Ho il piacere di dire la mia sul gruppo che più di tutti, con una ripetizione maniacale, ho ascoltato nell'ultimo anno. E dire che si tratta di un repertorio piuttosto limitato, ovvero 3 EP o mini-lp per una durata totale di circa 90 minuti.
YMDITD è un giovane trio di Seattle la cui forza è stata anche quella di distillare queste uscite nell'arco di ben 4 anni, mettendo in campo tutta la cura che la sintesi ha richiesto; ovviamente mi aspetto una nuova produzione da parte loro, anche se sul loro piccolo sito non sembrano esserci news al riguardo. D'altra parte è sempre dura perseverare quando si agisce così sottoterra e si suona di fronte a pochi intimi.
Siamo dalle parti dell'epic-instru più emotivo, ma reinterpretato con un piglio del tutto personale: sulle melodie poliedriche del chitarrista Woods (molto evocativo, equamente diviso fra pulito ed effettato, con poca distorsione) e del bassista Stalter (molto abile, anche sul tapping), si staglia la figura del vero fuoriclasse del trio, lo smilzo ed emaciato batterista Clark, uno di quei ragazzetti che a vederlo non gli dai un centesimo ma in realtà è un fior di drummer: elastico, volitivo ed imprendibile su un set essenziale. Uno di quelli che ha la tecnica poco convenzionale.
In sostanza, si tratta di un gruppo che ha mandato bene a memoria la lezione degli Explosions In The Sky ma ne elabora una versione personalissima: muscolare, con qualche iniezione di math, fatta di semplici ma memorabili linee, mai melanconica ma fondamentalmente solare, quasi giocosa. Un attitudine che si intuisce anche dalle foto in cui i 3 sono immortalati, sempre divertiti ed ironici, a differenza della stragrande maggioranza dei gruppi epic-instru che sono distanti ed assorti.
Il debutto è del 2006 e si chiama Bears in the yukon: col senno di poi è un uscita un po' acerba ed autoindulgente, ma mette già in guardia sulle capacità del trio. Vorrei porre l'accento sugli ultimi due EP, il primo dei quali è uno split con i Gifts From Enola: 5 pezzi fenomenali, una rivelazione: The sound of titans, 11 minuti di micidiali progressioni atmosferiche. In case I should die spinge sul pedale energetico fra leggerezze ed eruzioni. Mitchell vs. Rowesdower è un mirabolante palestrare math prima dello stacco da brividi e del finale acrobatico. Commovente e all'altezza dei più immensi Explosions la meditazione di Seagulls = Sea Eagles, con uno sviluppo finale ludico che è già trademark assoluto. Ultimo picco per Let's have sarcasm for breakfast, con inizio balzellante, altro break ad alto tasso emotivo (tanto per dirne una da fan, ce l'ho come suoneria nel cellulare...) e crescendo epocale a chiudere in gloria
International Waters è uscito l'anno scorso e vede un progressivo indurimento del suono, nonchè una produzione più in your face. In particolare Clark, forte della propria sicurezza, si ritaglia una presenza più fisica, di primo piano nel missaggio. Purtroppo non si ripete il miracolo di Harmonic Motion, ma soltanto a causa di West of 1848 e Monolith, che vedono una distorsione troppo marcata nelle fasi topiche. Non sto certo sostenendo che siano due delusioni, ma a farsi la bocca dolce, insomma, ci siamo capiti. Ci pensano gli altri due a tenere altissima la bandiera: gli 8 minuti della title-track, una specie di replica energizzata di The sound of titans, e la marcia panoramica di True North, minimale cartolina tirata fino allo spasimo. Una versione accorciata è stata postata a mo' di video-promo sul sito del gruppo.
YMDITD è un giovane trio di Seattle la cui forza è stata anche quella di distillare queste uscite nell'arco di ben 4 anni, mettendo in campo tutta la cura che la sintesi ha richiesto; ovviamente mi aspetto una nuova produzione da parte loro, anche se sul loro piccolo sito non sembrano esserci news al riguardo. D'altra parte è sempre dura perseverare quando si agisce così sottoterra e si suona di fronte a pochi intimi.
Siamo dalle parti dell'epic-instru più emotivo, ma reinterpretato con un piglio del tutto personale: sulle melodie poliedriche del chitarrista Woods (molto evocativo, equamente diviso fra pulito ed effettato, con poca distorsione) e del bassista Stalter (molto abile, anche sul tapping), si staglia la figura del vero fuoriclasse del trio, lo smilzo ed emaciato batterista Clark, uno di quei ragazzetti che a vederlo non gli dai un centesimo ma in realtà è un fior di drummer: elastico, volitivo ed imprendibile su un set essenziale. Uno di quelli che ha la tecnica poco convenzionale.
In sostanza, si tratta di un gruppo che ha mandato bene a memoria la lezione degli Explosions In The Sky ma ne elabora una versione personalissima: muscolare, con qualche iniezione di math, fatta di semplici ma memorabili linee, mai melanconica ma fondamentalmente solare, quasi giocosa. Un attitudine che si intuisce anche dalle foto in cui i 3 sono immortalati, sempre divertiti ed ironici, a differenza della stragrande maggioranza dei gruppi epic-instru che sono distanti ed assorti.
Il debutto è del 2006 e si chiama Bears in the yukon: col senno di poi è un uscita un po' acerba ed autoindulgente, ma mette già in guardia sulle capacità del trio. Vorrei porre l'accento sugli ultimi due EP, il primo dei quali è uno split con i Gifts From Enola: 5 pezzi fenomenali, una rivelazione: The sound of titans, 11 minuti di micidiali progressioni atmosferiche. In case I should die spinge sul pedale energetico fra leggerezze ed eruzioni. Mitchell vs. Rowesdower è un mirabolante palestrare math prima dello stacco da brividi e del finale acrobatico. Commovente e all'altezza dei più immensi Explosions la meditazione di Seagulls = Sea Eagles, con uno sviluppo finale ludico che è già trademark assoluto. Ultimo picco per Let's have sarcasm for breakfast, con inizio balzellante, altro break ad alto tasso emotivo (tanto per dirne una da fan, ce l'ho come suoneria nel cellulare...) e crescendo epocale a chiudere in gloria
International Waters è uscito l'anno scorso e vede un progressivo indurimento del suono, nonchè una produzione più in your face. In particolare Clark, forte della propria sicurezza, si ritaglia una presenza più fisica, di primo piano nel missaggio. Purtroppo non si ripete il miracolo di Harmonic Motion, ma soltanto a causa di West of 1848 e Monolith, che vedono una distorsione troppo marcata nelle fasi topiche. Non sto certo sostenendo che siano due delusioni, ma a farsi la bocca dolce, insomma, ci siamo capiti. Ci pensano gli altri due a tenere altissima la bandiera: gli 8 minuti della title-track, una specie di replica energizzata di The sound of titans, e la marcia panoramica di True North, minimale cartolina tirata fino allo spasimo. Una versione accorciata è stata postata a mo' di video-promo sul sito del gruppo.
Mi aspetto un ritorno perlomeno a questi livelli dai ragazzi, una maggior esposizione mediatica nel limite del possibile e chi può dirlo? Magari che un giorno vengano a suonare dalle nostre parti.
Sono gruppi bravi come questo a mantenere alto un filone che viene dato per morto ormai da chiunque, anche chi non ne ha le competenze.