giovedì 31 ottobre 2019

Voïvod ‎– The Outer Limits (1993)

Il mio disco preferito dei canadesi, l'ultimo con il vocalist originale Snake. Fu non a caso un vero e proprio traguardo di maturità; partiti da un ormonale trash in adolescenza, pervenirono ad un hard-metal-prog-fantascentifico impeccabile e dalla loro ci fu anche l'ispirazione.
Ci arrivarono per tappe ben costruite, come testimoniato dai passaggi intermedi; Nothingface e Angel Rat avevano dimostrato che coniugare prog & psych non era una bestemmia e il loro pubblico non voltò le spalle, anzi, ne guadagnarono.
The outer limits vede il chitarrista Piggy al top della sua ispirazione, un vulcano tecnico inarrestabile, ed ottime composizioni: i 17 minuti di Jack Luminous rappresentano uno sci-fi-prog-trip formalmente impeccabile nonostante qualche passaggio un po' calcato. Splendide Moonbeam rider, Time Warp, Fix My Heart, scandite da ritmiche elastiche e progressioni armoniche emozionanti. E con una produzione più aperta (più 90 e meno 80, direi) sarebbe uscito persino meglio, a mio avviso.

martedì 29 ottobre 2019

Glide - Performance (2000)

Will Sergeant degli Echo & The Bunnymen in pieno trip solista. La chitarra lasciata a lungo nella custodia, la stura alle tastiere, il Brian Eno di fine '70 fissato bene in testa, un po' di Germania storica e la vena psichedelica impossibile da zittire.
Glide fu il suo secondo, quasi interamente dal vivo come il primo. La dimensione da palco, oltre ad esaltare le due doti di one-man-ambient-band, rende giustizia ad un suono che paga il suo tributo agli idoli di riferimento; basti confrontare con le due tracce in studio, poste a fine scaletta (Frozen Teardrop in space sfonda i 30 minuti), decisamente più levigate.
La performance ha un suo percorso avvincente: i primi 15 minuti Enoiani fino al midollo, poi sale la tensione, si attiva un beat scarno e pulsante, Sergeant tira fuori la chitarra e diffonde fendenti lisergici; l'aria si è fatta decisamente più rarefatta e ci si aggira su ambienti Ash Ra Tempel / Tangerine Dream.
In pieni tempi di reunion, il progetto Glide fu la conferma che lui era l'anima freak degli E&TB, colui che per la produzione di Heaven Up Here voleva Eno (e chissà come sarebbe uscito...).

domenica 27 ottobre 2019

Screams From The List #88 - Ron Geesin ‎– As He Stands (1973)

Conosciuto principalmente per aver dato un contributo fondamentale alla realizzazione di Atom Heart Mother, Geesin è un compositore, polistrumentista e sperimentatore avant-psichedelico scozzese che nel corso della sua lunga carriera si è anche dato alla library televisiva, oltre che a bizzarre installazioni ed eventi meta-multimediali.
Sulla List viene tirato in ballo il suo 4° album del 1973, As He Stands, un lavoro spezzettato e complesso, in cui si evince un forte sense of humour dipanato in svariate vignette psych-folk, qualche aria celtica ed alcuni spoken-word di forte sapore teatrale. Nel contesto, però, tutto sembra perfettamente incasellato come si deve, ed il valore aggiunto è costituito dalle tracce di maggior ispirazione library e da quelle più coraggiose, come Concrete Line Up, Wrap a Keyboard Round A Plant, To Roger Waters wherever you are e A cymbal and much electronic, ovvero quelle più influenti per Stapleton. Musiche dell'assurdo.

venerdì 25 ottobre 2019

Liliental ‎– Liliental (1978)


