venerdì 28 febbraio 2014

Tweak Bird - Undercover Crops EP (2012)

Spassoso quasi-pop-metal suonato con foga e precisione per questo power-duo di fratelli provenienti dall'Illinois. Nulla di rivoluzionario ma nel suo piccolo è qualcosa di originale: sembra di sentire i Melvins più massicciamente veloci con alla voce due folletti ben armonizzati fra di loro, appena usciti dal coro della chiesa, al posto di Buzzo. In due parole, metal da cartone animato.
Sarà anche perchè dura un quarto d'ora, ma questo EP diverte e coinvolge. Le composizioni in sè non sono fenomenali e il chitarrista sforna riffs rimasticati che non sono molto innovativi, ma è questo aspro contrasto che genera interesse. Il seguito sarà da analizzare.

giovedì 27 febbraio 2014

Trumans Water - Spasm Smash XXXOXOX Ox & Ass (1993)

Il fu John Peel non era sempre la Bibbia, ed ogni tanto aveva anche lui i suoi eccessi: trasmise per intero, senza interruzione alcuna, il primo album dei californiani Trumans Water durante una delle sue trasmissioni. Di sicuro ne derivò una visibilità altrimenti ridotta alla classica audience della Homestead, ma non era questo il solo punto. Perchè Spasm Smash a 20 anni suona ancora come un caposaldo dell'alternative-rock, intricatissimo e dilagante; di sicuro non destinato al successo ma al consenso critico (oltre a Peel, ricordo che ai tempi anche il planetrocker Max Prestia impazziva per loro).
Con una perla nel finale, la cover dei Faust: una discendenza che non volevano celare ma che poteva sviare; i TW non facevano avant-rock, semmai finivano per violentare il corpo dell'indie immergendolo in una selva di dissonanze, avarie ritmiche, fughe astruse e persino qualche melodia accattivante. Impossibile estrapolare un highlight: il sospetto del concept è forte, visto anche il ritmo incessante con cui si susseguono le tracce. Ma se analizziamo l'ultima parola del titolo, ne sovviene un altro, di sospetto....

mercoledì 26 febbraio 2014

True Widow - Circumambulation (2013)

Giunti al terzo album, forse i TW si saranno trovati di fronte ad un interrogativo inquietante: continuare sullo stesso binario come se nulla fosse o cercare di mischiare le carte? La decisione, consapevole o meno che sia stata, è ricaduta sulla prima. Dopo lo stupefacente secondo c'era stata un appendice interessante, quell'ep I.N.O. che senza troppa convinzione proponeva qualche variante allo stile già classico del trio di Dallas.
Ora, da un fan molto convinto come me, potrà anche sembrare un po' maligno ma devo dire che Circumambulation a livello compositivo non riesce a bissare la magia dei due precedenti, e pazienza, sarebbe stato difficile per chiunque, figuriamoci per i TW che evidentemente non sembrano avere tantissimi mezzi a disposizione se non quelli già espressi con grande brillantezza. S:H:S, I.M.O. e Lungr sono i pezzi migliori per una formula che forse inizia a mostrare un po' la corda, e che necessiterebbe di una rinnovazione. Dette tutte le mie cattiverie, ascolto comunque con piacere a più riprese.

martedì 25 febbraio 2014

Trapist - The golden years (2012)

Trio viennese che forse prende il nome da un formaggio ungherese, ma il contesto geografico in sè non è quasi da prendere in considerazione vista l'alto tasso di sperimentazione. Condividono il batterista con i Radian e la base di partenza sarebbe un post-jazz abbastanza modernistico, visto l'impianto batteria spazzolata+contrabbasso+chitarra pulita e l'estrema pulizia del suono.
Senonchè, l'impostazione impro ha il sopravvento sul tutto facendo un po' perdere la bussola nel finale, con i 14 minuti di Walk these hills lightly a trascinarsi con un filo di stanchezza. Prima però i tre fanno grandi cose, denotando una padronanza indiscutibile degli strumenti ed un intelligenza architettonica che in certi passaggi dell'iniziale The gun that's-... esalta in particolare il chitarrista più quando ha il legno in mano che quando si trasferisce ai macchinari, da dove esala squittii e bordate controllate di rumore. 
La traccia più corta, Pisa, è stata ivi registrata nell'ambito di un festival jazz, ma non lo si direbbe. E' l'utilizzo di uno strumento aggiunto, il silenzio, a rendere Golden years fascinoso ed interrogativo.

