sabato 30 novembre 2013

Smudge - Manilow (1994)

Frizzantissimo e godibile come una fresca serata estiva l'indie-power-pop degli australiani Smudge, in grado di rivaleggiare con gli amici e contemporanei Lemonheads in fatto di talento compositivo.
Se lo si prende per quello che è e null'altro, Manilow è fantastico: 25 pezzi tutti molto brevi (alcuni sono anche sotto il minuto), sia acustici che elettrici, briosi con melodie semplici e a presa rapida, mai ruffiani nè melensi, con qualche puntatina punk sparsa. Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Trovarsi a fischiettare e/o canticchiare Charles in charge, Ugly just like me, Divan, Little help, Ingrown è davvero un attimo.
Con questo freddo non c'azzeccherà molto ma il divertimento è garantito.

venerdì 29 novembre 2013

Smog - Supper (2003)

Anche se già entrato da tempo nella sua produzione raffinata, nel 2003 Callahan sapeva ancora colpire al cuore. Basti ascoltare quei due piccoli masterpieci di Our anniversary e A guiding light, umili e delicati, in grado di fare breccia al primo ascolto. Oppure la tensione sottopelle che si divora in Ambition, rievocante antichi amori selvaggi.
Supper tendenzialmente cercava di coprire un po' tutte le richieste del pubblico: dalla compostissima ballad con voce femminile, al country rock languido, al loureedismo fracassone e un po' pacchiano. Le buone vibrazioni non mancano di certo, ma diciamo che se se Callahan avesse estratto un po' meglio il materiale pubblicato fra il 1999 ed il 2005 ne avrebbe ricavato 2 disconi anzichè 4 dischetti con tante discordanze e qualche sbadiglio.

giovedì 28 novembre 2013

Smegma - Pigs for Lepers (1982)

C'è stata una cosa che mi ha quasi commosso riguardo agli Smegma, in un intervista letta qualche anno fa: ora che sono pensionati e con i figli grandi, possono dedicarsi alla musica (?) più di quanto fecero durante la loro giovinezza.
Della LAMFS furono l'ala meno colta, per non dire di spirito punk. Si racconta nella bio che si formarono nel 1973, ed il loro suono è un miscuglio di free-form freak-out discendente dagli estremismi di Red Krayola e Residents, ma anche dagli sballi rintronanti dei Godz, fino a lambire l'industrialismo più brado (collaborarono anche con un giovanissimo Boyd Rice). In Pigs for lepers non ci sono grosse eccezioni, se si eccettua l'anarco-noise-punk di Mutant baby. 
Ma al di là dell'aspetto storico, importante quanto si vuole, sempre piuttosto prescindibili.

mercoledì 27 novembre 2013

Smashing Pumpkins - Adore (1998)

Si potrà pensare qualsiasi cosa degli SP, nel bene e nel male, ma non si può dubitare di come siano stati strapazzati dalla stampa di tutto il mondo: esaltati, portati all'altare e poi alla polvere dopo un secondo, scrutati dai giornalisti pronti ad avventarsi come iene sulle loro (abbondanti) vicende personali. Certo, è successo più o meno così per molti altri gruppi in tutta la storia, ma da questo punto di vista gli SP sono stati veramente sfigati.
Così come lo è stato Adore, che ai tempi fu accolto molto freddamente ma che ora rivaluto con piacere. Dopo gli eccessi pantagruelici di Mellon Collie e le vicendacce umane del 1996, Corgan affrontò questa fase di crisi personale e se ne uscì con un disco meditato, con alcune delle migliori canzoni che abbia mai scritto (Crestfallen, Daphne Descends, For Martha, Blank Page). Raccolta che scarta completamente chitarroni, molto influenzata dalla mancanza di un batterista e molto influenzata dai Cure maturi di Wish.  
Rivalutato.

martedì 26 novembre 2013

Slowdive - Just for a Day (1991)

