Non sapevo che i mitici Magnog si fossero riuniti un paio d'anni fa, con una serie di date live e addirittura il progetto di fare nuove registrazioni come annunciato nel loro scarno blog. Di uscite non se ne sono viste ma se un domani dovessero realizzarsi, sono convinto che la benemerita Kranky accoglierà nuovamente sotto la propria ala protettiva questi ex-ragazzetti che guadagnarono un ingaggio la stessa giornata in cui il loro demo le fu recapitato.
More weather, secondo ed ultimo atto, era un condensato (per modo di dire, che si passa le 2 ore e 1/4) di questo lunghissimo tape composto di scura, volatile e magica psichedelia. L'interplay fra i 3 è ancor più miracoloso se si considera l'altissima percentuale di impro, e l'iniziale title-track è subito un pugno nello stomaco con le sue folate galattiche estremamente infiammabili. Subito dopo, Tear catching current invece esala delicato misticismo da tutti i pori.
Il chitarrista Drake faceva rombare il suo ampli grazie a tutti gli effetti necessari a salire fino alla stratosfera, ma ciò che impressionava di più nei Magnog era la sezione ritmica, col basso legnoso ed arzigogolato di Reilly e la batteria sferragliante di Shinn: non sembravano proprio dei giovanissimi, e la partecipazione al Vienna Jazz Festival (!) ne fu la consacrazione artistica.
Tutto il doppio vive dei chiaroscuri come nei primi due pezzi sopracitati: fasi sognanti si danno il cambio con brucianti impennate, e neanche un momento di stanca, nonostante la registrazione non sia sempre perfetta. More weather è un colosso da vivere ed assimilare con calma e dedizione.
30 anni di storia e leggenda psichedelica concentrati in due ore e un quarto. Non fu poco. Non importa se non torneranno, per me diedero già così.
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