
L'ispirazione era palesemente erede del folk-rock anni '60, con le chitarre pulite e gli accordi belli compatti: rispetto ad esso però imponevano i ritmi folli del punk e della new-wave (anche se non c'entravano praticamente nulla) col risultato che il titolo è davvero adatto, e la ritmica è l'aspetto più importante del disco. Minimalistici fino allo sfinimento ma frizzanti quanto basta per esaltare le stuzzicanti composizioni, sia spiccatamente pop (Fa Ce La, Original Love, Raised eyebrows) che un po' introspettive (la splendida apertura di The boy with perpetual nervous, Loveless love, Moscow night). Le mie preferite però sono quelle sparate alla velocità della luce (Forces at work, Everybody's got something to hide, Crazy rhytms), che mi divertono un sacco: li immagino piegati con le braccia impegnate meccanicamente, intenti a creare una gioiosa ed ipercinetica catena di montaggio.
Tralasciando la banale cover di Paint it black (nella cui rete è finita più di una band), Crazy rhytms fu una primizia pop di originalità non indifferente, specialmente in quegli anni di nichilismo diffuso.
Nessun commento:
Posta un commento