Altra meteora, questa volta dei giorni nostri e con pochissime info a disposizione, ma di grande qualità. ETD era un duo tedesco che ancor prima di far uscire questo primo disco non esisteva più, a causa del suicidio del povero Florian. Sulla scarna pagina a loro dedicata appare un trafiletto tanto autoreferenziale quanto struggente, e c'è da rimpiangere la loro scomparsa.
Per definirli mi verrebbe da dire che erano una specie di Gregor Samsa senza strumenti da camera, con un maggior pathos espressivo e ancora più introspezione (il che è tutto un dire). E con una valigia di splendide songs, le 8 qui racchiuse, di cui la maggior parte senza ritmo, scandite semplicemente da rintocchi atmosferici. Le trame cristalline della chitarra di Florian sono l'anima e il corpo principale, a partire dall'iniziale Hallways, una cartolina notturna di bellezza assoluta.
L'altro membro Lars invece era responsabile della voce delicatamente sussurrata, quasi un accessorio vista la saltuarietà dell'impiego. La title-track è un dispiego slow-core dall'incantevole coda pianistica che si tramuta nell'invernale quadretto di Days. Notabile accelerazione di ritmo e volume in The hour undone, con finale epico alla GYBE seppur nelle dovute proporzioni.
Ma è solo una piccola parentesi, in quanto la seconda parte prosegue con le stasi di spleen ripiegate su sè stesse, fra punteggiature di clarino (If I told you), suggestivi controcanti femminili (Still, This wave lenght), e la meravigliosa chiusura di Last words, immagignifica soundtrack di una riflessione a cielo aperto.
Nulla di rivoluzionario, ma con un cuore grande così. Che però era destinato a fermarsi....
Per definirli mi verrebbe da dire che erano una specie di Gregor Samsa senza strumenti da camera, con un maggior pathos espressivo e ancora più introspezione (il che è tutto un dire). E con una valigia di splendide songs, le 8 qui racchiuse, di cui la maggior parte senza ritmo, scandite semplicemente da rintocchi atmosferici. Le trame cristalline della chitarra di Florian sono l'anima e il corpo principale, a partire dall'iniziale Hallways, una cartolina notturna di bellezza assoluta.
L'altro membro Lars invece era responsabile della voce delicatamente sussurrata, quasi un accessorio vista la saltuarietà dell'impiego. La title-track è un dispiego slow-core dall'incantevole coda pianistica che si tramuta nell'invernale quadretto di Days. Notabile accelerazione di ritmo e volume in The hour undone, con finale epico alla GYBE seppur nelle dovute proporzioni.
Ma è solo una piccola parentesi, in quanto la seconda parte prosegue con le stasi di spleen ripiegate su sè stesse, fra punteggiature di clarino (If I told you), suggestivi controcanti femminili (Still, This wave lenght), e la meravigliosa chiusura di Last words, immagignifica soundtrack di una riflessione a cielo aperto.
Nulla di rivoluzionario, ma con un cuore grande così. Che però era destinato a fermarsi....
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