Lo vidi suonare dal vivo ancor prima di sapere chi fosse, lo statunitense Paul Labrecque. Un paio di anni fa, in quel buco infame in cui cacciarono a performare i Red Sparowes invece di ospitarli al Locomotiv.
Questo non più giovanissimo chitarrista si mise a sedere nella più religiosa concentrazione con archetto e banjo elettrificato e iniziò una lunga suite a base di stratificazioni per chitarra acustica, loops e pedalistica varia. La composizione in sè mi sembrò alquanto noiosa ma la progressione del suono verso le rovine galattiche su cui andò a sbattere mi impressionò e non poco.
Su disco, Labrecque denota uno spirito folk forestal-agreste piuttosto mistico e visionario, che privilegia le atmosfere alla seppur buona tecnica, fatte salve alcune incursioni di elettrica che vanno a sconfinare in territori quasi psichedelici o in bordoni dronici appena appena increspati.
Così, le 11 composizioni finiscono per essere abbastanza varie da non annoiare, ma neanche per entusiasmare. Potrebbe sembrare scontato affermare che in questa branca è già stato creato tutto e non c'è più nulla da aggiungere, ma mi limito a concludere che Labrecque è un free-folk-menestrello dignitoso.
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