Curioso supergruppo della tarda stagione aurea teutonica, comprendente un giovane Asmus Tietchens, il mitico produttore Conny Plank (paradossalmente qui al debutto come musicista), Moebius dei Cluster, due elementi provenienti da un gruppo jazz-rock (Kraan) ed un polistrumentista olandese. Ne sfociò un disco inevitabilmente eterogeneo, ma davvero sfizioso, con qualche frangente di humor gradevolissimo (Wattwurm e Nachsaison, eleganti numeri quasi cabarettistici). Le folate di synth e punteggiature chitarristiche psichedeliche stabilivano la cifra stilistica generale con l'iniziale Stresemanstrasse, convogliata in soluzione di continuità nelle stasi sognanti di Adel. Si proseguiva con le lunghe meditazioni di Vielharmonie e Gebremster Schaum, con atmosfere positive ma mai scontate nè ammiccanti. Ripescato da Zingales nel 2007 in occasione della ristampa nippo-tedesca, fu un episodio non troppo allineato e contrassegnato da un sano spirito di divagazione.

mercoledì 23 ottobre 2019

A Minor Forest ‎– Inindependence (1998)

Secondo ed ultimo album di questo grande math-trio spentosi alla fine del millennio. Nel 2014 si riunirono per un tour coast-to-coast e sperai a lungo che tornassero a registrare qualcosa di nuovo, ma purtroppo non se ne fece nulla.
Se la schizofrenia era sembrata il loro tratto più distintivo su Flemish Altruism, su Inindipendence il quadro clinico era decisamente peggiorato, e fu il miglior segno che potessero dare, anche perchè il disco è maggiormente a fuoco, facendo risaltare anche il sardonico sense of humour portato in dote.
E la registrazione è magnifica, a firma di garanzia Brian Paulson.
E' soprattutto lo showcase del batterista Connors, un performer spettacolare che avrebbe meritato una carriera ben più lunga ed espositiva. La filiazione Slint/Codeine è ancora presente, ma solo come rampa di lancio per le elucubrazioni di The Dutch Fist, Michael Anthony e It's Salmon; le composizioni sono contorte, elaborate e spigolose, capaci di passare da un lento spiritato ad una violenta aggressione. La Top track è Look at that car, It's Full of Balloons.
Ma erano i segnali di discontinuità a rendere ottimisti per il futuro, almeno io lo ero nel 1999 quando consumavo questo cd fino a mandarlo a memoria: i 18 minuti strumentali di The Smell Of Hot, un irrisolto enigma del post-rock, autentico labirinto che travalica le loro certezze, e la coda Discoier, un dolente crepuscolare scandito dal pianoforte in punta di dita, la cosa più seria che avessero mai fatto, un involontario addio. 
Era finita, purtroppo. Ne avrei voluto molto, molto di più.

lunedì 21 ottobre 2019

Shudder To Think ‎– Funeral At The Movies & Ten Spot (1991)

Le due prime release su Dischord raccolte quasi in diretta, per una delle band più atipiche mai apparse nel rooster della label di Washington, ma forse predestinate per il vantaggio di poter giocare in casa. Non c'era proprio quasi niente di hardcore negli STT di questa fase, già evolutisi verso un power-pop-indie-progressive certamente ad alto tasso energetico, ma contrassegnato da un cantante troppo particolare per farli aderire ad un filone ben preciso. Non avevano da spartire nè col grunge nè con la scena dei college, e di lì ad un paio d'anni finirono persino su major, ma non ebbero mai successo commerciale e terminarono la loro corsa entro la decade.
Costipata ed acrobatica ma mai troppo ostica e soprattutto sempre improntata sulle melodie, la musica del quartetto era perfettamente incastrata senza mai ostentare vanità. In un certo senso erano emo, ma nell'accezione più innocente possibile, così come il falsetto di Wedren tradiva uno spirito post-adolescenziale candido ed incontaminato, come un Michael Stipe asciugato dalla follia latente. Fra i due dischi, meglio il mini Funeral at the movies, più rifinito e meglio prodotto e contenente un paio di pezzi memorabili (Lies About The Sky, Red House), del concitato Ten Spot, ugualmente valido ma penalizzato da una produzione troppo asettica.
Da riscoprire fra i segreti meglio nascosti dei Novanta.

sabato 19 ottobre 2019

Various ‎– Exercises In Obscurism (2008)


