Anche quest'anno il cast è di assoluto prestigio e livello mondiale. Si intende un chiaro segnale di continuità nella scelta del ruolo di direttore artistico, quest'anno impersonato dal londinese Daniel O'Sullivan, compare del suo predecessore e uomo-ovunque Stephen O'Malley in Aethenor nonchè uno dei personaggi più in vista fra le musiche di confine fra rock ed avanguardia.
Arriviamo in teatro che è già iniziata la lettura-documentale sull'esoterismo nel rock '60/'70 da parte di un giornalista britannico, corredata da fotografie e spezzoni musicali degli artisti citati. L'argomento sulla carta è molto interessante, ma è riservato a chi possiede un'eccellente comprensione dell'inglese stretto. Ciò che ci interessa veramente è la serata musicale che vede confrontarsi due generazioni di sperimentatori di confine.
Si aprono le porte del teatro Rasi e nel giro di pochi minuti fa il suo ingresso Bob Lowe, un'ormai vecchia conoscenza che però è sempre bello rivedere. E devo dire che questa, fra le 3 che ho visto, è stata la mia performance preferita; se il tema dell'edizione dichiarato espressamente da O'Sullivan è la trascendenza, allora Lowe ci ha preso in piena. Il set è stato diviso in due parti; la prima a base di drones e vocalizzi estatici in loop, nel suo classico stile, ma destinata a raggiungere uno stato di intensità elevatissimo. Allo sfumare di questa entra un battito di cassa molto forte: la seconda parte tramuta le stesse intenzioni in un ritmatissimo trance-zen che spiazza parecchio, e che non so a cosa possa preludere. Da applausi.
Si riaccendono le luci e Palestine, che aveva osservato il set dalla prima fila, inizia compassato a preparare il suo spettacolo che, mi sento di dire, sarà memorabile. Il 67enne newyorkese non necessita di grandi presentazioni, e le sue usanze live sono ben note, ma vederle di persona ha un gusto tutto unico.
Sul palco c'è un pianoforte a coda. Da due valigie rosse estrae la sua nutrita popolazione di pupazzetti animali, che sistema con cura certosina (per non dire maniacale, visto il tempo impiegato) attorno al tavolo delle apparecchiature elettroniche, in modo che siano tutti ben visibili. Arretra di una decina di metri per controllare da lontano che tutto sia a posto. Dopo circa mezz'ora, si cambia persino d'abito ed è tutto pronto. Lo scarno pubblico (sigh) presente in sala chiacchiera con educazione e a bassa voce, e quand'è il momento di attirare l'attenzione Palestine lo fa girandoci attorno, facendo suonare il suo bicchiere di cognac col moto circolare dell'indice sul bordo.
Quando tutti gli occhi sono su di lui e c'è silenzio assoluto, esordisce col suo falsetto fonetico (si ascolti il kilometrico Karenina) per qualche minuto, poi risale sul palco e fa cantare due pupazzetti in coro (con un piccolo delay), tenendoli ai lati del viso davanti al microfono. E' il momento più naif della performance, e il sorriso si stampa sul viso di tutti.
Arriva il momento di fare sul serio quando si siede al piano; è l'ora della Strumming music, di cui darà una dimostrazione della durata di mezz'oretta: la prova titanica di un uomo che suona il piano come se stesse scalando una montagna. I riverberi che si espandono per la sala si potrebbero tagliare con un coltello.
Terminata la scalata, c'è il momento del panico: dal Mac parte un sottofondo solenne, Palestine prende uno stranissimo microfono che distorce la voce e si lancia in una breve ed epico inno, che ci disorienta. Il finale è dedicato ancora al canto dei pupazzetti, nonchè alle tastierine giocattolo che, sempre appaiate, fanno terminare lo spettacolo con una nota di ilarità contagiosa.
Un entusiasta O'Malley chiede il bis a gran voce. Palestine riprende le tastierine ed è servito.
Arte allo stato puro. Viva il Bronson e il suo staff.
Si aprono le porte del teatro Rasi e nel giro di pochi minuti fa il suo ingresso Bob Lowe, un'ormai vecchia conoscenza che però è sempre bello rivedere. E devo dire che questa, fra le 3 che ho visto, è stata la mia performance preferita; se il tema dell'edizione dichiarato espressamente da O'Sullivan è la trascendenza, allora Lowe ci ha preso in piena. Il set è stato diviso in due parti; la prima a base di drones e vocalizzi estatici in loop, nel suo classico stile, ma destinata a raggiungere uno stato di intensità elevatissimo. Allo sfumare di questa entra un battito di cassa molto forte: la seconda parte tramuta le stesse intenzioni in un ritmatissimo trance-zen che spiazza parecchio, e che non so a cosa possa preludere. Da applausi.
Si riaccendono le luci e Palestine, che aveva osservato il set dalla prima fila, inizia compassato a preparare il suo spettacolo che, mi sento di dire, sarà memorabile. Il 67enne newyorkese non necessita di grandi presentazioni, e le sue usanze live sono ben note, ma vederle di persona ha un gusto tutto unico.
Sul palco c'è un pianoforte a coda. Da due valigie rosse estrae la sua nutrita popolazione di pupazzetti animali, che sistema con cura certosina (per non dire maniacale, visto il tempo impiegato) attorno al tavolo delle apparecchiature elettroniche, in modo che siano tutti ben visibili. Arretra di una decina di metri per controllare da lontano che tutto sia a posto. Dopo circa mezz'ora, si cambia persino d'abito ed è tutto pronto. Lo scarno pubblico (sigh) presente in sala chiacchiera con educazione e a bassa voce, e quand'è il momento di attirare l'attenzione Palestine lo fa girandoci attorno, facendo suonare il suo bicchiere di cognac col moto circolare dell'indice sul bordo.
Quando tutti gli occhi sono su di lui e c'è silenzio assoluto, esordisce col suo falsetto fonetico (si ascolti il kilometrico Karenina) per qualche minuto, poi risale sul palco e fa cantare due pupazzetti in coro (con un piccolo delay), tenendoli ai lati del viso davanti al microfono. E' il momento più naif della performance, e il sorriso si stampa sul viso di tutti.
Arriva il momento di fare sul serio quando si siede al piano; è l'ora della Strumming music, di cui darà una dimostrazione della durata di mezz'oretta: la prova titanica di un uomo che suona il piano come se stesse scalando una montagna. I riverberi che si espandono per la sala si potrebbero tagliare con un coltello.
Terminata la scalata, c'è il momento del panico: dal Mac parte un sottofondo solenne, Palestine prende uno stranissimo microfono che distorce la voce e si lancia in una breve ed epico inno, che ci disorienta. Il finale è dedicato ancora al canto dei pupazzetti, nonchè alle tastierine giocattolo che, sempre appaiate, fanno terminare lo spettacolo con una nota di ilarità contagiosa.
Un entusiasta O'Malley chiede il bis a gran voce. Palestine riprende le tastierine ed è servito.
Arte allo stato puro. Viva il Bronson e il suo staff.
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