lunedì 24 febbraio 2014

Trans Am - The red line (2000)

Su di loro ho già espresso più o meno tutto qui, qui, qui e qui. Giunto ad un quinto post su di loro, inizio a pensare che avrebbe maggior senso costruire una monografia, all'interno della quale The red line ha una postazione cruciale e ben definita, margine fra i primi ineffabili anni e la seconda parte maggiormente elettronica, per non dire plastificata.
Venti tracce per 70 minuti, la solita beffarda attitudine gigionesca ed un mare di spunti; per il greatest hits sul versante rock ci sono Play in the summer, Don't bundle up, la complicata The dark gift e Ragged agenda. Ma mai fermarsi agli highlights, con i Trans Am:: sono da prendere in blocco, o lasciare.

domenica 23 febbraio 2014

Trance - Audiography (1993)

Prima di Subarachnoid Space, Mason Jones aveva questo strano progetto chiamato Trance in cui fondeva ambient, industriale ed un oscuro misticismo mutuato dai primissimi Popol Vuh; una specie di sinfonismo dark seriosissimo in cui non pare di udire mai una chitarra bensì un effluvio di synth, organi, un po' di percussioni a movimentare in qualche traccia.
Estremamente diverso da quanto esplorò in seguito con SS, in quanto qui non c'è ombra di psichedelia. Costeggia la dark-ambient senza sprofondarci, occhieggia alla neo-classica per l'enfasi delle partiture, lambisce i corrieri tedeschi nelle intenzioni ma senza mutuare troppo. Con questo Audiography Jones fu molto ambizioso, ma il risultato finale non appare proprio sensazionale. Difatti, al contempo SS era già sul punto di decollare.

sabato 22 febbraio 2014

Totsuzen Danball - Naritatsukana - Can I (1981)

Non sto a tirar fuori il solito discorso di come possono esser strani ed inclassificabili i giapponesi alle nostre orecchie etc etc., anche se il caso dei TD ne è ennesima dimostrazione. In piena epoca new-wave ne prendevano (involontariamente?) le distanze e producevano questo album di debutto dall'incontrollabile originalità.
Trattavasi di un classico power-trio di cui due erano fratelli; il primo pezzo, ‘Senatku to Hairetsu, è talmente naif che disorienta subito. Chitarra e basso strimpellano all'unisono un semplicissimo sgocciolio di 4 note, che sembra di aver di fronte dei tizi che non hanno mai suonato in vita loro. L'effetto, complice anche una produzione spoglissima, è quasi ipnotico. In realtà come biglietto da visita non è poi così rappresentativo: la percentuale naif non eccede mai oltre il dovuto e anche quando ci si aspetta che il disco vada in stanca, dietro l'angolo fa sempre capolino una creatività debordante. Nei pezzi meno strani, diciamo 3-4 su 16, possiamo udire qualche influenza dei Fall o del Captain Beefheart più rude (fantastica Kaizoenin no Kibosuru Koto, in tal senso). 
Ma forse le prodezze maggiori i TD le compievano nei passaggi acustici, come nel prodigioso cicaleccio di Mokkoh, nel surreale claudicante di Tokidoki, nell'anti-torch-song Sonomama de (Ashita wha Christmas). Sconvolgono anche i tratteggi quasi cubisti di Ya.su.mi. e Sugoku Hidoi. 
Non finisce mai di sbalordirmi, il sol Levante.


venerdì 21 febbraio 2014

Tortoise - Lonesome Sound + Mosquito 7'' (1993) + Gamera EP (1994)

