocchismo riempitivo che fa calare l'attenzione.
L'importante è non darsi vinti, mai. Con quella voce, poi.
Per fortuna che non mi sono ancora fermato; la speranza è l'ultima a morire e Admiral Fell Promises è un lieve-lieve ritorno alla buona forma compositiva per il nostro ex-campione del mondo. Niente cover, per fortuna. Neanche i compari degli ultimi dischi: è un disco in perfetta solitudine, che con una grazia che ha del miracoloso non solo non annoia come gli altri episodi degli ultimi 10 anni, ma avvince perchè Mark trova il bandolo della matassa. Alla luce di questo bel ritorno, avrei tanto voluto vederlo in Febbraio in quella chiesa alla periferia bolognese, ma purtroppo ho sottovalutato l'evento e il suo seguito: a pochi giorni di distanza il sito del Locomotiv invitava caldamente a non presentarsi se non muniti della prevendita che era andata via bruciacchiata in men che non si dica. Amen.
Ci sono ballads che non eccedono in alcuna direzione, nè malinconica nè solare, che avrebbero meritato il tocco leggero e fatato dei RHP d'annata: Half moon bay, Sam Wong Hotel (la migliore), Third and Seneca, Australian Winter, Church of the pines, una buona metà della scaletta fa gonfiare il petto di orgoglio e di ritrovata amicizia con l'intimissimo feeling che quest'uomo può riversare al mondo, se solo fosse più ispirato. E pazienza se l'altra metà non è altrettanto irresistibile, se a tratti Mark si perde in qualche giro smaliziato di acustica per mostrare che è anche diventato piuttosto bravo, se si inerpica in qualche barocchismo riempitivo che fa calare l'attenzione.
L'importante è non darsi vinti, mai. Con quella voce, poi.
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