Anche loro in odore di reunion, immancabilmente. A meno che Halstead non stesse scherzando, un annetto fa, interpellato sulla questione. Fatto sta che un mese fa si è esibito in due serate coinvolgendo la Goswell come special guest, e di solito funziona proprio così se ci si pensa: un accennino, un concertino, e via andare verso la riunione completa.
Non sono certamente preoccupato della cosa, io mi riascolto Just for a day in questa versione deluxe che sul secondo cd ospita i primi 3 ep con cui la Creation li presentò al mondo come nuovi, fenomenali virgulti del dream-pop britannico. Con quelle armonie panoramiche, le voci angeliche, le dolci composizioni di Halstead e gli impasti chitarristici i Slowdive sono ancora leggenda.
Come non poter emozionarsi ancora di fronte alle gemme lucentissime di Celia's dream, Catch the breeze, The sadman, alla drammatica Primal che chiudeva il disco in maniera stupefacente. Ma il vero picco secondo me fu proprio il primo pezzo del primo EP, che si chiama esattamente Slowdive. Rabbrividente, sempre.

lunedì 25 novembre 2013

Sleep - Live at Atp 2009-05-10

Nel 2009 tutto ci si aspettava fuorchè una reunion degli Sleep, e per più di un motivo: l'anno precedente Cisneros, intervistato in qualità di Om-man insieme ad Amos, aveva risposto con un secchissimo no ad una maliziosa domanda. Haklus aveva abbandonato da neanche un anno e si ipotizzava un ritiro per lui, Pike ormai in fase di rendita con High On Fire e si diceva beccatosi a morte con Cisneros ai tempi post-Dopesmoker.
Invece all'All Tomorrows Parties eccoli comparire in tutta la loro granitica forza per stritolare un pubblico a dir poco entusiasta; il bootleg è di media qualità e permette di saggiare il trio in grande forma, come se il decennio e rotti di iato non fosse neanche passato. Gran parte del set contiene estratti di Holy Mountain, com'era lecito e doveroso aspettarsi. 
Spiccano anche due estratti da Dopesmoker e persino un inedito in linea, Antarctican's thought, probabilmente outtakes dello stesso. Non ci si aspetti alcun tipo di rivoluzione dagli Sleep: solo urticante sabbathismo, solo ustionante doom dell'anima.

domenica 24 novembre 2013

Sleep - Dopesmoker (2012 Remastered Vinyl)

Ristampa in vinile della Southern Lord che fa giustizia e tributo nei confronti di ciò che rappresenta lo zenith assoluto dello stoner-metal. Non sono un audiofilo ma è inevitabile cogliere una differenza con i cd che ho ascoltato a raffica in questi anni (il semi-illegale e tagliato Jerusalem nel 1999 ed il finale Dopesmoker del 2003), rilevando un sano e spiccato riverbero generale, un suono più nitido delle chitarre ed un maggior equilibrio delle frequenze basse. Unico limite tangibile, il brutale fade-out proprio al 42esimo minuto in corrispondenza di uno dei momenti più emozionanti ovvero l'inizio della rabbrividente pausa mistica: mi rendo conto comunque che si è trattato tecnicamente di una necessità dovuta alla durata della facciata vinilitica, alla faccia della sfiga.
Sul lato D compaiono due live; il già noto del 1992 Sonic Titan e l'inedito Holy Mountain eseguito nel 94 in quel di San Francisco, un po' carente come fedeltà ma indicativo di come erano i giovani Sleep sul palco.
Riguardo a Dopesmoker, c'è proprio poco da dire; nel mio piccolo, direi un monumento di un'ora al black-sabbathismo amplificato esponenzialmente, dal ritmo dispari, cantato da Cisneros come se fosse hardcore drogato, con tante di quelle variazioni da far accapponare la pelle e da mandare a quel paese chi si azzarda a dire che è monotono, con un paio di assoli di Pike che ancora mandano in estasi.

sabato 23 novembre 2013

Slaves - Spirits of the Sun (2012)

Tra i tanti modi di fare revivalismo ambientale, c'è una via ammirabile che vede protagonista questo duo misto dell'Oregon, ovvero cercare la trascendenza con testardaggine e caparbietà fino a raggiungerla in appena mezz'oretta di Spirits of the sun.
Dalla loro hanno anche un occhiolino strizzato all'ambient-drone-gaze di questi anni, che contribuisce attivamente a trasfigurare questi splendidi 4 pezzi: 111 vede la voce femminile intonare un coro ultraterreno, fino al sopraggiungere di una breve tempesta elettromagnetica che introduce il sublime trip cosmico di River, mutuato dai corrieri tedeschi ma davvero memorabile nel suo svolgimento armonico.
Il crescendo incessante di The field rivela un'aspetto ambientale che ha quasi del gotico; la chiusura è riservata ai 12 minuti di Born into light, altro mantra celestiale di grande suggestione.
I nomi che vengono subito in mente sono, oltre ai corrieri cosmici, Grouper, Voice Of Eye ed duo inglese ormai dimenticato che fu protagonista negli anni '90 di una piccola azione pionieristica che forse oggi andrebbe rivalutata, ovvero i Flying Saucer Attack. Ma al di là di tutto, Spirits of the sun è veramente molto, molto bello.