Compilation ad opera di una cd-r label, la Second Sun Recordings, attiva a fine decennio scorso quasi esclusivamente al fine di diffondere le registrazioni dei solisti statunitensi Brian Grainger (elettronico, dalla South Carolina, di professione sonorizzatore di videogames, un ammasso ridicolo di pubblicazioni a suo nome) e David Tagg (chitarrista, newyorkese, appena più contenuto). Un esempio lampante dei nostri tempi, dei dischi a costo quasi zero, della mancanza di freni inibitori, delle collaborazioni a distanza, delle diffusioni come se non ci fosse un domani.
Eppure non è per niente male. Siamo nell'area dell'ambient-elettroacustica, e gli artisti sono a me oscuri a parte Caretaker, qui presente con un imponente dark-ambient in stile Deleted Scenes Forgotten Dreams, ed il buon Adam Pacione, con una quietissima e placida contemplazione.
Niente male anche i due padroni di casa. Grainger sfoggia un minimale spudoratamente basinskiano ma davvero ottimo, Tagg uno spoken-android-industrial spiritato; insieme fanno VCV con una polverosa Improvisation for organ and guitar . Bravi anche Heptangular (organi saturati), Eluder (sottopelle industriale) e White Star Line (tempesta elettromagnetica). Il narcisismo abbonda, ma manca ogni compromesso.

giovedì 17 ottobre 2019

Pussy Galore – Dial 'M' For Motherfucker (1989)

La giusta palestra per Jon Spencer, prima di trovare la sua vera ed esaltante incarnazione nella Blues Explosion. C'erano troppi galli nel pollaio Pussy Galore: lui, lo scalpitante Neil Hagerty, e pure la sua ragazza Martinez che smaniava velleità soliste ed infatti se ne andò alla vigilia di questo Dial M.
E pensare che la sporchissima coerenza di questo album resta intatta, col senno di poi: al netto di qualche riempitivo, è un'essenza noise-blues-punk dritta in faccia, beefheartiana quanto basta ma non cubista. Epidermico ma non tellurico, rumoroso ma non dissonante, ironico e beffardo, la perfetta anticamera delle prodezze di lì a poco.
Rimando comunque all'analisi ben più corposa di Vlad Tepes.

martedì 15 ottobre 2019

Spokane – Leisure & Other Songs (2000)

Un campo inclinato, immacolato di neve, con alcuni grandi alberi spogli sullo sfondo. Questa è la copertina programmatica del primo Spokane, l'esordio del futuro regista Rick Alverson, cantante / compositore celato dietro la sigla cittadina, coadiuvato da un pugno di collaboratori più o meno stabili, che solcherà buona parte del decennio zero con altri album di assoluto rilievo.
Che forse sono stati più rifiniti e meglio prodotti, ma come è accaduto spesso per questo tipo di autori, il primo resta possessore di un aurea magica e predestinata. Leisure contiene 8 pezzi a bassissimo tasso di bpm, che si assomigliano, ma tutti superbi ed ispirati. Alverson era arrivato forse tardi per attirare le attenzioni di un genere che aveva già fatto gridare con i suoi pezzi grossi, ed infatti non è stato celebrato come si doveva. Per chi ama il rumore dell'anima più vicino al silenzio, Leisure & Other Songs è un piccolo cimelio da custodire gelosamente.

domenica 13 ottobre 2019

CCCP Fedeli Alla Linea ‎– Canzoni Preghiere Danze Del II Millennio - Sezione Europa (1989)

Uno dei dischi meno ricordati dei CCCP, perchè trovatosi in una terra di mezzo; non più tagliente e rasoiato come gli inizi, non ancora mistico ed ultrasensoriale come l'ultimo album, con la formazione ante-CSI, Canzoni Preghiere Danze vive di contraddizioni interne difficilmente spiegabili. Perchè si apre con una meraviglia assoluta come Svegliami, dal climax emotivo insuperabile e con uno dei testi più brillanti di Ferretti; prosegue con l'irresistibile ironia mid-punk di Huligani Dangereux, poi scade in un'orribile lounge senza nerbo (B.b.b.), un mediocre power-pop (Fedele alla lira), si riprende con l'iberico anfetaminico di Roco Rosso ed il pregevolissimo strumentale barocco-mediorientale La qualità della danza. L'illogica disomogeneità prosegue senza sosta nel lato B, col synth-pop rustico di E' vero, la tensione minimalistica di Palestina, il lussureggiante mantra cattolico di Madre, un ultimo guizzo punk con Conviene, persino uno scadente reggae con And the radio plays e la chiosa di Vota Fatur, un puro riempitivo cabaret-synth per una fantomatica campagna elettorale del performer da palco che animava i loro concerti.
Morale: un disco talmente confusionario ed accozzato che non è possibile non apprezzare, proprio per la sua assurdità. Erano stati in grado di non svendersi, di continuare a sbeffeggiare tutto e tutti, persino su major, persino raffinando le proprie capacità di arrangiamento.

