Occorre dire che le Desert Sessions non sono mai state un granchè per cui esaltarsi. Troppo spesso si sono rivelate un vezzo di Homme per circondarsi di colleghi più o meno quotati, anche se con lo spirito più sano e divertito possibile.
Ma se per l'ultima coppia di volumi, ormai un decennio fa, si è scomodata l'iconica PJ Harvey, si può dire che almeno abbia chiuso in bellezza. Caso strano, infatti, il poker di pezzi in cui compare sono da aggiungere a pieno titolo al repertorio più nobile dell'eroina inglese: il pezzo di lancio Crawl home è scuro e pressante, di quelli che si attaccano in testa a vita. There will never be a better time va ascritto al patrimonio delle ballad esacerbanti ed ossessive. Appena appena sotto il livello A girl like me e Powdered wig machine, sempre caratterizzati però dall'imprinting artistico inimitabile della nostra.
Il resto viaggia a fasi alterne: In my head si assesta sui livelli medio/alti dei Queens Of The Stone Age, Bring it back gentle esce nel deserto con l'immancabile contributo vocale di Lanegan. Qualche stranezza, qualche riempitivo, ed un'imperdonabile nefandezza come I wanna make it wit chu completano il quadro.
Perché non dire la verità?
RispondiEliminaJosh voleva la scusa per provarci. A ragione. Altro che deserto.