Due coniugi giapponesi che modellano un pop dolciastro ed appiccicaticcio e lo declinano in una salsa artigianale talmente naif che non si può fare altro che sorridere e far scorrere nelle casse, magari anche soltanto per prendersi una pausa da ascolti più impegnativi.
Anche questo disco, seppur registrato a Stoccolma con l'ausilio di musicisti locali, testimonia appunto questa attitudine disincantata, quasi ludica, al punto che all'ascolto della prima traccia mi chiedevo cosa fosse saltato in testa a Bertoni di Blow Up nel descriverli. Fortunatamente la sostanza è ben altra; gli arrangiamenti, declinati in punta di dita e quasi completamente acustici, sostengono canzoni delicate e con un melodismo a tratti irresistibile (Oetsu to kanki, Abi and travel, Good be). La mano svedese invece si fa più sentire nelle tracce più emotivamente complesse (Marui hito, One swan swim, Rolling train): questo è l'aspetto che mi aggrada maggiormente dei Tenniscoats, ma non credo che approfondirò la loro discografia.
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