I primi singoli vinyl-only dei chicagoani, fra false partenze e grandi rivelazioni. Roba che per manco un terzo verrà ripescata nel 2006 sull'antologia A lazarus taxon, a far pensare che non abbiano una grande considerazione di questo materiale.
Infatti nel primo non sembrano proprio i Tortoise: Lonesome Sound era una cover dei Freakwater, band concittadina radicata nel folk-rock, un compassato esercizio senza sussulti percettibili e persino un timidissimo cantato. Meglio il retro, Reservoir sheets che sfodera un ritmo che diventerà classico e sfuma in un recitato anemico contornato da rumori sparsi.
Forse la presenza di Brown aveva ancora un certo peso nelle decisioni: su Mosquito si lavora ancora di smussatura su quel marchio in procinto di esplodere: i fiati danno colore ad un saltellìo altrimenti un po' freddo, Gooseneck rilancia con baldanza e linee di basso sguscianti.
Entriamo nel 1994 e le cose si fanno ancor più serie: a dispetto di una pastorale intro di chitarra classica, Gamera è il propulsore di 12 minuti che fa decollare la tartaruga a tutti gli effetti, di fatto una prova generale di Djed, e non a caso finì anche fra le bonus-tracks dell'edizione giapponese di Millions. E Cliff dwellers society è ulteriormente anticipatore di ciò che verrà dopo di esso: una colonna sonora di gran lusso e senza tempo, con arsenale di fiati in grande risalto ed il motivo guida, fra i più brillanti mai composti da McEntire e compagnia.

giovedì 20 febbraio 2014

Tomografia Assiale Computerizzata - T.A.C. (1983)

Ristampato un paio d'anni fa, e meritoriamente in quanto da recuperare, TAC vedeva il debutto un quintetto coeso e molto diverso da ciò che il leader Balestrazzi sviluppò in seguito come propaggine di fatto solista, ma sempre al nome TAC legato.
Trattavasi di qualcosa di difficilmente definibile in cui c'erano svariati stili: jazz-rock spastico, elettronica industriale, post-funk, chitarrismi atonali alla Captain Beefheart e persino Rock in opposition (Introdotta la scrofa nel mattatoio ricorda abbastanza gli Stormy Six di Macchina maccheronica). Le declamazioni psicotiche della voce, o per meglio dire autistiche come lo stesso vocalist si dichiara, contribuiscono a rendere il risultato ancor più deviato. A dispetto dell'apparente approccio semi-serio, i TAC non scherzavano molto: seppur frammentario e datato nei suoni che sia, a 30 anni il processo appare ancora molto creativo.

mercoledì 19 febbraio 2014

Amedeo Tommasi - Spazio (1973)

Una festa di oscillatori che prosegue per traiettorie che evocano un Klaus Schulze in miniatura e depurato da trionfalismi wagneriani. Così ha scritto Valerio Mattioli riguardo a Spazio, e potrebbe bastare per dare un idea del suono allucinato, perverso e fosco creato da Tommasi, librarysta di culto ma che di lavoro ha fatto in gran parte pianista jazz, compositore di colonne sonore e turnista dal vivo per nomi famosi della musica leggera nazionale.
Come la maggior parte dei colleghi contemporanei più o meno illustri, Tommasi si è cimentato con sonorizzazioni sotterranee e questa più che uno sguardo alla volta celeste si direbbe un bad trip di sfasature liquide, di brancolamenti lunari; poche le fasi veramente musicali, dovuta a qualche sparuto bordone d'organo. Spericolato.

martedì 18 febbraio 2014

Toiling Midgets - Dead Beats (1985)