venerdì 22 novembre 2013

Skullflower - Argon (1995)

Di solito, riguardo i dischi di free-noise, si può usare l'aggettivo impenetrabile, spesso se ci si riferisce ad una muraglia. Parlando di Argon, uno dei primi album dell'unità terroristica inglese Skullflower, mi verrebbe da dire invece molto penetrabile; nell'occasione composta da spinosi feedback continuativi (pseudo-chitarra), starnazzamenti incontrollabili ed ovviamente atonali (pseudo-sax o pseudo-flautino) e qualche rara comparsa del tipo se ci sei, batti un colpo (fustino di latta o affine).
Definire Argon concept o sinfonia in 4 movimenti può essere molto discutibile, anche se in effetti la divisione c'è: ciò che è più interessante è che gli Skullflower erano già distanti dall'area industriale, e con questo lavoro si proponevano come una specie di incrocio fra i Dead C più drogati e dei Borbetomagus completamente incapaci di suonare. Sarà indigesto a chiunque, ma è una catarsi lunga 80 minuti che vale la pena di oltrepassare almeno una volta.

giovedì 21 novembre 2013

Richard Skelton - Limnology + Ridgelines (2012)

Si contaddistingue sempre, Skelton; prima di dare il seguito compiuto di Landings, l'anno scorso si è materializzato con il libro Limnology a cui è stato allegato un cd contenente l'omonima traccia, poi ha pubblicato Ridgelines, consistente in un kit di stampe a cui viene abbinato il download di due tracce da un quarto d'ora ciascuna dedicata a due colline, una inglese ed una irlandese.
Dopo che ho visitato l'Irlanda nel 2012, il mio legame con la musica di Skelton si è fatto ancor più forte, e poco importa se non ci siano novità rilevanti nel suo output e si mantenga nell'ambito drone-chamber ultraterreno a cui ci ha abituato: Limnology è una tempesta molecolare per stratificazione di archi e bordoni di organo, più quiete e vicine a Landings (ma per questo forse più rassicuranti) le due tracce di Ridgelines.
In ogni caso, è sempre dovuto un omaggio al maestro anche in caso di episodi interlocutori.

mercoledì 20 novembre 2013

Six Organs Of Admittance - The sun awakens (2006)

A metà circa della propria missione, Chasny rilasciava The sun awakens, disco che riaccende in me un'idea inquietante, che ho sempre sopito in corner, ma che a volte si fa pressante: e se Chasny fosse un pochettino sopravvalutato?
Ho apprezzato molto Luminous night, del 2009, ma ho come l'impressione che col passare del tempo le sue idee siano ridotte al lumicino e i suoi albums sempre meno interessanti. Sempre fermo restando che si tratta di un personaggio di tutto rilievo e che il suo acid-folk misticheggiante sa sempre creare visioni suggestive.
L'apoteosi in questo capitolo è composta dai 24 minuti di River of trasfiguration, una aberrante muraglia drone-metal con soffici cori e dissoluzione angelica finale; dove stia la meraviglia o la noia è molto soggettivo da stabilire, e lo stesso discorso vale per gli altri pezzi.
Controverso.

martedì 19 novembre 2013

Six Minute War Madness - Full Fathom Six (2000)

Probabilmente eleggibile a disco italiano più louisvilliano di tutti i tempi, Full fathom six fu terzo ed ultimo disco dei SMWM, loro vertice espressivo e mediamente più meditato dei precedenti.
Perchè louisvilliano in questo caso ha un accezione del tutto positiva; lungi dall'essere copia carbone degli Slint, i milanesi traevano comunque linfa vitale da quelle sonorità per le pieces ipnotiche di Gli incubi, VI Moravia, Come un soffio, Tokyo, Panorama, composte di sinuosi intrecci chitarristici e ritmiche irregolari. Alla proverbiale aggressività restano gli stentorei anthem di Full fathom six, Un filo di vita, Prima noia (qualcuno si ricorda degli A Minor Forest?), o la lunga Washington che urla, compendio e riassunto delle tematiche del sestetto.
Album che col tempo non ha perso un oncia del proprio valore e che sancì la fine di una band fra le italiane più autorevoli degli anni '90.

