domenica 29 settembre 2019

Jo Passed ‎– Their Prime (2018)

Interessante quartetto canadese al debutto nientemeno che su Sub Pop, che eredita senz'altro qualcosa dalla più gloriosa stagione dei college, partendo dai Pixies (qualche pezzo tirato con gli scarti ritmici tipici), e arrivando a giorni più recenti passando dai Death Cab For Cutie (la voce, talune inflessioni melanconiche), dai Deerhunter (le commistioni psichedeliche), arrivando fino ai Cloud Nothings (il trasporto emotivo).
Come capita sempre in generi così abusati, è la personalità e le trovate melodiche che fanno la differenza, ed in Their Prime ce n'è un buon numero: le ballad impressionistiche di Left, Repair e Places Please sono l'eccellenza, e fanno ipotizzare che dietro il tasso ormonale che agita quasi tutto il resto del disco si nasconda un giovane songwriter di razza, questo Jo, dal potenziale che ce lo farà tenere d'occhio nel seguito.
 

venerdì 27 settembre 2019

Screams From The List #87 - Arbete & Fritid ‎– Håll Andan (1979)

Eccentrici svedesi, e paurosamente eterogenei in questo capitolo di fine carriera, un epitaffio in grado di infilare il meglio ed il peggio di una decade intera, che attraversarono da capo a piedi, senza tuttavia trovare fortuna oltre i patri confini.
Håll Andan disorienta in tutti i versi: un'inizio pacchiano, Harmageddon Boogie, ma si intende che è una beffa per preparare a dovere il pezzo forte, gli 11 minuti di Kalvdans, una selvaggia escursione nell'avant-free dei Faust, davvero mozzafiato. Come la seguente Jag Foddes En Dag, stomp acidissimo a tutta velocità che sfuma in una foschissima pseudo-ambient-library.
Il resto purtroppo non viaggia a queste coordinate, perchè il gruppo sbanda con la (seppur gradevole) ballad neilyounghiana Kopparna Ba Bordet e poi si rilassa con una giga celtica, un raga indiano ed una psych-jam minimalista. Ma se consideriamo i due pezzi forti, resta comunque un disco degno di nota.

mercoledì 25 settembre 2019

Mad Season ‎– Above (1995)

Sono molto legato affettivamente a questo disco, per quanto oggi ne riconosca il sostanziale valore artistico non certo eccelso, nel panorama post-grunge di quei mid-nineties così contrastanti ma eccitanti. La splendida traccia di apertura, Wake Up, resta indissolubilmente associata ad un flash emozionante della mia tarda adolescenza e la porterò nel cuore per tutta la vita. Si tratta di una ballad riflessiva e meditativa, scandita dalle preziose vibes, incendiata da un impennata elettrica centrale, ed infine ripiegata su sè stessa. Nulla per cui gettarsi a terra, dopo un quarto di secolo, questo è certo; Mad Season restò una specie di Temple Of The Dog mancato, vuoi per il minor successo guadagnato, vuoi per la statura inferiore dei componenti. Layne Staley aveva il suo charme vocale unico ma da lui a Cornell c'erano anni luce, Mike McReady era pur sempre la spalla di Gossard nei Pearl Jam, Barrett Martin era il batterista degli Screaming Trees, bravo ma comunque qualche spanna sotto Cameron.
Detto questo, Above contiene qualche pezzo eccellente oltre la sopracitata Wake Up, come la zeppeliniana Lifeless Dead, la stasi finale di All Alone, il lussuoso lounge desertico con cameo di Lanegan Long Gone Day; la produzione restava in linea con il top-major-grunge dell'epoca, quasi mainstream per quanto pulita, e nel complesso il disco finiva per suonare esattamente come un incrocio fra i gruppi di provenienza, alle prese con una raccolta di scarti ripresi, rilavorati ed abbelliti per l'occasione (i pezzi non citati dopotutto erano piuttosto passabili). Per questo, non resterà un capitolo memorabile, forse destinato ad essere ricordato quasi esclusivamente dagli amanti dei gruppi correlati. Ma oggi avevo voglia di tornare ai miei 19 anni, ed è stato un viaggio a ritroso davvero degno di essere compiuto.

