mercoledì 31 luglio 2013

Piano Magic - Low Birth Weight (1999)

Ricordo un vecchio Blow Up con la rubrica Runners curata da Pinzone (fra l'altro tutt'oggi in essere, e credo fra le più longeve in assoluto del magazine) in cui si parlava dei Piano Magic, allora ai primi singoli, come una brillante promessa del post-rock. Tempo un paio d'anni e le cose cambiavano radicalmente per i londinesi, con Low birth weight a gettare la maschera e mostrare una rielaborazione ben congegnata di new-wave, dream-pop, shoegaze e folk gotico. 
Se dopo oltre 15 anni sono ancora in giro a fare dischi (peraltro ancora molto buoni), un motivo ci sarà pur essendo il bastone del comando sempre stato in mano al chitarrista Johnson. Qui ci sono alcuni pezzi veramente da sogno, Crown estate, Bad Patient, Snow drums, Dark secrets look for light, quadretti di ambient-rock sopraffino, con le voci alternate; il confidenziale parlato di Johnson e l'estatico canto della Potter, meteora della line-up.
Non tutto funziona a meraviglia, per carità; ci sono passi falsi e incertezze che inficiano un po' sul giudizio complessivo (un paio di dissertazioni elettroniche senza molto senso, un altro un po' pallida copia degli Slowdive) di una tappa comunque chiave sul sentiero che li avrebbe portato a diventare protagonisti.

martedì 30 luglio 2013

Peste Noire - L'Ordure à l'état Pur (2011)

Band francese che propone un evoluzione del metal (non direi strettamente black, ma anche di derivazione da certi che si staccavano con orgoglio dalle origini grind-core a metà anni '90), dalle ambizioni vaste e con una buona riuscita complessiva.
L'enfasi è sempre altissima, i pezzi sono lunghi e in maggior parte dominati dalle chitarre, durante il percorso ci sono delle variazioni davvero fuori dal comune: in Casse, Pêches, Fractures Et Traditions la comparsa della sezione fiati corrisponde ad un passo di valzer e poco dopo muta nel classico ...ska! Altrove ci sono altri esempi, come quando compare un beat digitale tipicamente techno dopo una serie micidiale di rasoiate, oppure quando una tenue nenia di tipico folk nordico viene interpretata da una gentile voce femminile, in netto contraltare con l'isterico urlato del cantante, oppure quando un'ineludibile slow-core apre la bellissima, conclusiva La condi hu.
Ad un primo ascolto superficiale potrebbe sembrare che tali posticci siano solo dei diversivi per tenere alta l'attenzione, in realtà il disco regge molto bene anche nelle lunghe fasi in cui non ne fa ricorso ed il songwriting è valido. In sostanza, molto bravi.

lunedì 29 luglio 2013

Perfume Genius - Put Your Back N 2 It (2012)

Cantautore americano di un essenzialità perfettamente applicata alla materia: voce dolente e fragile, pochi accordi di piano, qualche timido giro di chitarra e battito percussivo in un terzo neanche della scaletta.
Liriche scottanti portano Hadreas ad un coinvolgimento emotivo che si potrebbe quasi tagliare col coltello, ma in fondo in fondo la sua musica è un pop esangue che purgato da ogni scabroso retroterra personale potrebbe anche fare successo. Quasi un contraltare sobrio di Antony, ma di tanto in tanto viene in mente anche la gentilezza infinita del primo Barzin.
Comunque, al primo ascolto intriga, al secondo affascina e individuato il meglio viene voglia di risentirlo, quasi con pudore ma inarrestabile. E sono le tracce più arrangiate; Take me home e Hood, due spleen-gospel di grande qualità melodica. 

domenica 28 luglio 2013

Pere Ubu - Ray Gun Suitcase (1995)