lunedì 18 novembre 2013

Six Finger Satellite - Severe Exposure (1995)

Dopo quello che comunque era l'exploit inatteso di un quintetto spuntato dal nulla sulla Sub Pop, i 6FS asciugarono ogni orpello, compattarono e veicolarono tutta la loro pazzoide aggressività nel loro capolavoro, e caposaldo dell'elettro-noise-rock tutto.
Ciò che folgora ancora oggi all'ascolto è che tutto sommato Severe Exposure è un disco divertente, pieno di trovate trascinanti: non necessariamente geniale, ma uno di quei dischi sregolati da ascoltare a ripetizione per cercare di capire l'origine; certamente Devo (più per attitudine che per suono) e Chrome, dei quali riprendono certe cadenze sostenute e le deflagrazioni dei due chitarristi, con evidenze particolari per i singulti spesso filtrati di Ryan e le frasi deliranti di moog piazzate spesso a mo' di ritornello.
Pezzi irresistitibili Parlour games, Cock fight, e soprattutto Dark companion, Rabies (baby's got the). 
Un torrente in piena di noise-wave.

domenica 17 novembre 2013

Siouxsie and the Banshees - Juju (1981)

A fine anni '80, quand'ero un tenero adolescente, mi capitò per le mani non ricordo in quale circostanza, una C90 con un arbitrario best-of di S&TB; dei 9 pezzi contenuti in Juju ve ne erano ben 7, sia estratti pari pari che versioni live. Guardando a posteriori, non si poteva non essere d'accordo con l'anonimo compilatore, in quanto il 4° album rappresentava il top di una progressione che ormai del punk iniziale non possedeva altro che la foga negli episodi più concitati. Merito anche di McGeoch, fresco di fuoriuscita dai Magazine, in grado di conferire qualche intarsio chitarristico di grande rilevanza.
Poi pazienza se la musica è invecchiata più di altri contemporanei, se oggi la si percepisce come di livello inferiore ad altri classici del dark: l'ascolto di Juju è un tuffo al cuore, sempre.

sabato 16 novembre 2013

Silver Mt. Zion - Horses in the sky (2005)

Durante il lungo hiatus del gruppo madre, tutti gli occhi dei godspeediani erano posati su di loro che, nella proverbiale indifferenza per il mondo davano alle stampe lavori sempre interessanti. E all'epoca di Horses in the sky non si era mai sentita una vocalità così diffusa, con un Menuck debordante ed onnipresente, al punto che forse non aveva più senso parlare di epic-instru o derivazioni.
Una voce, la sua. alla quale seguono quelle degli altri componenti, in occasione di qualche coro bello squillante. Voce che non è impeccabile tecnicamente ma che sa comunicare umanità e passione sincera in un contesto che non lesina nulla a livello emotivo, con gli archi in risalto, un substrato di litanie puramente folk che sanno elevarsi al cielo degnamente (Ring them bells il picco della situazione).
A tratti un po' ripetitivo, forse non all'altezza del precedente (il primo credo resti irraggiungibile), ma sempre di alto livello.

venerdì 15 novembre 2013

Silver Apples - Contact (1969)

Ho un mio punto di vista sui Silver Apples che va molto contro corrente: furono sì rivoluzionari e pionieri dal punto di vista del suono, ma così valenti nel campo strettamente musicale no, proprio no.
Nè sul primo nè su Contact appare un efficace, palese e lodevole talento musicale. Tutt'al più potrei asserire che l'elemento più interessante erano i ritmi di Taylor, scalcianti e creativi. Ma è stato l'armamentario di effetti su cui era ripiegato Coxe a celare quella che secondo me è una mera pochezza compositiva: le canzoni dei SA sono immerse ancora in tutto e per tutto nei sixties, con la carnevalata di tutta quella serie di spirali e gorgoglii ronzanti che li hanno resi diciamo anticipatori di elettronica e robe molto importanti. Tali canzoni sono perlopiù di una pochezza quasi sconcertante, ma ciò al mondo non è importanto per niente. In fondo erano solo due freaks con un idea in testa e la misero in pratica, guadagnandosi solo fama critica postuma.