Nella carriera ultra-precaria dei californiani TM ci sono stati soltanto 3 dischi, e pensare che tutt'ora sono in attività come recentemente dichiarato in un intervista dal chitarrista Gray. Il primo Sea of unrest era ancora abbastanza influenzato dalle loro origini punk, l'ultimo fu il bellissimo Son ed era ormai un altro gruppo del tutto. Nel mezzo ci fu questo Dead beats che rappresenta una terra di mezzo: fra le diradate sfuriate di energia grezza (gli unici pezzi in cui compariva la voce del primo cantante, già dimissionario all'epoca dell'uscita) comparivano digressioni acido-desertiche affini ai Thin White Rope, curiose commistioni fra new-wave e decadenza britannica, nonchè un piccolo capolavoro come la spettrale Preludes, dal crescendo assassino di chitarre affilate. Ah, se solo fosse stato prodotto un po' meglio...in ogni caso un gruppo totalmente sconosciuto ma da rivalutare.

lunedì 17 febbraio 2014

To Live and Shave in LA - Noon and Eternity (2006)

Dopo varie dissolute esperienze negli anni '80 (spicca quella dei Pussy Galore, seppur breve), il non musicista statunitense Tom Smith formò i TLASILA, che in una carriera di 15 anni hanno rilasciato qualcosa come 23 albums. Volendo soffermarmi su un'estratto a più o meno sorte, il responso resta mozzato a metà perchè se quest'album fosse stato realizzato nel 1994 avrei pensato che fosse stato un colpaccio pre-2000-noisers, nel 2006 invece mi resta un forte dubbio; questi ci facevano o ci erano?
In ogni caso, noise schiumoso, acido, tirato per le lunghissime ma non harsh: a tratti percussivo ma non serrato, con la verbosità incontrollabile di Smith che sembra più un folle cosciente delle proprie azioni che un ubriaco internato agonizzante. Chiamarla avanguardia forse è un po' eccessivo; non sostengo che questi brutti ceffi abbiano fatto tutto alla carlona, un flusso artistico di sicuro c'è stato. Ma siamo lontani dalle espressioni raggiunte da loro successori come Sightings, tanto per dire. Lasciano interdetti, i TLASILA; è un suono indefinibile che sbigottisce e non ammette repliche immediate.

domenica 16 febbraio 2014

Tiger Lillies - Births, Marriages And Deaths (1994)

Premettendo che il folk-cabaret un po' gitano ed un po' mitteleuropeo alla Brecht non è proprio una delle mie passioni, e che l'ascolto di questo disco mi è stato provocato dallo split con i Contrastate, devo riconoscere ai TL una forte peculiarità. Trattasi di un trio londinese attivo da 25 anni, totalmente acustico in quanto composto da voce/fisarmonica, contrabbasso e batteria: eppure, nonostante le chiare derivazioni di origine sopracitate, dalla loro parte c'è sia il tipico umore che l'innato melodismo britannico a fare la differenza. Resta sempre  una questione di gusti che la voce acutissima, quasi isterica del frontman, sia sgradevole o meno: di certo è un fattore quasi unico, fondamentale.
In questo debutto, il primo di una lunghissima serie (30 dischi circa in 20 anni), ci sono 25 brevi pezzi generalmente tutti andanti con brio e baldanza, che nascondono testi raccapriccianti se non violenti, ma che riescono a strappare più di un sorriso anche se non è la propria cup of tea.

sabato 15 febbraio 2014

Thule - Wheel (1990)

Continuare a cercare info sui Thule in rete diventa sempre un vicolo cieco; se non altro ho appena scoperto che uno di loro era neozelandese con radici punk emigrato a Manchester. Altro non c'è speranza di sapere, c'è solo da ascoltare quanto fosse brillante questa band che anticipava quella corrente dell'elettro-rock che negli US avrebbe generato band illustri come Brainiac, Trans Am e Six Finger Satellite. Seppur inferiore al successivo, magnifico 321 Normal 2, (forse più per la produzione un po' patinata che per la sostanza) Wheel metteva bene in mostra il sound eclettico sospeso fra electro-dub geneticamente modificato (Looking backwards to see you, Sharps, Concave bulge), ed irresistibili, ritmatissime fughe (World service, S.G.L., Robber), stabilendo l'effettivo ponte fra i Kraftwerk ed il post-punk, possedendo l'innato melodismo dei primi e le ritmiche serrate del secondo. Ripeschiamoli, amabilmente.