lunedì 23 settembre 2019

Liars ‎– TFCF (2017)

La copertina rassicura nella sua bruttura (talmente orribile da non avere il coraggio di guardarla per più di pochi secondi, con un Angus Andrew rasato a zero e vestito da sposa di tutto punto, con un espressione vuota e vacua che lascia sconcerto puro): il personaggio è ancora fuori di testa, ha le palle per continuare col marchio Liars, nonostante sia rimasto da solo dopo che il co-fondatore Hemphill ha deciso di interrompere la corsa.
Era da diversi anni che avevo perso interesse nei dischi degli australiani, ed un motivo c'era; sembravano incanalati definitivamente verso un elettronica dura e pura, senza tanti sbocchi creativi. L'occasione per una rifondazione è stata fertile: AA si è rifugiato nella natia Australia ed ha concepito questo strano oggetto, così precario ed imperfetto, che potrebbe essere la sua rinascita artistica.
Che parte e disorienta subito: The Grand Delusional è una ballad acustica dolente e solenne, davvero inusuale per Liars. Ed il goffo elettro-gotico di Clich Suite crea ancor più scompiglio. Sembra che AA abbia l'intenzione di riciclarsi come cantautore deviato che non perde la propria ineffabile identità, e ci riesce a più riprese; anche quando l'elettronica spoglia prende il sopravvento, anche quando il più o meno malcelato demenziale esce allo scoperto, AA riesce a sembrare un incrocio fra Xiu Xiu, Thom Yorke e l'ultimo Scott Walker.
A tratti penso che se lasciasse perdere il cazzeggio forse riuscirebbe a fare un capolavoro, ma poi cambio idea: AA non può prendersi sul serio più di tanto, perchè si snaturerebbe. Potrebbe sorprenderci ancora, in futuro.

sabato 21 settembre 2019

Pink Floyd ‎– Is There Anybody Out There? (The Wall Live 1980-81) (2000)

E pensare che Waters non lo voleva pubblicare, e per fortuna fu suo figlio a persuaderlo, facendogli semplicemente presente che la gente l'avrebbe amato senza riserve. L'ego senza confini del perfido Ruggero avrebbe combinato l'ennesimo danno; ITAOT è la migliore rappresentazione possibile del Muro, punto e basta. Un live eccezionale, curato nei minimi dettagli come da copione ma eseguito col cuore che soltanto i PF potevano mettere, oltre mille ostacoli (primo, un Wright defenestrato che mette l'orgoglio sotto i piedi e va sul palco a fare il suo, ma in generale una band spaccata ed oppressa da un capo sempre più autoritario, consapevole di avere il pallino in mano ma ben poco incline a governarlo democraticamente), estratto da date differenti, ma chi se ne accorge. Ovviamente il percorso obbligato non riserva molte sorprese, c'è il paio di scarti dal vinile che però ravviva la scaletta a dovere ed i fans riescono sempre a cogliere quelle differenze esecutive (essenziale la libertà di portare a compimento i pezzi tagliati in studio per star dentro i due vinili) che elevano ITAOT a massima espressione (insieme a quel mostro di Animals) dei PF post-DSOTM. E c'è un Gilmour stellare a trascinare e a far divampare quel cuore che dopo 40 anni batte ancora.

giovedì 19 settembre 2019

Tartufi ‎– These Factory Days (2013)

