Enigmatico dilemma irrisolto per quello che è stato l'ultima release a tutti gli effetti, escludendo il live postumo: la verve ritrovata poteva rivitalizzare la carriera dei Karate oppure si trattò di un semplice divertissment?
Ok, l'essere su In the fishtank è stato, come per tutti i gruppi che vi hanno partecipato, un episodio a parte della discografia. A maggior ragione per il trio di Farina che per l'occasione approntava 8 covers, quindi compito facilitato ed esenzione da qualsiasi responsabilità di songwriting.
Però, dopo il trio di pregevolissimi dischi indie-jazz fra il 2000 e il 2004, sentire il tiro ritmico irresistibile sul poker di pezzi dei Minutemen (+ uno di Watt solista) proposti è qualcosa che fa sobbalzare. Un po' meno esaltante la resa su Holiday e Dylan, mentre la vera ciliegina è A new Jerusalem di Mark Hollis, che seppur significativamente normalizzata in base ai loro canoni fa tornare in mente le belle emozioni slow-core del primo disco, con l'aggiunta del valore intrinseco della fonte.
Era la chiusura di quel grandissimo disco, ed era anche l'addio dei Karate, su una nota esistenziale.
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