lunedì 13 giugno 2011

Slaves - The devil's pleasures (1999)

Fra la fine dei VSS e l'inizio dei Pleasure Forever Rothbard, Hughes e Clifford pubblicarono questo EP (giustamente ristampato a mo' di opera omnia con l'integrazione di un paio di singoli), e c'è da pensare che Slaves fosse una sigla che evidentemente non potevano continuare ad usare, quindi va ritenuto come primo vero prodotto dei PF.
La storia dei nomi non importa, perchè siamo di fronte ad un altro grande disco di art-rock decadente, teatrale e grintoso. Apre lo strumentale Oscularum infamè, marcia tesa al servizio di una selva di chitarre acide. An exact seance parte in sordina e cresce incessante fino all'esasperazione. On your belly you shall crawl rilasciava per la prima volta l'influenza del migliore Nick Cave, con un Rothbard stridulo maudit e grande enfasi sul motivo.
Un organo acidulo '60 introduce la spiritata Honeycomb communiquè, quasi un preparativo ai 10 minuti angoscianti di Name of man, una variante iperarrangiata dei Three Mile Pilot di The chief assassin to the sinister e per questo probabilmente superiore. Perchè il punto forte erano proprio le scelte produttive a premiare gli Slaves, che corredavano le loro composizioni con gusto e tattica funzionale all'impressionismo.
Ancora profumi sixties per l'immediata e trascinante Chemical priest. Spirali ossessive di suono acido permeano Slender Spires, lenta e malsana così come la successiva, fantastica Kill a pony, climax espressivo globale con tanto di rasoiate di violino, e la seconda parte di Calling a loa che parte con una serrata pantomima, poi si riprende a passo lento e chiude con enfasi quasi spaziale questo disco ineffabile, di inafferrabile classe.

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