giovedì 14 novembre 2013

Sigillum S - Helix Parasites (1992)

I masters italiani indiscussi dell'esoterismo con quello che forse è stato il loro album più rappresentativo, meno ostico del predecessore Dispersion che invece era senza compromessi e forse superiore. In Helix Parasites prevale l'aspetto ritualistico, c'è meno industrializzazione e persino qualche virata psico-teatrale (la lunghissima End of Continuum, scandita dal piano, immersa in una desolazione infinita, un gioiello). Quindi, un classico a tutti gli effetti che sigillava la fruttuosa partnership fra il visionario Bernocchi ed il concreto Bandera.
11 pezzi, frammentati fra di loro da altrettanti brevi sketch del paradosso, con il comune denominatore dell'ossessività costante ma senza mai pestare a fondo: una vittoria del carisma e dell'elettronica umanoide, quasi imperiosa.

mercoledì 13 novembre 2013

Sightings - Through the Panama (2007)

Come suonerebbero i pezzi dei Sightings se fossero arrangiati non dico normalmente, ma quantomeno non in maniera così belluina e rumorosa? Forse suonerebbero alla Liars fase centrale, anche perchè in Through the panama Morgan bofonchia anemico come Andrew, oppure come dei Black Dice invasati e senza strategie tattiche di sconvolgimento.
Invece è giusto che suonino così, perchè ormai è 6-7 anni che sono diventati un classico del post-noise. Magari non fanno più così paura come all'inizio, e gli ultimi dischi non hanno molto da dire di quanto non abbiano già espresso, ma restano indigeribili per tanti. Through the panama è un casino irrisolvibile, non dà tregua ed è un ascolto che lava via tutte le impurità. Per me oggi è stata la valvola di sfogo alla fine di una giornata un po' stressante, ed ha funzionato.

martedì 12 novembre 2013

Siamese Stepbrothers ‎- The Siamese Stepbrothers (1995)

Supergruppo estemporaneo uscito su Cuneiform. Data la settorialità della label era facile presumere che si trattasse di jazz-rock o stretto affine, un po' meno scorrendo la formazione; passi per l'avant-chitarrista Kaiser, il batterista Ligeti e per il pianista Constanten, ma di certo non ci si aspettava che Anderson e Sophiea degli MX-80 Sound si prestassero a questo tipo di operazione.
Diciamo così, un po' vanesia. E' sempre un bel sentire distratto, questa serie di jams in larga parte improvvisate, è sempre un bel seguire Anderson che ingaggia sfida su sfida atonale col suo tocco inimitabile, le sincopi ritmiche e le svisate pianistiche. Non si va, comunque, oltre un esercizio di stile / divertissment che termina per imitare migliaia di jazz già sentito. 
Per completisti dei musicisti coinvolti.


lunedì 11 novembre 2013

Shorty - Thumb Days (1993)

Quest'anno è anche il ventennale di Thumb days, non importa se forse sono l'unico al mondo a pensarci. Buon sangue non mentiva, perchè questo bruciante quartetto si sciolse l'anno successivo e metà di esso andò a fondare i mitici U.S. Maple. Ed erano il rauchissimo Al Johnson (definitivamente uno dei migliori non-cantanti di sempre) e il chitarrista Mark Shippy, qui ancora abbastanza distanti dall'art-noise-blues e traditori di origini probabilmente hardcore, figli incestuosi del noise-rock più granitico con le ritmiche più irregolari possibili ed un appeal instancabilmente beffardo. Rocketman, rocketman, Dynamite lover, Redbull, Presto i pezzi più memorabili di un lotto senza tregua.
Il growling sottile di Johnson è forse il tratto più distintivo; irritante, monocorde, afono, lo si appelli come si vuole. Per me è stato un grande e la carriera di US Maple l'ha successivamente dimostrato.

domenica 10 novembre 2013

Shock Headed Peters - Not born beautiful (1985)

