Trio viennese che forse prende il nome da un formaggio ungherese, ma il contesto geografico in sè non è quasi da prendere in considerazione vista l'alto tasso di sperimentazione. Condividono il batterista con i Radian e la base di partenza sarebbe un post-jazz abbastanza modernistico, visto l'impianto batteria spazzolata+contrabbasso+chitarra pulita e l'estrema pulizia del suono.
Senonchè, l'impostazione impro ha il sopravvento sul tutto facendo un po' perdere la bussola nel finale, con i 14 minuti di Walk these hills lightly a trascinarsi con un filo di stanchezza. Prima però i tre fanno grandi cose, denotando una padronanza indiscutibile degli strumenti ed un intelligenza architettonica che in certi passaggi dell'iniziale The gun that's-... esalta in particolare il chitarrista più quando ha il legno in mano che quando si trasferisce ai macchinari, da dove esala squittii e bordate controllate di rumore.
La traccia più corta, Pisa, è stata ivi registrata nell'ambito di un festival jazz, ma non lo si direbbe. E' l'utilizzo di uno strumento aggiunto, il silenzio, a rendere Golden years fascinoso ed interrogativo.
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