L'innesto di un nuovo bassista irrobustiva la portata ritmica dei Tartufi, al terzo (e finale? chi lo sa, comunque sono passati 6 anni.....) album, per un rilancio in vena melodica ma non privo di quella intricata strutturalità compositiva che ne contrassegnava le opere precedenti.
La mistura di Built To Spill, progressive moderno e indie-pop su These Factory Days parte con Underwater, un pezzo molto easy per i loro standard, forse troppo. Per fortuna a partire da Seldom si ritorna sui binari preferiti, fra scarti ritmici repentini, scatti felini e pause mistiche. La cura delle parti corali è assoluta, culminante in Furnace Of Fortune, che finisce in un ineffabile territorio Yes, nientemeno. E' la tensione spasmodica di Edgar Lovelace che manda in orbita il disco, concluso magistralmente dalle arie crepuscolari di 8:1. Sarebbe un peccato se la loro ambiziosa corsa fosse finita qui.

martedì 17 settembre 2019

Don Caballero ‎– Five Pairs Of Crazy Pants. Wear 'Em: Early Caballero / Look At Them Ellie Mae Wrists Go!: Live Early Caballero (2014)

Importante documento pubblicato qualche anno fa da Damon Che che riguarda i primissimi tempi di Don Cab, ovvero la demo session di fine 1991 ed uno dei primissimi concerti, nel 1992. Con la formazione ultra-power-trio (Banfield-Morris-Che), quindi ben prima dell'ingresso di Ian Williams, facevano già decisamente paura, in entrambe le situazioni.
La scaletta è più o meno identica per i due set, ed il materiale è quello di For Respect e dei primi sismici singoli, con l'aggiunta di due inediti assoluti, Schuman Center '91 e Waltor. Senza la produzione, erano sicuramente più grezzi ed istintivi ma già chirurgici nelle loro torrenziali composizioni. Interessante per captare lo spirito iniziale del gruppo prima che Williams ne modificasse il dna in maniera irreversibile.

domenica 15 settembre 2019

Demdike Stare X Il Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza ‎– The Feed-Back Loop (2018)

Non sono un particolare amante dei Demdike Stare; ho trovato i loro dischi maggiori interessanti ma non così tanto da diventarne un estimatore. Ben diverso il discorso per questo esplicito tributo al GINC, uscito in cassetta e pare realizzato con materiale d'archivio del Gruppo stesso, suonato dal vivo al Festival di Nuova Consonanza, con i membri superstiti nel pubblico.
Una vera e propria epifania per il duo inglese, una sfida da far tremare i polsi, ma perfettamente centrata. Non ha un granchè a che fare con l'omonimo e stracitato disco del 1970, in quanto si tratta di un avant-ambient notturna e fascinosa, in cui il materiale di recupero funge da contorno per lunghi bordoni dronici, loop di piano superbi, ritmi non invasivi. Il tributo funziona molto bene perchè i DS ci mettono il loro, senza inchinarsi più di tanto al GINC, creando 40 minuti magici di suono organico. Cosa vuol dire un ispirazione concreta.

venerdì 13 settembre 2019

Totsuzen Danball - Sukidayo (1993)

L'irresistibile, dissacrante art-garage-wave dei fratelli Tsutaki, una girandola di riff ed acidi stornelli per uno dei segreti meglio riposti del Sol Levante, insieme direi agli Aburadako. Ancor più rifinito del precedente del 1991, ormai anni luce dagli esordi naif ma altrettanto memorabili, con una produzione impeccabile ed il programmatico salmodiare monotonale, uno sproloquio che lascia sempre interrogativi sul senso (se c'è, ovvio) delle liriche.
Perchè il dubbio che ci sia del demenziale sotto è molto forte, ma sono dinamiche che dall'Occidente credo siano difficilmente comprensibili. Resta la musica, un rifferama spigoloso supportato da ritmiche incessanti, non particolarmente complesse ma concitate; in ogni caso, una ventata d'aria fresca, qualsiasi cosa si sia ascoltata prima.

mercoledì 11 settembre 2019

Mako Sica & Hamid Drake ‎– Ronda (2018)