venerdì 14 febbraio 2014

Throbbing Gristle - 20 Jazz Funk Greats (1979)

Quanta sardonica ironia c'era nelle azioni dei TG, al di là dell'intenzione generica di shockare; titolo e cover di questo loro terzo album non facevano altro che rassicurare l'utente medio, ignaro degli incubi e degli stordimenti celati fra i solchi.
In realtà effettivamente si trattava di roba meno cruenta dei precedenti, con l'attenzione volta alla subliminalità e al graffio beffardo, però assestato di striscio, non allo stomaco. La title-track, in apertura, è un piccolo capolavoro di astrattismo pseudo-dub; il ritmo spezzato sintetico, le svisatine di synth, le trombe in dissonanza. Il disco si snoda attraverso diversi stili; i TG iniziavano ad avere maggior esperienza dei loro mezzi e da non musicisti erano diventati seviziatori consapevoli, cinici nelle tracce che facevano sfoggio di una musicalità: gli incubi library di Tanith ed Exotica, il brancolamento di Persuasion, il german-style di Walkabout (per tacere di quello applicato alla disco Hot on the heels of love, trash oltre misura). Il top però sta nel dark-ambient orrorifico di Beachy head, negli stantuffi meccanici di Still walking e Convincing people, nell'ossessiva marcia di What a day e nello psico-dramma chitarristico di Six six sixties, beffardamente tagliato dopo appena 2 minuti.
Nella ristampa in cd sono saggiamente annesse due versioni live di Discipline, a ripristinare il caos primordiale su di cui avevano fondato il loro malefico, formidabile piano di lavoro.

giovedì 13 febbraio 2014

Three Mile Pilot - The Inevitable Past Is The Future Forgotten (2010)

Quando giungo a fine disco e, dopo aver esalato svariati sbadigli, vengo avvolto dall'eccezionale ballad crepuscolare The Premonition, mi riconcilio al 100% con loro e penso: mah sì, sono come dei vecchi amici che non vedi da anni, ti siedi a ricordare gli aneddoti e le emozioni passate insieme, e di certo non è più bello e divertente come allora ma ogni tanto scatta una fiamma che fa ravvivare tutto e la magia appare di nuovo.
Questo è il senso della reunion fra artisti che hanno sempre dimostrato grande coerenza ed onestà; filtrato dalle importanti esperienze reciproche, il suono dei 3MP del 2010 è esattamente un connubio fra Pinback e BHP. Lontani i tempi dei fuochi creativi, a questi ex-ragazzi resta il mestiere e qualche gran bel pezzo, come il barocchismo impetuoso di Battle, la folle corsa di Same mistake, lo spleen acidulo della splendida What I Lose. Pazienza se gran parte del disco non è esaltante; la presenza di Tobias Nathaniel rende The threshold di fatto un pezzo dei BHP di seconda fascia, e la seconda metà del disco è un po' piatta (da qui gli sbadigli sopra citati).
Ma quando giungo a fine disco, The premonition mi apre il cuore e mi viene la pelle d'oca. Come potrei non voler loro bene?

mercoledì 12 febbraio 2014

Three In One Gentleman Suit - Pure (2001)

Non sarà certo un problema per i modenesi essere sconosciuto ai più sul suolo nazionale: hanno macinato migliaia di km in giro per il mondo e supportato gruppi e sono ottimamente considerati dalla critica. Sarà che cantare in inglese di certo non attira filotti di pubblico.
Attivi da ormai diec'anni, il loro curriculum è ormai consolidato anche se un po' altalenante e possiedono uno stile che non è facilmente catalogabile dalla critica. Per me questo è alternative-rock e poco altro, aggiornato all'attualità; una loro influenza dichiarata è un altra realtà italiana ignorata degli anni '90, i Three Second Kiss. Che però allora erano attuali; ciò che caratterizza i TIOGS come contemporanei è senz'altro la produzione, qualche effettino elettronico in qua e in là (ma per favore lasciamo perdere paragoni con i Battles) e poco altro. Peccato che il lato compositivo sia un po' carente, che manchi un guizzo decisivo per farli emergere: dal vivo potranno anche essere trascinanti, ma per me raggiungono una sufficienza risicata.

