martedì 10 luglio 2012

Cul De Sac & John Fahey - The epiphany of Glenn Jones (1997)


Non sono un intenditore di John Fahey, ho ascoltato qualche suo disco sulla spinta giornalistica che mi è sempre pervenuta. Credo che il fingerpicking non sia propriamente la mia cup of tea, mentre ho sempre avuto un bell'entusiasmo per i Cul De Sac.
Voluto fortemente dal chitarrista Jones, come si può evincere dal titolo, il disco vive di contrasti stridenti. A fronte di una buona metà di tracce puramente acustiche solo in parte sporcate da concretismi o qualche effetto (e direi farina del sacco di Fahey), ci si trovano fra gli esperimenti più arditi mai operati dai CDS.
La sezione ritmica trova spazio soltanto nella fantasmagorica The new red pony, con tanto di assolo di basso fuzzato. Per il resto sarebbe stato più corretto parlare di un disco a 6 mani, con Jones e il sintesista Amos che spara deliri psicotici a tutto gas. Il vortice allucinato di Our puppet selves, 8 minuti di pura follia, è la testimonianza più lampante, insieme alla seconda parte di Gamelan collage e i 9 sballatissimi minuti di Magic Mountain.
I lunghissimi free-form di Nothing e More nothing alla fine sembrano quasi più improvvisazioni a casaccio, con momenti di grande effetto ma che guastano un po' il clima generale del disco che, come si è raccontato, vide litigi continui fra Fahey e il gruppo.

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