Una pausa di un lustro, l'avvicendamento del batterista Kendrick con l'eclettico polistrumentista Chaetan Newell, ed i Mako Sica sono tornati con 3 album in 3 anni, segnando il cambio di stile importante verso un fine cesello jazz-psichedelico, certo non modernissimo ma denso di una personalità sempre più strabordante.
Per l'unità di Drazek & Fuscaldo pertanto è un manifesto espressivo questo Ronda, vista l'estemporanea inclusione di Hamid Drake, ultrasessantenne batterista chicagoano che in area modern-jazz ha un curriculum sterminato e presta in queste 5 tracce un drumming raffinatissimo, mai invadente e perfettamente calato nella realtà onirica dei Mako. La sua presenza libera Newell di passare fra piano, cello, contrabbasso e flauto senza fare una piega. Drazek non ha ancora rinnegato il suo stile chitarristico, l'ha semplicemente affinato e portato alla volta celeste, ed incrementa l'utilizzo della sua malinconica tromba.
E' purissima impro con tutti i suoi limiti, non ci sono novità in tal senso e forse i Mako non sarebbero neanche in grado di mettersi lì ed organizzarsi. Basta prendersi un'ora, farsi trasportare verso questo mondo ultraterreno e scordarsi di tutto il resto e la realtà.

lunedì 9 settembre 2019

Red Lorry Yellow Lorry ‎– Talk About The Weather (1985)

Band di Leeds appartenente alla categoria "ritardatari" della NW, che come i Chameleons arrivarono all'appuntamento discografico un buon 3-4 anni dopo rispetto ai nomi storici. 
Guidati dal cantante/chitarrista/compositore Chris Reed, i Lorries sono rimasti un nome minore e sono stati dimenticati più o meno da tutti, ma questo album di esordio è stato ristampato l'anno scorso in vinile dalla italiana Radiation, ed è occasione buona per ripescarlo. Il ricordo vola ai tempi di Indies, al video di Beating My Head che mi incuriosiva ma non mi faceva impazzire. Erano più o meno un incrocio fra Joy Division (la voce cupa), Psychedelic Furs (le chitarre) e Wire (nelle inflessioni più melodiche), con un songwriting molto lineare e senza scossoni. La ristampa in CD del 2005 aggiungeva la messe di tutti i singoli precedenti, di fatto un altro disco intero e di qualità superiore viste le mini-hit Monkeys on juice, He's Read e Hollow Eyes.

sabato 7 settembre 2019

Deleted - La derelitta (1999)

Il chitarrista francese Cristophe Petchanatz, che con grande tenacia ed ostinazione tutt'oggi continua a produrre musica più che altro con la moglie nel progetto Klimperei rendendosi visibile su Bandcamp, in uno dei suoi episodi targati Deleted. Lo conobbi a metà anni '90 grazie ad una cassetta su Snowdonia, Entertainment 2, che col tempo ho sempre più apprezzato, contrassegnata da un post-rock estremamente ricercato, e che ho riascoltato con piacere contestualmente a questo La derelitta, più estremo ed incompromissorio nel saper creare ambientazioni astratte e sinistre.
Composto da ben 24 tracce, il disco testimonia un autore dalla creatività straripante, concentrato su questa art-elettronica atonale dai poteri surreali, su ritmi sghembi e marcati, e con uno stile chitarristico del tutto peculiare ed incisivo. I connotati sonori vanno dalla library arcaica all'industriale meno abrasivo, con tutto quello che ci può stare dentro. Un autore che avrebbe meritato tutt'altra esposizione, decisamente.

giovedì 5 settembre 2019

Helmet – Meantime (1992)