Simbolo di piccola rinascita dopo le sbornie pop degli anni precedenti, tant'è che ricordo un articolo semi-entusiasta di PS sul Rockerilla del tempo.
In effetti Ray gun suitcase ripristinava un po' di quella lucida follia che con gli anni Thomas & Co. sembravano aver perso, in favore di un approccio più melodico. Non che qui manchino songs orecchiabili, anzi: però si tratta di un disco fortemente chitarristico (in certi casi quasi pesante, come nell'irresistibile My friend is a stooge for the media priests), e con un valido, anzi ottimo campionario delle capacità virtualmente infinite dell'omone di veicolare la propria arte in svariate, deviate aree. E c'è persino un lieve anticipo di ciò che qualche anno dopo farà con i Two Pale Boys, ovvero l'elucubrazione balcanica-rock di Montana.  
Rispettabilissimo, anche a confronto con i disconi giganti degli inizi.

sabato 27 luglio 2013

Pelt - Brown Cyclopaedia (1995)

Guazzabuglio inestricabile di noise-rock, psichedelia antica e pseudo-raga indianeggiante per questi virginiani dal curioso percorso: partiti come alfieri della perdizione più brada, col tempo si sono convertiti ad un folk memore dei vecchi numi tutelari degli anni '60.
Gli intenti sono nobili, ma sembra sfuggire il senso di questo labirintico e deforme svolgimento. Probabilmente  fu un antologia di jams improvvisate dalla fondazione del gruppo ad allora, di conseguenza si susseguono  shock termici e di altitudine da vertigine che non sempre funzionano. Quando i pezzi sono un minimo a fuoco, sembrano quasi un incrocio amorfo fra i Dead C e i Mission of Burma, ma per il resto questa ciclopedia non è proprio digeribilissima.

venerdì 26 luglio 2013

Peaking Lights - 936 (2011)

Mancava all'appello della corrente new-weird America una coppia così, tutta colorata e così beatamente gioviale, ovviamente su Not Not Fun. I due sposi del Wisconsin sono andati a colmare un'area che forse era ancora scoperta: il dub.
Detto in una parola, 936 è assolutamente irresistibile. Le profonde linee di basso, i ritmetti digitali, i synth e gli organetti a manetta, le schitarrate sparse, e la voce algida, quasi fredda della Dunis, sono tutte parti integranti di un lungo, godevolissimo flusso di coscienza che fa ricorso a linee melodiche fresche, per non dire pop.
Si è parlato anche di tropicalizzazione, e non a torto; se Sun Araw ha fissato un nuovo standard di psychedelia dell'equatore, i PL rispondono a gran voce con queste splendide e scanzonate songs che ascolto a ripetizione. Non annoiano, non stancano, rilassano e fanno muovere il bacino, stimolano il cervello e regalano anche qualche bella emozione sincera (All the sun that shines, Amazing and wonderful su tutte).
Grandi, peccato che il successivo Lucifer dell'anno scorso non si sia ripetuto su questi livelli.


giovedì 25 luglio 2013

Pavement - Slanted and Enchanted (1992)

Adesso che sono passati 20 anni, ne vogliamo parlare con calma? Vogliamo discuterne, soprattutto con chi ha inserito questo disco nella lista dei 500 migliori dischi di sempre?
I Pavement erano il gruppo per quelli che...il grunge era troppo aggressivo, o rumoroso, o cafone. Furono le stelle del college-rock, gli alfieri di quel sound scazzato ed indolente che faceva molto reazione agli anni '80, che guardavano con candore al passato (Lou Reed, Velvet, Fall), ma con ben poca fantasia.
E in Italia? Finivano in copertina anche qui, li si osannava quasi come delle star, modesti ragazzi della provincia californiana che si ritrovavano catapultati alla ribalta internazionale indie senza neanche accorgersene. E allora? 
Dopo 20 anni, io la penso uguale. Erano davvero scarsi, con poco talento ed ancor meno creatività. Non è assolutamente questione di suono o produzione, è che oggi come ieri non trovo un-pezzo-uno che mi piaccia. Perchè tanto in fondo di pop si trattava, quindi a quello ci si affida, da che mondo e mondo.