martedì 11 febbraio 2014

Mayo Thompson - Corky's Debt To His Father (1970)

Dopo gli exploit iniziali i Red Krayola si sciolsero e Thompson non trovò di meglio da fare che uscirsene con questo disco (memorabilmente definito svanito da PS) che in sostanza azzerava qualsiasi velleità sperimentale e mostrava un lunatico autore art-pop. Corky's è una raccolta di canzoni apparentemente ordinate, appena un filo vaudeville, dagli arrangiamenti molto curati: se pensiamo in effetti a Hurricane fighter plane l'imprinting compositivo era di quella pasta melodica, al netto di qualsiasi stranezza. Ciò che colpisce maggiormente è la totale stonatura del canto di Thompson, che le orecchie svezzate di oggi possono anche giudicare divertenti ma all'epoca immagino avrà generato ribrezzo nonostante la base fosse abbastanza accattivante.
Quindi eventuali confronti con Barrett o Spencer sono completamente fuori luogo. Semmai appare evidente l'influenza su autori futuri come Grubbs (peraltro dichiarata dallo stesso, e basti ascoltare l'inizio di Oyster Thins: con i Gastr Del Sol farà quasi un disco intero su quell'intuizione nel 1994) e perchè no, anche Devendra Banhart col suo fare disincantato.

lunedì 10 febbraio 2014

This Heat - This Heat (1978)

Se il finale Deceit era un caposaldo di innovazione e mescolanza di industriale, new-wave e post-funk, l'iniziale This heat invece fu la loro personale versione dell'avanguardia più stramba ed un implicito tributo ai Faust, anche se molto freddo e molto british nell'umore, variabile dal nero al grigio.
Ciò che lo rende comunque all'altezza del secondo è la formidabile ecletticità della proposta: il noise-rock dissonante di Horizontal hold, la cantilena pastorale dell'orrido di Not waving, la desolazione spoglia di Twilight forniture, l'ottusa danza industriale di 24 track loop. Tutto il resto è sperimentazione brada e senza possibilità di controllo. Essenziale.

domenica 9 febbraio 2014

These New Puritans - Hidden (2010)

Puritani fino ad un certo punto, questi londinesi. Hidden ha saputo rivelare un idea originalissima, a rinnegare l'approccio spigoloso del debutto di un par d'anni prima: sulla base di un manipolo di melodie con cantato spiccatamente pop, si eleva una selva di poliritmi, sia sintetici che fragorosamente umani, ed una sezione di fiati austeri, in stile neo-classico. Il tutto con la regia del redivivo Graham Bark Psychosis Sutton.
Così quello che potrebbe essere un manualetto di art-pop moderno finisce per diventare un disco sostanzialmente impegnativo, a mio avviso non del tutto riuscito (le cadute nel kitsch sono almeno 3 e sono molto pesanti nell'economia del disco, mentre White chords ricorda pericolosamente i Radiohead) ma di sicuro interesse per i futuri sviluppi. 
Ah, se avessi ascoltato il capitolo successivo.....

sabato 8 febbraio 2014

Theologian - The Chasms Of My Heart (2012)

Ho letto da qualche parte una catalogazione interessante, death-synth. Può in effetti rendere abbastanza l'idea di questo lungo, lunghissimo album che sembra tratteggiare una linea fra il classico elettroshock Prurientoso e il drone-noise, ma con una tutta sua attenzione ad elevare muraglie fosche di rumore che lievitano verso lo spazio. Il risultato è curiosissimo in Bed of Maggots, in cui compaiono spirali echeggianti i corrieri cosmici tedeschi come se immersi in una vasca di acido solforico.
L'intro era stata deviante; durante i 14 minuti di Abandon All Hope l'uso della voce faceva quasi ipotizzare una propaggine massimalista-noise di Have A Nice Life, ma l'ipotesi è rimasta lì. Tutto sommato, Chasms non rivela una innata fantasia ma si ricava una dignitosa nicchiettina nell'universo post-noise. Autore del tutto tal Lee Bartow, veterano rumorista newyorkese.