Scoprii gli Helmet grazie al video di In the meantime, il cingolato di apertura di questo secondo album, trasmesso sulla gloriosissima Indies. Poi comprai Strap it on, di cui avevo letto faville, e faville furono. 
Fra il 1990 e il 1992 ci fu lo tsunami mondiale che ben ricordiamo, e il mondo dell'alternative fu rapidamento invaso da un oceano di investimenti da parte delle major. Gli Helmet non furono da meno e la Interscope se li aggiudicò, dando loro mezzi sterminati ad una condizione: una bella levigata nel suono. Per questo motivo inizialmente Meantime mi deluse: troppo monocromatico, troppo squadrato, ed il pezzo gancio-traino della situazione, Unsung, persino troppo accattivante per i miei gusti.
Ci sono voluti tantissimi anni perchè lo riprendessi in mano e lo rivalutassi. Sarebbe stato quasi impossibile eguagliare i livelli del debutto, destinato a restare una pietra miliare del noise-rock. Page Hamilton indirizzò il gruppo verso lo spirito del groove a 360°, e di fatto Meantime è un unico, gigantesco, compatto groove, strutturato in 10 pezzi molto simili fra di loro, da cui si elevano In the meantime, Turned Out e Better. E dopo oltre un quarto di secolo ne apprezzo maggiormente il suono, persino al netto delle immancabili prodezze di John Stanier. Persino Meantime era destinato a restare un caso isolato, visto ciò che realizzeranno un paio dopo, con la sempre eccitante Betty.

martedì 3 settembre 2019

Umberto Maria Giardini ‎– Forma Mentis (2019)

Succede che UMG giochi col suo passato, faccia richiami espliciti ai trascorsi. Successe col sigillo finale a nome Moltheni Ingrediente Novus, poi altri piccoli dettagli che non ricordo, infine succede oggi col suo ultimo. Che porta un titolo che è familiare, perchè nelle interviste al seguito di Splendore Terrore (2005) se ne uscì dicendo che l'anno prima aveva realizzato un album intitolato Forma Mentis, contrassegnato da sonorità dure, come ad accelerare una tendenza espressa su Fiducia in un nulla migliore.
Ed è proprio da allora, anno 2001, che UMG non si esprimeva in maniera così grintosa, con un dispendio importante di chitarre fragorose e batteria tornitruante. Ma niente paura, questo non è il diseppellimento del vecchio Forma Mentis, è soltanto una citazione del titolo (nonchè title-track di chiusura) perchè amava l'idea di citare quello che riteneva un buon disco ma che non fu pubblicato per motivi di marketing.
Nel complesso, è un ritorno alla forma migliore, quella dell'Imperatrice. Se Protestantesima viaggiava ancora a livelli alti, Futuro Proximo si assestava su un piano inferiore, con poche impennate. Invece oggi UMG torna a graffiare e toccare quelle corde dell'anima che sa intercettare solo lui, con la divina voce che si inerpica fino ad arrochirsi in più di un occasione. La tua conchiglia, Argo, Di Fiori e Burro, Forma Mentis, e soprattutto l'eccezionale Materia Nera (in una top ten totale di carriera ci sta), i nuovi highlights da mandare a memoria in un batter d'orecchio.
50 anni e non sentirli per niente, caro Umberto.

domenica 1 settembre 2019

Cul de Sac ‎– China Gate (1995)

Il secondo album dei CDS, tre anni dopo la rivelazione di Ecim, all'insegna di una compattezza e di una fluidità impressionanti. Un disco molto lungo, che crea stati di ipnosi profonde ma mantiene ben bene i piedi a terra grazie alle ritmiche indiavolate (bellissimo il suono di batteria del neo-entrato Proudman, dal rullante sabbiato ed incisivo, e sempre demoniaco il bassista Fujiwara), alle mille soluzioni della 6 corde del factotum Glenn Jones, lasciando un po' sullo sfondo il synth alla Ravenstine di Robin Amos. Per quanto il concetto di jam fosse preponderante, impressiona ancora oggi la qualità delle partiture di Doldrums, The Colomber e Nepenthe, autentici gioielli di psichedelia tecnica.