Nell'anno del punk i Kraftwerk se ne uscivano raggiungendo il massimo livello di ricerca e sofisticazione produttiva, attorno alle melodie mai troppo accattivanti per essere definite ruffiane.
Il fulcro del disco è la title-track, forse il loro vertice espressivo della fase matura: percussioni sintetiche in flanger, vocoder glaciale, motivo portante di (ciò che mi sembra) mellotron e synth in sequenza. A seguirlo in scaletta il succedaneo Metal on metal, trasfigurazione cosmica in continuità che entra nel cervello e si vorrebbe durasse almeno un altro quarto d'ora. Ed invece a smorzare l'atmosfera ci pensa la pastorale Franz Schubert.
Ciò accadeva nel lato B, mentre in quello A si inventava il synth-pop, ma con una classe che i futuri interpreti potranno solo sognarsi. Persino il tema del disco, ovvero l'Euro-trip, è quasi lungimirante, con il ritmo irresistibile di Europe Endless e le movenze decadenti di Showroom dummies.
Rispolverarli, ogni tanto, riconcilia.
:]
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