sabato 26 gennaio 2013

Khonnor - Handwriting (2004)

Cantautorato abbastanza intimista spesso imbevuto in un'ovattata coltre di elettronica dagli sprazzi più che eccellenti per questo americano che però nel frattempo sembra essersi un po' perso. Un peccato, viste le premesse.
In Handwriting ci sono due aspetti dominanti: la ballad pigra per chitarra acustica e poco altro, e la ballad syntetica con beat-box, glitches e scenari ambientali. La voce incerta ed indolente di Khonnor, lasciata quasi sul sottofondo, è un mero corredo a giustificare la definizione di songs, quando in realtà sono gli spunti strumentali a risaltare maggiormente come nella splendida Crapstone o in Kill2, evocativamente simile al Barzin che aveva debuttato giusto un anno prima.
Un suono costantemente espanso, a dispetto della povertà di equipaggiamento dichiarata nelle bios, lascia l'ascoltatore nella sensazione di trovarsi in un limbo confidenziale come pochi altri solisti attualmente riescono a fare (Screen love, space, time), dove la freddezza degli interventi elettronici è sempre attenuata dalla calorosa attitudine della gioventù col cuore in mano.

1 commento:

  1. Gran disco.
    Tutto quello che ha pubblicato dopo fa discretamente schifo.

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