venerdì 7 febbraio 2014

That's All Folks - Soma..the 3rd way to Zion (1999)

Dopo i primi demos ed un EP, finalmente nel ' 99 gli stoners baresi giungevano al traguardo del primo album vero e proprio e....perdevano gran parte del loro afflato melodico, che tanto mi aveva fatto apprezzare le loro cassettine, in favore di un approccio granitico oltre misura.
Per carità, trattavasi di un discreto contributo alla causa pietrificante (o grungeggiante, come nell'epidermica Afterbite), ma a fine millennio forse era già un po' tardino per replicare le abusate gesta dei Monster Magnet. Si salva un po' la trippeggiante title-track finale. Peccato.

giovedì 6 febbraio 2014

Terre Thaemlitz - Soil (1995)

In tutta sincerità, non mi ero mai curato di questo artista americano fino a quando, poco più di un anno fa, si parlò di Soulnessless, che conteneva questo pezzo lungo 30 ore, e che con ogni probabilità ha raggiunto il guinness dei primati. La mia curiosità è stata tale che non ho potuto fare a meno di ascoltarlo, ovviamente durante l'orario di lavoro a più sessioni, a basso volume ma facendo attenzione. Non che mi aspettassi chissà cosa, ma al termine il mio responso è stato pura, autentica truffa.
A dispetto di ciò, ho voluto comunque dare un ascolto ad uno dei suoi primi dischi; divisa fra house, ambient e velleità sperimentali, la carriera di Thaemlitz è sempre stata contraddistinta da una forte ideologia socio-filosofica, dovuta al suo essere rappresentante pubblicamente attivo dei transgender. A volte, per un artista, dare più spazio ai concetti e ad altri campi porta a perdere un po' di concentrazione sull'aspetto strettamente musicale: in ogni caso Soil fu un discreto lavoro di pura ambient enoiana, con un momento eccelso (Ageing core, aging periphery) ed un interessante collage illusionista (Yer ass is grass), ma nella sua sostanza nulla di particolarmente memorabile per il genere.

mercoledì 5 febbraio 2014

Terminal Cheesecake - Angels In Pigtails (1990)

Stranissima band londinese attiva fra la fine degli '80 e la metà dei '90, partita da un substrato acid-rock di quelli belli cattivi fino ad elaborare una mistura fra wave deviata, industriale spinto e sperimentalismi un po' amatoriali ma shockanti.
Di questi tre elementi è formato Angels in Pigtails: lasciando il proto-stoner ad una metà dei pezzi (a tratti così abrasivo da lambire il noise-rock come in Inbred 73, in cui sembra di sentire gli embrioni dei Pissed Jeans!), una certa ispirazione proviene dai Pil di Metal Box (dub scarnificato, batteria riverberata) e da Y del Pop Group (collages avanguardistici, che girano un po' a vuoto a dire la verità). Se dal titolo dell'opening track, Chrome, si può pensare quale fosse la loro musa, all'ascolto del complesso si rimane abbastanza delusi. Ne deriva un disco troppo frammentario e casinista per essere apprezzato; forse l'idea originale era troppo ambiziosa per i mezzi in dote ai Terminal. In un'area affine, soltanto i Blind Idiot God sono riusciti a fare centro, ma le basi di partenza erano ben altre.

martedì 4 febbraio 2014

Tenniscoats - Tan Tan Therapy (2007)

