Di solito, riguardo i dischi di free-noise, si può usare l'aggettivo impenetrabile, spesso se ci si riferisce ad una muraglia. Parlando di Argon, uno dei primi album dell'unità terroristica inglese Skullflower, mi verrebbe da dire invece molto penetrabile; nell'occasione composta da spinosi feedback continuativi (pseudo-chitarra), starnazzamenti incontrollabili ed ovviamente atonali (pseudo-sax o pseudo-flautino) e qualche rara comparsa del tipo se ci sei, batti un colpo (fustino di latta o affine).
Definire Argon concept o sinfonia in 4 movimenti può essere molto discutibile, anche se in effetti la divisione c'è: ciò che è più interessante è che gli Skullflower erano già distanti dall'area industriale, e con questo lavoro si proponevano come una specie di incrocio fra i Dead C più drogati e dei Borbetomagus completamente incapaci di suonare. Sarà indigesto a chiunque, ma è una catarsi lunga 80 minuti che vale la pena di oltrepassare almeno una volta.
Una volta sola.
RispondiEliminaAltrimenti ti viene voglia di Nino D'Angelo.
Non sia mai. Io ci sono passato due volte in un giorno e non è stato così malaccio.
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