mercoledì 24 luglio 2013

Daniele Patucchi - Brani Drammatici, Violenti E Suspence (1973)

In assenza di informazioni attendibili, classificherei questo disco come raccolta di precedenti colonne sonore scritte da questo sconosciutissimo compositore, del quale non si sa davvero niente se non che era attivissimo negli anni '70 e che, aggiungo io........era un vero asso della sonorizzazione.
Come spiega il lapalissiano titolo, il tema ricorrente delle tracce incluse era il sentore di dramma e tensione, e Patucchi un'ispiratissimo creatore di atmosfere atte alla bisogna. La facciata A alterna scenari tipicamente western, che inevitabilmente richiamano Morricone, a polizieschi compatti e ritmati (La dimostrazione il punto di maggior eccellenza); i diversi livelli di volume denotano un po' di approssimazione da parte di chi ha curato l'antologia ma non ci si fa caso, tanto è affascinante il contesto.
Il lato B è molto diverso, anche perchè forse ritagliato da una soundtrack unica, complice l'intercalarsi di una sequenza alquanto sinistra: un liquido crescendo psichedelico ammanta Nel buio, prima che l'imponente orchestra sinfonica prenda possesso della situazione, fra movimenti sismici e riflessioni da incubo.
Autore da analizzare assolutamente.

Patto - Hold your fire (1971)

Patto secondo atto, ed è ancora leggenda che sarebbe potuta diventare storia della musica popolare se il pubblico inglese fosse stato meno ingrato ed indifferente di fronte a questo fenomenale quartetto, se la Vertigo fosse stata meno frettolosa (non voglio dire incompetente, perchè sempre di indipendente si trattava).
E pensare che Hold your fire era persino più orecchiabile del superbo debutto, con l'umile hero Halsall intento a dedicare il suo talento sempre più al piano e al vibrafono, a comporre musiche che strizzavano l'occhiolino al soul più sanguigno. Per gli amanti della sua acrobatica SG mancina restavano un pugno di pezzi comunque clamorosi, come la title-track, See you at the dance tonight, Give it all away, Tell me where you've been.
Per gli estimatori delle loro indiavolate jam jazz c'è da godere con Air raid shelter e Beat the drum. La rimanenza si adagiava sui confortevoli e raffinati soul-blues di classe, roba che convince sempre più del fatto che una delle maggiori sfighe dei Patto consiste nella realtà che erano troppo fuori dalle correnti e che fossero in leggero anticipo su certe tendenze commerciali.

lunedì 22 luglio 2013

Van Dyke Parks - Song Cycle (1968)

Disco discretamente citato, persino da musicisti di ultima generazione, specialmente nell'ambito art-pop, e rivalutatissimo dalla critica, forse perchè sempre rimasto con un aurea di culto addosso. D'altra parte Parks tale status si è guadagnato in 50 anni di carriera: collaboratore-ombra dei Beach Boys, special guest per una miriade di musicisti, cantautore dai ritmi lentissimi che è l'antitesi dell'odierno: soltanto 7 dischi!
Song cycle è la messa in scena di un musical colto, uno spettacolo teatrale, un'operetta da vaudeville, pop sinfonico come soltanto nel 1968 si poteva realizzare, da parte di questo grande consumatore di marijuana che mise i panni di direttore d'orchestra con uno stuolo di quasi 100 musicisti.
Degli ottimi momenti non mancano (su tutti direi The all golden) e la mia impressione è che un generale senso di auto-ironia pervada il tutto; ad esso corrisponde anche un'enorme auto-indulgenza, ma un ripescaggio così antico ci può stare, perchè dopotutto i suoi anni Song cycle se li porta bene.

domenica 21 luglio 2013

Parenthetical Girls - Safe as Houses (2006)

