Disco discretamente citato, persino da musicisti di ultima generazione, specialmente nell'ambito art-pop, e rivalutatissimo dalla critica, forse perchè sempre rimasto con un aurea di culto addosso. D'altra parte Parks tale status si è guadagnato in 50 anni di carriera: collaboratore-ombra dei Beach Boys, special guest per una miriade di musicisti, cantautore dai ritmi lentissimi che è l'antitesi dell'odierno: soltanto 7 dischi!
Song cycle è la messa in scena di un musical colto, uno spettacolo teatrale, un'operetta da vaudeville, pop sinfonico come soltanto nel 1968 si poteva realizzare, da parte di questo grande consumatore di marijuana che mise i panni di direttore d'orchestra con uno stuolo di quasi 100 musicisti.
Degli ottimi momenti non mancano (su tutti direi The all golden) e la mia impressione è che un generale senso di auto-ironia pervada il tutto; ad esso corrisponde anche un'enorme auto-indulgenza, ma un ripescaggio così antico ci può stare, perchè dopotutto i suoi anni Song cycle se li porta bene.
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