Karl Blake è un personaggio davvero poco considerato, parlando di underground inglese. Forse viene più ricordato per Lemon Kittens, eppure i suoi Shock Headed Peters furono una proposta molto alternativa a metà eighties, specie con questo debutto sulla lunga distanza, dopo un paio di Eps che già facevano intravedere la bontà del progetto.
Travalicato validamente il post-punk e il gotico, per una buona metà Not born beautiful verte su un post-funk amorfo e concitato che sfiora l'industriale, impersonando in qualche modo cosa avrebbero potuto fare i Killing Joke se non si fossero ammorbiditi. Per l'altra metà invece predomina l'approccio arty-apocalittico di Blake, con una serie di lugubri e decadenti nenie dall'afflato struggente, con la potente ed espressiva voce in risalto: molto belle Ideal, Bad Samaritans e Mon repos.
Da tali, pericolosi incroci, ne fuoriesce un album un po' frammentario ma di grande effetto. Una via alternativa alla englishness in un epoca in cui si degenerava un po'.

Shellac - Friends of Shellac Plus 11 Ovens Demo (vinyl bootleg) (2008)

Bootleg di dubbia provenienza che non fa altro che raccogliere The futurist a 4 versioni grezze / strumentali di estratti da At Action Park, e comparso come fantomatico vinile nel 2008.
A proposito di The futurist, si racconta di un episodio abbastanza misterioso: registrato nel 1995, consta di 2 strumentali di 13/14 minuti ciascuno, pare composti per un gruppo di ballo canadese. Venne archiviato, messo in un cassetto e stampato poi in neanche 1000 copie da distribuire ad amici ed addetti ai lavori, in modo che non venisse mai considerato shellac album #2. Ed infatti tale è rimasto, cioè un ascolto riservato soltanto agli stretti estimatori di Shellac ed ai curiosi di cosa sarebbe potuto diventare il seguito del primo storico.
Tirate le cronache, non resta un granchè di memorabile: trattasi di una serie di 3-4 jam compatte e concatenate, abbozzi abrasivi (a tratti anche molto validi) di qualcosa che si poteva sviluppare ma che per motivi oscuri Albini accantonò.
Così succede che si finisce per raschiare il fondale e ripescare questo poker di provini grezzi risalenti al 1993/94: The admiral, Song of the minerals, Dog and pony show, Il Porno Star. 4 colonne d'Ercole che si ergono granitiche anche se strumentali e lo-fi.
Per aficionados.

sabato 9 novembre 2013

Shit And Shine - Cherry (2008)

Sensible scarto direzionale per S&S, che con Cherry mollavano un attimo la pressa stritolante dei loro panzer cingolati. Non ci sono più mostri come Ladybird o Practicing to be a doctor (o per meglio dire, qui c'è solo The rabbit song che dura 20 minuti ma non ha un gran mordente nè tiro da poter reggere il confronto), ed il collettivo anglo-americano ha optato per una maggior propensione allo shock-freak che già s'intravedeva; un approccio quasi subliminale che è ben poco frontale, si ascolti Charm and counter charm e ci si chiede ma questi non sono gli S&S, con questo synth-funk minimale in cui c'è a malapena una sola batteria e forse viene anche il sospetto che sia elettronica?
Niente paura per gli integralisti: qualche bastonata c'è sempre, è che dura poco e lo stile è mutato (nella title-track siamo in area noise-drone), ci sono pochi tribalismi e qualche sbrodolatura arty (Am I a nice guy forse avrà qualcosa da dire nel suo monologo, ma come apertura non è il massimo della vita) che a volte fa perdere il pallino della situazione.
Ma in fondo non ci si può aspettare ordine nè fili logici da questi folli; così, Cherry traccia un'altra linea di caos in una discografia con pochi passi falsi.

venerdì 8 novembre 2013

Shellac - Excellent Italian Greyhound (2007)

Verso la fine della penultima traccia, Paco, intorno ai 4'45" c'è una palese citazione di una progressione di accordi di Il porno star, anno di grazia 1994. Con questo non voglio insinuare che EIG sia un ritorno alle imprese titaniche di allora, ma se devo indicare un secondo miglior disco degli Shellac è l'ultimo della lista cronologica. 
Perlomeno è energico, sa graffiare come ci si aspetta dalle 3 volpi e amen se la forma e l'inventiva non sono più quelle di una volta, se ci si arrangia col mestiere e con lo stile.
Le divagazioni minimal/astruse che non fanno impazzire ci sono (Elephant, Genuine Lulabelle), ma questa volta la scaletta l'hanno studiata bene e sbadigli non ne escono. The end of radio e Boycott riportano con successo ai tempi di Doris/Wingwalker, e fanno centro pieno i noise-boogie a rotta di collo Steady as she goes e Spoke, da annoverare fra le cose più lineari mai fatte da Albini & Co. E non è un paradosso.