Pop evanescente e barocco, che leggo esser definito anche sperimentale. Mah. Se è sperimentale inserire quintalate di glockenspiel in un contesto che più orecchiabile di così difficilmente non si può, penso di dover rivoluzionare parecchi pensieri....
Ad ogni modo, il leader Pennington è un bravo artigiano che in Safe as houses ha dalla sua una varietà quasi invidiabile di argomenti. Il suo cantato, piuttosto espressivo, potrebbe essere il punto di forza o il maggior limite del gruppo, a seconda dei punti di vista: quando se ne sta sobrio è gradevole, quando calca la mano sulla stucchevolezza rischia di lambire territori pericolosi di emo-pop (leggi Muse). Per fortuna gli arrangiamenti sono intriganti e vintage il giusto, senza strafare. In sostanza, più che discreti, ma nessun particolare acuto in scaletta.

Pan•American - 2004 Quiet City

Album gentile, discreto e quieto proprio come titolo suggerisce: una città immersa nel silenzio della notte, con lievi sibili provenienti da qualche angolo buio, un chitarrista insonne che trova sollievo in lenti arpeggi provenienti da qualche stanza riverberata.
Qui forse il tocco magico di Nelson raggiunge la propria vetta artistica, fautore di soffuse tracce intrise di quella calma che ha quasi del misterioso, tanta è la voglia di riascoltarle una volta giunti al termine.
Sia che impronti lo svolgimento sulle tastiere e sull'elettronica che sulla chitarra, Nelson trova sempre il modo giusto per rilassare e mettere a proprio agio l'ascoltatore. La lunga Wing, ad esempio, snocciola un motivo circolare sul tappeto di organo acuto, tocchi che sembrano di contrabbasso, qualche percussione; ipnosi garantita.
Il liquido incedere di Het volk invece vede protagonista una splendida tromba di chiaro influsso cinematico. A volta Nelson sussurra qualcosa, come nelle immagignifiche Before e Skylight, quest'ultima esempio superbo di ambient-rock da far impazzire d'invidia Hood e Crescent.
Inutile citare le altre tracce, di pochissimo inferiori: il contesto è di una bellezza assoluta.

Charlemagne Palestine & Janek Schaefer - Day of the Demons (2012)

Avendone avuto testimonianza dal vivo, fa piacere ricevere conferma che l'attempato Carlomagno sia in ottima forma anche in studio. Questo suo ultimo disco, realizzato in combutta col ben più giovane sound artist londinese Schaefer, è un ammaliante affresco di minimalismo occulto che lascia stregati.
Due tracce di 20 minuti cadauna: la magica Raga de l'apres midi pour Aude, condotta dal drone di organetto, da rintocchi di campane e il classico, ipnotico falsetto di Palestine, che si inerpica in saliscendi emotivi spericolati. Da brividi.
Fables from a Far Away Future è molto probabilmente più farina del sacco di Schaefer, visti gli innesti di musica concreta e campionamenti vocali. Ma lungo il cammino il canovaccio minimalistico fa capolino a ripetizione con maestosi drones di organo e synth, ed il finale di melodica è di quelli rasserenati che genera un sorriso ottimistico; giurerei che è composta del buon Palestine.

sabato 20 luglio 2013

P16.D4 - Kuhe in 1-2 trauer (1984)

Uno dei progetti meno citati dell'ondata industriale dei primi '80, eppure così complesso, avanguardistico ed indefinibile da acquisire credito col passare del tempo; forse perchè tedeschi, non avendo assolutamente nulla da condividere con Einsturzende Neubaute, forse perchè arrivati al disco un po' in ritardo. Forse proprio perchè restano un grande punto interrogativo.
E pensare che Kuhe era stato registrato 2-3 anni prima dell'uscita, ma nessun'anima pia si era presa il rischio di pubblicarlo. Industriale però è riduttivo: il suono variava indefesso in un collage di dadaismo micidiale, denso e scuro, senza alcun compromesso ma con una luce tutta propria.
Pare che la concezione di quest'elettronica dell'assurdo risalisse addirittura ad una decina d'anni prima: vero o no, queste geniali divagazioni vanno annoverate fra i grandi lavori di una categoria che probabilmente non esiste.