Due coniugi giapponesi che modellano un pop dolciastro ed appiccicaticcio e lo declinano in una salsa artigianale talmente naif che non si può fare altro che sorridere e far scorrere nelle casse, magari anche soltanto per prendersi una pausa da ascolti più impegnativi.
Anche questo disco, seppur registrato a Stoccolma con l'ausilio di musicisti locali, testimonia appunto questa attitudine disincantata, quasi ludica, al punto che all'ascolto della prima traccia mi chiedevo cosa fosse saltato in testa a Bertoni di Blow Up nel descriverli. Fortunatamente la sostanza è ben altra; gli arrangiamenti, declinati in punta di dita e quasi completamente acustici, sostengono canzoni delicate e con un melodismo a tratti irresistibile (Oetsu to kanki, Abi and travel, Good be). La mano svedese invece si fa più sentire nelle tracce più emotivamente complesse (Marui hito, One swan swim, Rolling train): questo è l'aspetto che mi aggrada maggiormente dei Tenniscoats, ma non credo che approfondirò la loro discografia.

lunedì 3 febbraio 2014

Tenhi - Vare (2002)

Nel 2011 è uscito Saivo e non voglio dire che sono rimasto deluso, anche perchè era oggettivamente difficilissimo restare ai livelli di Maaet, però mi sembrava un pochino al di sotto delle aspettative alla luce dei 5 anni di stallo. Appare naturale quindi tornare indietro nel tempo e ripescare il secondo album.
Difficile anche per me trovare parole di decantazione per le gesta di questi stregoni lapponi: il passo circospetto della batteria, i duelli fra piano e flauto e la voce compassata nell'iniziale Vastakaiun rilasciano magia immediata. E non mi sembra, come ho letto in giro per recensioni, che sia un disco prettamente dark: le vigorose ballads Jaljen, Yota, Katve (con accelerazione inaudita per i loro standards) mostrano il lato meno introspettivo e incitano persino alla danza rituale.
Poi resta sempre un fatto soggettivo che le maggiori emozioni provengano dalle arie più avvolgenti e meditate, ed infatti la meraviglia è totale in Vilja, Suortuva, Tenhi: qui non ci sono davvero termini per descrivere l'arte sopraffina di questa musica fuori da ogni tempo.

domenica 2 febbraio 2014

Television - Adventure (1978)

So bene che mettere in discussione i Television nell'ottica della storia potrebbe sembrare ai più un'eresia. Ciò che è da analizzare maggiormente è che forse più è breve la carriera di un gruppo mitizzato più si tende a mitizzarne ulteriormente l'immagine. Ed il concetto si può amplificare nel caso in cui si vada in netta controtendenza alle mode, come nella situazione dei Television.
La loro estrema semplicità di espressione, punto di forza primario, era fin troppo debitrice dei Velvet Underground e del primo Lou Reed solista, nonchè di certo Neil Young, diciamo quello più rilassato ma con l'elettrica in mano. Adventure fu nettamente inferiore a Marquee Moon, di cui ricalcava le trame chitarristiche ma senza bissarne le buone composizioni. E forse occorre ammettere anche che il batterista era veramente scarso, ma forse a Verlaine questo non importava più di tanto visto che erano amici da tanto tempo. Male invecchiati, a prescindere dallo status.

sabato 1 febbraio 2014

Telaio Magnetico - Live 1975

Piuttosto ignorato sia dai cultori del prog che dai cultori di Battiato, anzi ignorato proprio da tutti il Telaio Magnetico. Tant'è che il live fu pubblicato una ventina abbondante di anni dopo, ed in quantità limitatissima di copie.
Ignorato da tutti perchè resta in una terra di nessuno, basata sull'improvvisazione e sul misticismo più sfrontato, in grado comunque di far vibrare corde lisergiche mandate a memoria da Ummagumma (specialmente nelle parti di organo di Di Martino). Insieme a Battiato anche il fiatista Mazza, il percussionista Vaccina e due voci. La Di Benedetto che passava dall'angelico all'estasiato, salvo poi avere improvvisi risvegli ("che ore sono???"): Juri Camisasca invece gorgheggiava fonetico e rapito da chissà quali fantasmi. Di lì a poco si fece frate.
Era comunque molto diverso da ciò che stava facendo all'epoca Battiato, che difatti non era il leader dell'estemporaneo ensemble. Oggi si potrebbe ricordare come un'instabile unità freak mobile, il cui peso artistico è ancora oggi ben tangibile.