venerdì 11 ottobre 2019

Three Mile Pilot ‎– Starcontrol Out EP (1995) + Three Mile Pilot EP (1997)

Un'accoppiata di 12'' negli anni di maggiore attività dei 3MP, forse più per fans terminali / completisti che per reale valore intrinseco. Starcontrol Out, vinile a singola faccia, raccoglieva 3 pezzi già inclusi in The chief assassin to the sinister (ma occorre dire, scelti molto bene), la sonata impetuosa Piano Titanic ed un esercizio in rumoristica Inside the wash house.
Più interessante e pregno l'omonimo EP, in quanto le tracce non sono state raccolte nella fantastica antologia Songs from an old town once we knew. Il motivo è che probabilmente i ragazzi lo considerarono un album a sè stante, oppure la Gravity ne mantenne i diritti esclusivi (fu la loro unica pubblicazione sulla label, nonostante le numerose connessioni). Lo stile è a metà strada fra il cupissimo di Chief (Wahn, Tokyo Static) e il magniloquente art-pop di Another Desert another sea (On a ship to Bangladesh, Worry), col curioso intermezzo di By this river, cover di Brian Eno eseguita da Jenkins e Nathaniel in solitudine, ovvero prove generali ed anticamera dei Black Heart Procession.

mercoledì 9 ottobre 2019

Pavement ‎– Crooked Rain, Crooked Rain (1994)

Ricordato quest'anno per il 25ennale, il secondo album dei tanto celebrati Pavement, che all'epoca ignorai e che tutt'ora ritengo non meritevoli di tutta questa gloria tributata loro dalla stampa. Se non altro occorre riconoscere a CR, CR una produzione eccellente e qualche ottimo pezzo, da prendere come underground-hits senza troppe pretese se non come intrattenimento che funzionava alla grande (Cut Your Hair e Gold Soundz). L'influenza dei Sonic Youth era prominente a quella molto più battuta dei Fall, e nel suo complesso il disco appare omogeneo e coerente ancora oggi, ragion per cui nel 1994 trovava giustificazione la beatificazione immediata da parte di una stampa che aveva già abbattuto il grunge ed aveva voglia di tornare al pop mascherato da alternative-rock. Che di fatto i Pavement incarnavano alla grande.

lunedì 7 ottobre 2019

Lucky Pierre - Singles 2000-2005

Sei piccoli formati nei primi anni di Lucky Pierre, all'insegna di una relativa indecisione sulle direzioni da intraprendere (sempre che ad Aidan importasse qualcosa). Almeno 4 sono di altissimo livello e sublimano l'arte collagistica del barbuto, in pieni anni Arab Strap.