giovedì 18 luglio 2013

Ozric Tentacles - Pungent Effulgent (1989)

Primo vero album degli Ozrics, dopo la messe di cassette più o meno carbonare che ne alimentarono il culto in Inghilterra nella seconda metà degli anni '80.
E vale la pena dirlo, davvero ispirato nel suo melting pot di psichedelia, etnica, dub ed elettronica ritmata, dal suono scintillante ed evocativo. Forte di un'orchestrazione accuratissima nonostante il retroterra vagamente hippy, di un chitarrista che aveva mandato a memoria Fripp e Hillage e di un flautista isterico alla Nik Turner, il quintetto rimasticava e li adattava alla sede con tecnica e personalità. Questi primi Ozrics sapevano cullare con l'occhio all'altro mondo in relax, poi facevano muovere il bacino con un altro occhiolino ai rave, ed infine sapevano rockeggiare con grinta e calore sanguigno.
Palma del miglior pezzo il dub mutante di The domes of G'Bal.

mercoledì 17 luglio 2013

Oxes - 2011 Bile Stbudy EP

L'inaspettato ritorno dopo svariati anni del trio caciarone e tamarro, all'apparenza un concentrato di trash immane ma con la solita potenza e l'anormalità di non avere il basso che li rende diversi.
Un po' di ruggine, forse dovuta all'inattività, contrassegna questo EP di tre pezzi dal punto di vista creativo: i riffoni sono sempre i soliti, le dinamiche non sono sconvolgenti come nei mitici due album di inizio anni '00, e la naturale domanda è se dopo questo riscaldamento registreranno qualcosa di più elaborato e creativo. Per adesso bentornati.

martedì 16 luglio 2013

Oxbow - An Evil Heat (2002)

Dopo la solita, lunga pausa, gli Oxbow tornavano su Neurot, la label dei Neurosis. E quasi ad allinearsi dal punto di vista produttivo all'etichetta, Wenner mette in mostra le chitarre più granitiche di sempre ed un uso del feedback mai sentito prima.
La componente blues quindi resta un po' sotterrata, in favore di un approccio frontale che mette letteralmente spalle al muro. E' un disco in cui la sezione ritmica si scatena e diventa protagonista, in particolare il batterista Davis che rulla e sferraglia come un indemoniato.
Ma attenzione, sempre con stile. Anche se non indicherei An evil heat come disco rappresentativo della carriera degli Oxbow (soprattutto per quella coda interminabile di 32 minuti che si poteva anche evitare o perlomeno ridurre drasticamente), i maestri della dannazione non hanno mai mancato un colpo, ribadisco.

lunedì 15 luglio 2013

Oxbow - Serenade In Red (1997)

Complice una cattiveria inusuale ed anche la registrazione di Steve Albini, Serenade in red è probabilmente il disco più duro che gli Oxbow abbiano rilasciato. Già con Let me be a woman si tendeva a recintarli nell'ambito noise-rock americano, ma dire che era una restrizione è nulla.
E' vero che Wenner & co. avevano messo un po' da parte le ambizioni avanguardistiche (qui isolate ad un paio di episodi peraltro clamorosi, Babydoll e The killer), a discapito di un impatto più fisico, ma come si sa gli Oxbow non hanno mai sbagliato un disco.
Quindi spazio al blues-core deviato e malsano, dai ritmi rallentati, di Over, 3 o'clock, Insane asylum, all'efferatezza noise di Lucky, al groove gigantesco di The last good time. E il memorabile psicodramma della Untitled di 12 minuti, con un canto femminile a rendere l'atmosfera più teatrale e struggente.


venerdì 12 luglio 2013

Oxbow - King of the Jews (1991)


