
Hofmann si è ritirato in una comune in Michigan e il mostro, una delle entità più uniche che si siano sentite nel decennio '00, non esiste più. Eppure c'era un percorso da proseguire, perchè Space Program era diverso. Dopo aver consacrato il noise-prog acrobatico con Wohav e Sunset, i due bardi ampliavano le soluzioni e ammorbidivano parzialmente il suono. Il tour d'addio che seguì li vedeva con una formazione a 4, con ben 2 tastieristi (!), dato che era diventato impossibile proseguire con il duo nudo e crudo. Ma anzichè pigiare sul pedale del prog, come sarebbe lecito immaginare, progredivano verso una forma sempre personalissima, con decise aperture alla melodia, agli schemi complessi, all'evocatività indiana d'America. Le distorsioni diminuiscono, i tempi si fanno meno vorticosi.
Il manifesto è Ice bridge, la perla del disco: un sogno ad occhi aperti in 6 minuti, con fraseggio chitarristico epico doppiato dall'organo, da pelle d'oca. La girandola che introduce Above all it's all songs è il preludio ad una tensione acustica di rara bellezza, doppiata subito dopo da Tulsa.
Avrei gradito che Langenus procedesse nella direzione di questi due pezzi o di All or nothing, in un folk-rock geneticamente modificato di tale portata. Non avrei preteso che portasse avanti il discorso del monster-brand più arrangiato di Cocaine Wedding o di Frozen rainbows, nè che partorisse labirinti geometrici passionali come la conclusiva Florida.Spero di ascoltare presto Infinite ease e di poterlo rivalutare, anche se temo che il rimpianto per aver perso gli UIAM continuerà a rendermi prevenuto contro il country.
Nessun commento:
Posta un commento