2000 Pierre's Final Thought - Two Songs By Lucky Pierre 7'': Primissimo solco autoprodotto. A dir poco splendido, con l'elettro-folk di Chloe e l'operistica digitale di Sometimes i feel like a motherless child. Poesia pura.
2000 Blank For Your Own Message EP: E subito dopo nuova magia per una mini suite di 17 minuti in 3 parti. Prima parte estatica con pattern di piano, beat soffuso e folate galattiche. Seconda parte ancor più melliflua con violoncello e organo vellutato. Terza ed ultima in loop notturno, con chitarre eleganti e chiose evocative. Superlativo.
2002 Angels On Your Body-Bogey On My Six 7'': la title track la conoscevamo come opening track di Hypnogogia, qui rallentata. Magnifico il retro, lo strascicato trip-honky- folk-hop di Bogey on my six.
2003 Humbug! (For John) - Darth Bastard 7'' Aidan si butta in pista, letteralmente, non so con quanta serietà. Episodio da dimenticare, tamarritudine house a palla, una specie di carpenterianesimo con la pompa-cassa e tronfismo a go-go.
2003 Lucky Pierre Vs. Minotaur Shock Vs. Pedro 7'': Glitch-acoustic-library di buona fattura, manca forse l'ispirazione impennata (o la ruberia indovinata che gli si compete). D'altra parte i remix non sono suoi.
2005 Lucky Pierre & Notes - 2005 I Hate T-shirts That Say 1977 EP. La title-track vede un rapper in azione, ad importunare in parte un motivo assolutamente memorabile, di quelle ruberie sinfoniche su ritmo up-tempo irresistibile. Biblebash è un altro centro pieno, una specie di Anonimo Veneziano sotto anfetamina. Completa Black Disco Vista, che è un allucinogeno pompa-cassa da incubo.

sabato 5 ottobre 2019

Low ‎– The Curtain Hits The Cast (1996)

Completa la trilogia iniziale del trio di Duluth, seguito del primo prezioso e del secondo, essenziale. Poco da aggiungere, se non la felicissima reiterazione di una formula impareggiabile nel suo essere disarmato, disarmante, arrendevole ed arresa. Il calore del focolare invernale contro l'austerità, la liturgia e l'ascetica, la levitazione di quelle voci coniugate e coniuganti. Spiccano l'aerea Coattails, la progressione redhousepaintersiana Standby, la rarefazione sospesa di Laugh, il quarto d'ora di Do you know how to waltz?, con la novità di una stratificazione chitarristica ambient-core che ipnotizza e mette scompiglio, pur nella sua compostezza formale. Un disco lunghissimo, indissolubile e da amare per il resto della propria vita. Come i due sopracitati, all'epoca me lo persi e resta un rimpianto personale difficilmente colmabile, perchè potrò ascoltarlo altre mille volte ma non lo sentirò mai mio come altri.

giovedì 3 ottobre 2019

Duster – Contemporary Movement (2000)

Trio californiano in attività a fine anni '90 sulla Up Records che passò assolutamente inosservato, che di recente è tornato alla ribalta perchè la Numero Group ha pubblicato una delle sue cofane retrospettive integrali. Un trattamento riservato in passato ai grandi, e perchè non provarci anche con i nomi di serie B? Magari riscopriamo qualcosa che ci era sfuggito, o rivalutiamo cose snobbate in fretta o ascoltate senza la giusta predisposizione.
Sgombro il campo; i Duster non erano dei fenomeni, ma avevano un buon potenziale. Peccato che i due album realizzati non abbiano beneficiato di una produzione dignitosa, lasciando intentato un piccolo talento per l'indie-song letargica e semi-rurale. L'influenza più evidente era quella dei mastri Bedhead, da cui i Duster mutuavano l'indolenza vocale, i cicalecci chitarristici e le composizioni circolari. Su Contemporary Movement si sfiora quasi il plagio in certuni titoli, ma gli amanti e i nostalgici di queste sonorità potranno ancora trarre godimento da altri in cui le atmosfere autunnali prendono il sopravvento e rivelano un gusto tutto americano per gli arrovellamenti pigri e lenti delle chitarre, per quelle voci così stonate ed arrendevoli, per quella sottilissima inquietudine.

martedì 1 ottobre 2019

Samla Mammas Manna ‎– Måltid (1973)

Il secondo disco di questi folli geni svedesi, immersi in un'area grigia fra prog, jazz e sketches tecnico-surreali, questi ultimi ancora abbastanza minoritari in favore di un'epica di fondo non troppo seriosa ma comunque importante. Almeno fino a quando il pianista Hollmer, da sempre indicato come il leader, non tira fuori un innocente e stridulo falsetto.
A grandi passi verso il capolavoro di questo versante (consigliata la visione dell'unico filmato disponibile di quegli anni), i SMM erano già una cosa unica al mondo. Maltid è un labirinto di cui è impossibile stancarsi all'ascolto, con le sorprese mai scontate sempre dietro l'angolo.