Forse ho speso troppe parole nel tentativo di descrivere due fra i dischi più recenti del gloriosissimo combo californiano che al momento, voglioso di ripescare qualche episodio del passato, non mi sovviene proprio un granchè, se non di ribadire il dato di fatto che si tratta di uno dei più grandi gruppi degli ultimi 20-25 anni in tema di art-avant-rock. Seguito dell'ispido e shockante debutto Fuckfest, King of the jews è forse il più radicale esempio di sperimentazione, in cui un giovane Niko Wenner era in grado di architettare fra le più svariate ambientazioni, di cui un estremo è dato dalla raffinata soundtrack di Bomb, per archi ed acustica. Che poi Robinson ci rivolti sopra uno dei suoi deliri letterari-metropolitani, fa parte del contesto. Salendo per gradi, Angel sfoggia un pianoforte dispari ed un basso fretless di rilievo prima di diventare uno dei loro classici horror-blues-core. Altrove regna incontrastato un caos colto che sfocia nell'avanguardia sconnessa di Cat and mouse, il blues-doom dissonante di Burn, la slide demoniaca di Woe, con la performance più out di Robinson che sembra sempre sul punto di subire un attacco cardiaco.
Dopo quasi 20 minuti di silenzio, chiude il macello di feedbacks di Pannonica, col lieve sottofondo di un'acustica vagamente jazzata. Terrifico.

giovedì 11 luglio 2013

Ovo - Miastenia (2006)

Per quanto originali e personali siano, riconosco che gli Ovo rappresentano un ascolto molto ma molto ostico.
Entrando nello specifico, in Miastenia ci sono sostanzialmente due versanti: quello pestato/scatenato e quello scarnificato all'osso, con l'eccezione della title-track che è un doom interminabile di 20 minuti.
Il primo è scandito da ritmi elevati, chitarre ultra-sature e la voce torturante della Pedretti, che sarà anche originalissima ma personalmente è piuttosto dura da digerire (sopportare?). Il secondo consta di 3 pezzi rallentati per batteria e sussurri stonati. Il doom sopracitato è un estenuante ripetersi dello stesso schema senza alcuna fantasia, ed arrivare alla fine è davvero difficile.
Credo di aver espresso più o meno tutto il mio pensiero. Rispetto per Dorella e tutto il resto che ha fatto / continua a fare, storco parecchio il naso per Ovo.

mercoledì 10 luglio 2013

O-Type - Strict (1999)

Durante il decennio dei '80 gli MX-80 Sound ebbero un silenzio assediante ma intorno alla metà dei '90 tornarono forbiti, profondamente cambiati e diretti verso sonorità senza alcun compromesso. Alternativamente al ritorno Anderson e Sophiea avviarono anche il progetto O-Type, che pur essendo un side finì per essere ancora più sconvolgente. Il secondo aveva riposto il basso in favore della gestione dei samples, il primo, se mai ce ne fosse stato bisogno, confermava il suo immenso talento (una testata giornalistica del settore l'ha definito il miglior chitarrista mai sentito dal pubblico) non soltanto nelle sue articolatissime digressioni ultra-elettriche ma anche nei frangenti più riflessivi, rivelando un gusto armonico forse inedito fino ad allora.
Strict è una collezione di atmosfere desolanti, di lievitazioni sulfuree, di distorsioni e faville di Anderson, di abbandoni ad un immaginario che non è soltanto stilisticamente astratto, bensì appartiene ad altri mondi.
Vista l'alternanza di tutto ciò, il disco va assunto per intero, senza soste. Direi che a svettare è la lunghissima Father Damien, che sfoggia un mix molto rappresentativo dell'umore del disco, ma anche i jazz ibridi di Brigid e Jeanne: a day at the beach, grazie anche all'ausilio del batterista Weinstein. E la breve chiusura di Outro: grace, con un Anderson spettrale, finalmente pulito e sempre più campione. 
Peccato che fosse sempre più sconosciuto.

martedì 9 luglio 2013

Osso Exótico - I (1990)

