sabato 3 maggio 2014

Robert Wyatt - Dondestan (1991)

Il disco più umile e sommesso dagli anni '70 in poi, chè negli anni 2000 il buon vecchio secondo me non ha combinato un granchè ed è rimasto impantanato in una fanghiglia troppo art-naive, per non dire autoindulgente. Però si sa, parlar male di Robert Wyatt sarebbe un po' come sparare sulla Croce Rossa, quindi si tende sommariamente a sorvolare.....
Fin dall'ipnotico e nebbioso pezzo di apertura di Costa, appariva chiaro che Wyatt era più introspettivo che mai. I droni di tastiera ed il flebile canto incerto lasciavano capire l'antifona, perpetrata da The sight of the wind, cantilena minimalista che si fondeva eccezionalmente con Catholic Architecture: è una musica fatta di pochissimo, se non della magia statica intrinseca dell'uomo e della sua delicatezza infinita.
Smaltita l'inquietudine iniziale, il disco svolta su lidi più sereni e di classe cristallina. Worship, CP Jeebies, Left on man e Lips Service (grande melodia regalatagli da Hugh Hopper) trotterellano elegantemente su un velluto di languido jazz, respirando l'aria limpida di Canterbury e di tutta quella grande generazione.

3 commenti:

  1. Cosa ne pensi della versione remiscelata del '98? Dopo tanti ascolti dell'una e dell'altra ho alzato bandiera bianca :)

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  2. Visto che la prima versione era stata fatta con i fichi secchi appena Wyatt si ritrovò con due soldini in tasca oltre a registrare Shleep rimise mano a Dondestan: stessi brani in scaletta ma in diverso ordine e un missaggio dal suono più tondo e corposo (ammesso che siano gli aggettivi giusti in da utilizzare in simili casi).

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