giovedì 7 novembre 2013

Shearwater - Rook (2008)

Non avevo mai neanche sentito parlare degli Shearwater fino a quando il leader Meiburg divise il progetto Blue Water White Death con Jamie Stewart, pochi anni fa. La curiosa somiglianza del canto fra i due me li fece confondere non poco, ma fortunatamente il confronto finisce qui e non c'è in campo musicale.
Shearwater, di fatto un progetto solista nonostante la formazione completa, vede un autore maturo, di origine indubbiamente american-folk (fu fra i fondatori degli Okkervil River) ma padrone di una situazione versatile e personale; conteso fra bucolicità commoventi (I was a cloud, Lost boys, Home life), classicissimi piano-voce (The snow leopard, curiosamente vicino ai Radiohead di Karma Police), melodrammi sostenuti e fragorosi (Rooks, Century eyes), Rook è un disco gradevole che forse rinforza la condanna, se tal si può definire gli Shearwater a restare un culto di nicchia; troppo complicati per diventare di successo e troppo sofisticati per attirare incensi dalla stampa. In ogni caso, la degna stoffa può mettere tutti d'accordo.

mercoledì 6 novembre 2013

Shackleton - Music For The Quiet Hour (2012)

Premessa importante: io NON so cos'è il dubstep. Voglio dire, non mi sono poi documentato un granchè, non ho approfondito se non leggendo qualche roba sparsa in qua e in là; in sostanza non ho ancora capito cosa contenga il contenitore tal definito.
Ho ascolticchiato ancora meno (Burial, i Demdike Stare sempre se si possano incasellare) e leggo che a quanto pare sia già in declino. Approdo a questo Shackleton, che addirittura viene definito post-dubstep, ed allora ho pensato "chissà che non possa saltare la prima fase e passare direttamente alla seconda"....
Ci sento un sacco di techno-trance anni '90, qui dentro, ma con una follia lunare ed un gusto per il collage amplificato di potenza (notevole l'uso delle voci campionate): i rimandi a quella stagione sono forti, sono passati 20 anni e....lo so che dovrei documentarmi meglio anche se Music For The Quiet Hour viene per l'appunto indicato come disco maggiore della corrente; è un gran bel sentire astratto anche se non sfonda nessun portone in particolare, a mio avviso.

martedì 5 novembre 2013

Sensations' Fix - Music Is Painting In The Air (1974-1977)

Risalta, ad una prima ricerca, che le review riguardanti questa raccolta siano tutte in inglese e non se ne trovi uno straccio di italiano che ne parli. Naturalmente è stata un'etichetta americana a curare un piccolo tesoretto che Falsini si è trovato a trafugare nel suo archivio privato e a rimasterizzare per l'occasione. Un sano spirito di rivincita, generato dopo che probabilmente Cold Nose ha smosso qualcosa nell'immaginario collettivo (mia pia illusione, forse, ma non importa). E nondimeno, un occasione per riascoltare i SF con un suono più dignitoso dell'originale.
Ben 30 tracce, e neanche una presa pari pari dagli album: si tratta di alternate mix e qualche inedito, un tuffo profondo nell'universo di Falsini & co. nel loro periodo migliore, fra il 74 e il 77. Materiale buono per l'eventuale neofita ma di interesse anche per il fan, che ha modo di ascoltare tracce previously unreleased tendenti al versante più spacey della situazione (con rilevanza alla mini suite di Darkside, ma c'è anche una buona ballad acustica apparentemente scritta per Celentano!), mentre la pesca agli episodi noti si rivela dopotutto azzeccata in special modo negli episodi sul formato canzone; letteralmente irresistibili Grow on you e Barnhause effect, la Music is painting che guadagna sezione ritmica e punti.


lunedì 4 novembre 2013

Sensations' Fix - Finest Finger (1976)