A memoria, il primo gruppo portoghese che mi sia capitato di ascoltare. E quale qualità, peraltro: purissima avanguardia ottenuta da radici industriali, con temibili incursioni di teatralità dell'orrido (l'influenza bargeldiana è la prima delle pochissime che mi sovvengono all'ascolto), percussività dirompente alternata a stasi melmose che incutono una suspence che a 23 anni di distanza fa ancora il suo effetto.
La lunga suite Osso Exòtico riempie tutta la prima facciata: turbolenza concreta, tuoni in lontananza in loop, spirali industriali di rumore bianco, frasi inquietanti di synth. Una delle caratteristiche più peculiari di OE sta nel maltrattamento di un violoncello, presumibilmente elettrificato, che diventa strumento di tensione e assume  addirittura connotati proto-drone-metal in " ", spiazzante e saturata fra il frinire estivo di grilli e cicale. Gli 11 minuti di Lunar circus maximum si dispiegano fra un drone acuto che spacca il cervello e la fase recitata con voce sprezzante e brutale, a sua volta inserita in un contesto tribal-gotico in The new stone age.
A riprova del loro valore, basti prender nota del fatto che uno dei fondatori è David Maranha, che ancora oggi è uno dei performer sperimentali più rispettati al mondo. 
Spericolati.

lunedì 8 luglio 2013

Orthrelm - 20012 EP (2012)

L'inaspettato ritorno del duo avant-metal sotto forma di 2-tracks EP, a ben 7 anni di distanza dal temibile OV. Rispetto a quel mastodonte di minimalismo, 20012 è praticamente progressive per loro: le scale imprendibili di Barr si susseguono epiche ed implacabili nel corso di Washp (mine): un filo meno efficace 96, che sembra lievemente fuori fuoco nonostante le progressioni a salire.
Blair segue con furore e precisione matematica le girandole con una concentrazione di colpi che farebbero morire d'invidia Hill degli Hella: poco protagonismo e 1000% di sostanza.
Per ciò che riguarda il contenuto, beh, ciò che mi auguro è che sia un riscaldamento per un ritorno di spessore, magari sul campo del concept come il grande OV.


giovedì 4 luglio 2013

Fabio Orsi - Find Electronica (2007)

26 fra album ed EP dal 2007 ad oggi; sarò ossessivo e ripetitivo fino alla morte ma così non è possibile. E dire che il tarantino Orsi ha guadagnato riscontro estero a sufficienza per trasferirsi a Berlino e l'attenzione che meriterebbe è maggiore in quanto connazionale, ma neppure un cd omaggio ad un Blow Up qualche mese fa è servito ad aprire una breccia significativa nell'inflazionata schiera, così mi sono fermato.
In ogni caso, più che discreto. Find Electronica, indicato come uno dei più rappresentativi, è un buon lavoro di elettro-ambient piuttosto vintage, molto evocativa e con qualche ottimo sprazzo. In particolare la parte 2, notturna meditazione che decolla in corrispondenza del loop di chitarra acustica e nel proseguio estatico di tastiere, rivela una sensibilità pregevolissima. 
Le altre due parti invece, denotano una tendenza spinta al drone cosmico increspato da qualche effetto sparso, e sono decisamente un po' statiche per i miei gusti. Quindi, un disco che convince per un terzo e sono sicuro che altre bellezze come Part 2 siano presenti nei restanti 24 outputs di Orsi, ma è molto arduo che mi metta alla ricerca.

(REISSUE) Modern English - Mesh And Lace (1981)

Caustici e corrosivi, questi ragazzi inglesi vennero alla ribalta soltanto due anni dopo l'esplosione del dark-punk ma ebbero modo di fare la voce grossa con questo debutto esplosivo su 4AD.
Erano un mix di tutto il meglio che ci fosse in giro all'epoca. Il senso epico più scuro degli Echo & The Bunnymen, le visioni isteriche meno disincantate dei Teardrop Explodes, la seriosità elegante dei primissimi Spandau Ballet, le derive insane dei Bauhaus, e portavano in dote un manipolo di songs poco meno che memorabili.
Lo psicodramma della title-track è esempio di impavido aggirarsi fra debolezze melanconiche ed energici tribalismi. Gathering dust è un devastante motorik spaziale. Gli inferi martellanti di 16 Days,le meditazioni di Grief, i canali foschi di Black Houses, gli U2 corrotti dai Joy Division di Smiles and laughter, sono gli highlights di un disco che altrove cerca di estremizzare il funk bianco che si prendeva un altra buona fetta di mercato all'epoca.
Il potenziale per esplodere e fare un'ottima carriera quindi c'era senz'altro per il quintetto, se non chè l'anno successivo furono protagonisti di una choccante svolta commerciale, con un solo fuoco di paglia e gli stenti successivi fino allo scioglimento, avvenuto nel 1990.

