Proprio nel momento in cui una loro uscita rischiava seriamente di svalutare il settore drone-metal, già discusso e ventilato da molti, i santoni americani che hanno contribuito alla loro creazione se ne sono usciti con un disco che rediscute le possibilità evolutive della branca.
E dire che non bastava molto, per un sound che è sempre stato basato sulle sue proprietà specificatamente catastrofiche, ma anche molto minimali. Infatti, Monoliths non è una svolta brusca nè un ribaltone di nessun tipo; per O'Malley & Anderson è stato sufficiente apporre qualche variante strumentale e soprattutto concettuale al solito menu di metal-panzer giganti alla massima moviola, almeno per 3 quarti. Un po' di piano, field recordings, percussioni e bassi starnazzi dei fiati in Aghartha.
Il recitato rantolante di Csihar è un compagno ricorrente in queste rovinosissime sinfonie. Un soave coro femminile di stampo operistico impreziosisce e spiazza il vortice di Big Church. Ancora fiati solenni, un synth (o le manipolazioni di Ambarchi?) e il pulviscolo cosmico a far dissolvere il mastodonte Hunting Garden. Ma la vera sublimazione è Alice, la suite elegantissima che svela il vero segreto dei monoliti dimensionali. Ciò che dovranno fare i due incappucciati, in futuro, è evolversi verso meraviglie di questo tipo, moderando gli abusi dei chitarroni e dei bassoni.
Alice è un arcobaleno cinematico di fiati, arpa e tastiere in cui le grattuge imperiali sono relegate in secondo piano, strabordante di disincanto e contemplativa, che scioglie come neve al sole le minacce pesanti dei Sunn O))) e fa valere da sola il prezzo del biglietto.
E dire che non bastava molto, per un sound che è sempre stato basato sulle sue proprietà specificatamente catastrofiche, ma anche molto minimali. Infatti, Monoliths non è una svolta brusca nè un ribaltone di nessun tipo; per O'Malley & Anderson è stato sufficiente apporre qualche variante strumentale e soprattutto concettuale al solito menu di metal-panzer giganti alla massima moviola, almeno per 3 quarti. Un po' di piano, field recordings, percussioni e bassi starnazzi dei fiati in Aghartha.
Il recitato rantolante di Csihar è un compagno ricorrente in queste rovinosissime sinfonie. Un soave coro femminile di stampo operistico impreziosisce e spiazza il vortice di Big Church. Ancora fiati solenni, un synth (o le manipolazioni di Ambarchi?) e il pulviscolo cosmico a far dissolvere il mastodonte Hunting Garden. Ma la vera sublimazione è Alice, la suite elegantissima che svela il vero segreto dei monoliti dimensionali. Ciò che dovranno fare i due incappucciati, in futuro, è evolversi verso meraviglie di questo tipo, moderando gli abusi dei chitarroni e dei bassoni.
Alice è un arcobaleno cinematico di fiati, arpa e tastiere in cui le grattuge imperiali sono relegate in secondo piano, strabordante di disincanto e contemplativa, che scioglie come neve al sole le minacce pesanti dei Sunn O))) e fa valere da sola il prezzo del biglietto.
Possiamo osare uno sproposito: parte di questa musica è a livello dell'avanguardia e della produzione "seria".
RispondiEliminaCon buona pace dei critici pre-Internet per cui Michelle dei Beatles era la massima espressione del pop che "quasi" lambiva le vette della musica colta.