venerdì 31 gennaio 2014

Teeth of the sea - Your mercury (2010)

Potrebbero essere la nuova frontiera del post-epic-instru, questo quartetto londinese dalle facce improbabili. Con in aggiunta un eclettismo che ha dell'esagerato. Nell'ordine, in Your mercury si può ascoltare  del drone-metal, techno-industriale, space-rock, ambient psichedelica, neo-hypnagogia.
Sulla carta, tutto molto interessante ed ad un primo ascolto disorienta ed incuriosisce. Già al secondo/terzo ascolto però si capisce che questo gran caos di stili non porta un granchè lontano, le sonorità sono intriganti nel loro mix di antico (le tastiere analogiche) e moderno: forse nelle loro intenzioni vorrebbero rifondare una specie di progressive, ma non lo trovo molto azzeccato.

giovedì 30 gennaio 2014

Teatro Degli Orrori - Il mondo nuovo (2012)

Qualche giorno fa, su uno dei miei blog preferiti, leggevo un interessante riflessione psico-filosofica sulla tematica "gruppi che hanno rotto il cazzo", ovvero su bands che riscuotono successo di critica e di pubblico e poi continuano tranquillamente la loro carriera mentre l'una e l'altro reagiscono sempre più freddamente.
Mi sembrava quasi naturale, ancor prima di ascoltare Il mondo nuovo, infilare il Teatro nella categoria: mi chiedevo come avrebbero fatto a replicare senza ripetere sè stessi. E le stonature generali delle recensioni facevano pensare al peggio.
Invece io vado controcorrente perchè il disco non è fenomenale ma è onesto ed enfatizza l'umiltà intellettuale che ha sempre caratterizzato Capovilla. Ci sono novità sostanziali negli arrangiamenti, ci sono tentativi di rinnovamento che vanno apprezzati: gli archi in Dimmi Addio, le ballad acustica dolenti di Ion Cleveland-Baghdan, il climax drammatico di Nicolaj, e soprattutto il doom-blues di Adrian.
Nello stile ormai classico d'assalto su cui il Teatro ha fondato il proprio successo non sono giunte novità eclatanti, ma il disco funziona perchè non ha evidenti cadute di tono e pur essendo abbastanza lungo ha un omogeneità continuativa invidiabile. Insomma, sono ancora al vertice nazionale.

mercoledì 29 gennaio 2014

Teardrop Explodes ‎– Zoology (2004)

Nonostante la notoria riluttanza a discorrere riguardo i TE, Cope ebbe modo di assemblare questa squisita raccolta di inediti, b-sides, sessions e live, molto nostalgicamente direi.
D'altra parte la storia del suo gruppo di origini non è mai stata sviscerata come avrebbe meritato e pertanto fu molto benvenuta in quanto ennesima dimostrazione del suo enorme, giovane talento compositivo.
Nel lotto degli inediti stupisce una fenomenale Nobody knows this is everywhere, degna di essere annoverata fra le gemme più splendenti del catalogo, figlia di quella veemenza visionaria che ispirava Cope in quegli anni. Spiccano anche Log cabin, per archi, tastiere e batteria elettronica, e la raffinata Screaming secrets.
Fra le tracce già ben conosciute non si può evitare di citare le grandi versioni dal vivo di The culture bunker e Sleeping gas. Fra acerbità e scherzetti (la bonus track è poco più che una curiosità adatta a chi mastica l'inglese parlato), la compilation scorre che è un piacere ed è una valida alternativa ai classicissimi albums.

martedì 28 gennaio 2014

Tasaday – Implosione Tra Le Pieghe Dell'Anima (1984)

Fra le realtà sperimentali italiane degli anni '80 vanno annoverati senz'altro i brianzoli Tasaday, nati dalla fusione di due gruppi che erano soliti incrociare carbonari palchi. Ne venne fuori un post-punk scuro, tribale, aggressivo e con connotazioni rumoristico-industriali.
E date le voci declamanti a sostituire il canto, mettevano in scena una specie di teatro dell'orrore declinato in salsa etnica al calor bianco, con le coloriture del funk più bianco. Questo live è stato ristampato nel 2010 ed assembla registrazioni del periodo immediatamente precedente al rilascio del loro primo album, anch'esso del 1984. Non stupisce che Tasaday sia rimasto un nome di culto per pochissimi: le cavalcate furiose a base di percussioni, basso minimale, sax starnazzante e urla belluine all'epoca dovevano fare un po' impressione (notevoli Niente di umano e No kill), ed ancor di più le muraglie di elettronica sibilante al napalm. Un doppio aspetto che non li ha aiutati ad emergere nè in un senso nè nell'altro.

lunedì 27 gennaio 2014

Tartufi ‎– Us Upon Buildings Upon Us (2006)