Terzo album, con l'innesto di un tastierista anch'egli americano come gli altri compari, e svolta terrena per Falsini che riduce sensibilmente la componente cosmica di SF in favore di composizioni più nitide, cantate e votate all'amalgama del gruppo, con conseguente possibilità per i gregari di mettere in mostra il loro talento.
D'altra parte l'incipit è clamoroso: il giro di chitarra ed il ritmo dispari rendono Strange about your hands un highlight memorabile e fa già capire di che pasta è fatto Finest finger. Pasta d'autore ai vertici della propria ispirazione; non c'è un pezzo che non sia bello, le arie sono fisiche ed in maggior parte cupe, si sfiora l'hard-rock (Yardbirds dream) ma le definizioni lasciano il tempo che trovano. Inutile sottolineare la qualità immensa degli intarsi chitarristici di Falsini (The left side of the green, Just a little bit more on the curve, Boat of madness), che trova sfogo anche sull'acustica con risultati passionali (la splendida Map). Il mio disco preferito dei SF.

domenica 3 novembre 2013

Sensations' Fix - Fragments Of Light (1974)

Dopo aver scoperto in maniera quasi casuale quella meraviglia abbagliante di Cold Nose, sono corso immediatamente all'ascolto della discografia del gruppo di cui Falsini fu guida nella seconda metà dei '70, un po' perchè ne ero all'oscuro anche se ne avessi sentito parlare ma si sa, non si finisce mai di scoprire anche in clamoroso ritardo. Come già considerai in quell'occasione, i Sensations' Fix furono un esperienza marginale nella scena italica: non erano progressive, bensì facevano psichedelia cosmica (ma anche alternata ad un songwriting folk-pop di altissima qualità) con pochissimi mezzi e furono pionieri di un etica DIY forse dettata da necessità, ma alquanto caparbia; allestirono un mini-studio nella sublime campagna senese e lì registrarono i loro dischi, successivamente distribuiti da Polydor.
A causa di tale autoproduzione però purtroppo il suono ne uscì penalizzato nonostante la ricerca dei toni e dei timbri sia sempre sembrata una peculiarità (o forse proprio per questo); in quest'ottica è stato davvero un peccato. Ma nonostante queste sonorità un po' opache e fumose, i dischi sono sempre lì a mostrarsi in tutta la loro bellezza, anche un po' naif se vogliamo, e forse per questo ancor più accattivante. Falsini, coadiuvato dalla validissima sezione ritmica di Edwards e Ursillo, spadroneggiava in lungo ed in largo con i suoi synth e la sua Les Paul, privilegiando le tracce strumentali e di atmosfera in questo Fragments of light, primo album ad essere distribuito dall'etichetta. Un po' corriere cosmico e un po' pinkfloydiano, ancora un pelo acerbo rispetto alle prove successive, si fa apprezzare per la gamma e la varietà delle composizioni, fra cui risaltano Music is painting in the air, Do you love me? e Telepathic children.
E menzione speciale per la chitarra di Falsini, un non-virtuoso tecnicamente ed un virtuoso del feeling: il suo stile slow-handed discende dal blues e sfocia in un espansionismo dell'anima di rarissimo gusto e classe.

venerdì 1 novembre 2013

Seirom - 1973 (2012)

Nel caso in cui il filone GTT si inaridisca e non trovi nuovi sbocchi, a partire dal 2011 De Jong ha già attivato il suo progetto del  futuro: si chiama Seirom e non ha molto da invidiare al fratello maggiore.
Il dna del proprietario, comunque, è inconfondibile; massimalismo al potere, eccesso sonoro con fermezza, pericolosa iperprolificità. 1973, uscito l'anno scorso per Aurora Borealis, è un doppio cd che incredibilmente non stanca per un attimo in tutti i suoi 90 minuti. Purgata la componente metal di un buon 80%, la musica verte su mille sfaccettature di luci ed ombre, folate e meditazioni. Un gaze-ambient-core che lavora ai fianchi e crea visioni allucinogene, ora non più infernali come GTT ma anche terrene, sovrannaturali: a tratti persino celestiali, salvo poi calarsi in vortici abbaglianti.
Come solitamente accade, è il lavoro di cesello e stratificazioni soniche a fare la differenza, oltre che alla gamma di timbri. C'è poco da fare, De Jong è un artista manifesto dei nostri anni.