(Originalmente pubblicato il 09/11/2009)

mercoledì 3 luglio 2013

Organum - Veil Of Tears (1994)

Sorta di antologia di tracce sparse registrate nel decennio precedente all'uscita, con un Jackman al meglio di sè stesso, molto rappresentativo a mio avviso di ciò che è stato questo generatore di suoni chiamato Organum.
Innanzitutto la title-track, divisa in due parti di 15 minuti che aprono e chiudono il cd, realizzate coi due collaboratori Rowe e Prine, jam concreta per fiato di sotterfugio (basso tuba? trombone?), audio generatori, tubi di ferro fatti cadere da una certa altezza, campanelli, urla sparse, realizzata sotto la pioggia. Come sottotitolava il conduttore di Tedio Domenicale, live under the rain....
Delta è un colosso dronico che ricorda il suono di un sitar, disturbato costantemente dal classico archetto sui piatti di Jackman, come se fosse un violino dissonante impegnato in una lotta epica, che però viene doppiato in potenza da Lamentations. Molto più placida Obon, che trasuda misticismo industriale.
Molto più che ambient-drone o esoterismo; d'altra parte Jackman resta uno di quei personaggi sperimentali difficili da inquadrare, e Veil of tears è uno dei suoi capolavori.

martedì 2 luglio 2013

Organ - Grab That Gun (2004)

A sentire lavori come questo, sia all'epoca che dopo quasi 10 anni, verrebbe da stroncarli senza pietà. Eppure, fra ieri ed oggi l'avrò ascoltato 5-6 volte, mi si è attaccato come un contagio virale, e cosa ci vuoi fare. Le Organ erano un quintetto di ragazze canadesi (in larga parte omosessuali) che pubblicarono una manciata di singoli e quest'unico album, che è stramaledettamente new-wavizzato: organetto minimale, chitarre acute, basso propulsivo ed una vocalist che sembra la reincarnazione femminile di Morrissey.
E 10 pezzi che si somigliano più o meno tutti, e che ricordano i soliti grandi nomi dei grandi anni, e non se ne può più, e così via. Sarebbe uno scherzo stroncare questo disco, ma vale lo stesso discorso che feci per i Blessure Grave: enormemente derivativo ma gli si vuole bene lo stesso perchè è bello ciò che piace, in fondo....

lunedì 1 luglio 2013

Orb - 1991 The Orb's Adventures Beyond The Ultraworld

L'ultramondo; ecco la prima tappa del lungo viaggio che incredibilmente Alex Patterson continua ad intraprendere tutt'ora. Più scabro e subliminale del masterpiece U.F. Orb, è un lunghissimo doppio in cui già si intravedeva il grande senso dello humour del progetto ma già sfornava pietre miliari del genere, come la terminale ed ondivaga A huge ever growing pulsating brain etc etc etc, che acquisterà ancor più valore con remix successivo. E come non citare Little fluffy clouds, Back side of the moon, Into the fourth dimensions, tutte devote al ritmo da rave ma con inserti e sfondi letteralmente inediti per lo scenario?
Tutt'altro che bieco asservitore della pompa, Patterson si concedeva persino il lusso del quarto d'ora di relax di Spanish castles in space, intorno a metà strada. Unico limite del disco, l'eccessiva durata (che diventa quasi insopportabile nella ristampa di pochi anni fa), ma la navicella aveva già i motori caldi....