Mai immaginato una versione post-progressive dei Built To Spill? Io no, e forse neanche altri. Ebbene, dopo anonimi inizi indie questo ottimo trio di San Francisco virò bruscamente sulla fresca complessità di Us upon, che non riesco a smettere di ascoltare da 24 ore filate.
Prendiamo le cantilene esistenziali adulte di Doug Martsch, la sua voce adolescenziale nonostante gli anni che passano, aggiungiamo l'attitudine a complicare gli schemi con arrangiamenti scarni ma arzigogolati, ed una forte, fortissima attenzione alla batteria ed ecco spuntare i Tartufi. Il brano simbolo è la mini-operetta indie Mourning's wake, capolavoretto di 8 minuti e mezzo che sintetizza i loro barocchismi. Spiccano sopra la media le scoppiettanti Ebenezer you are rotten e My loathsome hero: è un ottovolante di emozioni e scosse, le cose funzionano meglio quando i tre pigiano l'acceleratore ma in generale l'esperimento, voluto o no che fosse, è andato a buon fine. Bravi.

domenica 26 gennaio 2014

Tar - Jackson (1991)

Non voglio continuare a menarla come altre volte in cui ho decantato la grandezza dei Tar, perchè Jackson in sostanza non svetta nè più nè meno degli altri; fu importante perchè segnava l'ingresso del nuovo bassista Zaluckyi, questo sì, e conteneva un altra manciata di pezzi stratosferici da inserire in un ipotetica raccolta / manuale dell'alt-noise fatto di banchi chitarristici rumorosi ed intarsiati, ritmiche martellanti e violenza a lucido rilascio. Il collasso nervoso a rotta di collo Land luck, il beffardo hard-punk ad alte ondate di Short Trades, lo psicodramma sonico Cross offer e la complessa, furiosa questione di Dark Mark, che con i suoi stop and go rappresenta un'anticipazione di quanto saranno in grado di rilanciare col disco successivo. E' che un ricordo periodico ci vuole.

sabato 25 gennaio 2014

Tangerine Dream - Zeit (1972)

Primo album con la line-up classicissima di Froese, Franke e Baumann, quest'ultimo appena entrato in formazione. E fu un doppio, ostico ed estremo, che a 40 anni sta ancora lì a rimirarsi nella propria autoindulgenza.
C'è la neo-classica (l'intro per archi di Birth of liquid plejades), c'è l'avanguardia spaziale (Nebulous dawn), c'è la dark-ambient inquietante (Origin of supernatural probabilities) e soprattutto la title-track, uno spettrale girovagare senza meta nell'inconscio. E' un disco molto, molto ostico perchè rifugge qualsiasi straccio di melodia, perchè vaga in un limbo indefinito con sonorità scurissime, ma nonostante questo ebbe anche un successo di pubblico, oltre chiaramente a quello di critica che giustamente sbandierava l'originalità della proposta. I benedetti anni '70.

venerdì 24 gennaio 2014

Tall Dwarfs ‎- That's The Short And The Long Of It (1985)

Raccolta di bizzarrìe assortite registrate nei primi anni di vita, che viene erroneamente indicato come primo album lungo. In realtà si sente eccome che la coesione difetta, un peccatuccio che limita il giudizio finale ma che può dare bene l'idea della proposta generica dei Nani Alti.
Un folk-psych-pop stralunato dalle inflessioni quasi teatrali, contenuto nei due mini atti iniziali Nothing's going to happen / Nothing's going to stop it, in cui partecipa uno stuolo lunghissimo di musicisti: la resa è barocca e quasi magniloquente per la consueta essenzialità di Know e Bathgate, resterà un esperimento isolato ma interessante. Nel resto della lista spiccano la vigoria dei pezzi con la batteria, dal brio inaspettato, ed il disincanto delle loro classiche ed ispide filastrocche pop. 
Sempre simpatici.

giovedì 23 gennaio 2014

Talk Talk - Missing Pieces (2001)

Operazione di dubbio gusto rilasciata dalla fantomatica Pond Life, etichetta che in barba a qualsiasi ragionamento ha ristampato un bootleg e tre uscite TT/MH fra cui questa, che in un ipotetica deluxe edition di Laughing Stock sarebbe stata benissimo come cd bonus ad uso e consumo degli stretti fan d'osservanza, rilasciata così fa un po' arricciare il naso.
Detto questo, l'antifona va a sciogliersi come neve al sole alle prime note di After the flood e ci si gode la magia senza porsi tante questioni. Quattro tracce sono le versioni alternative della sopracitata, Myrrhman, New Grass Ascension day, uguali al 98% agli originali (solo l'orecchio più avvezzo può cogliere le piccolissime differenze). Diciamo che ogni scusa è buona per fare un ripasso di artistica.
Gli inediti non cambiano nè in meglio nè in peggio l'ottica di un Hollis toccato dalla provvidenza, ormai solista, senza neanche più l'appoggio compositivo di Friese-Greene; Stump e 5:09 sono jams strumentali stranite, quasi psichedeliche, con l'aria di essere capitate lì per caso in fase di riscaldamento dell'ensemble coinvolto nelle registrazioni. Piano invece è una licenza di autoindulgenza pura, Hollis che tenta di comporre alla tastiera, diciamo, per un quarto d'ora. 
Abbiamo perdonato tutto a quest'uomo, figuriamoci....

mercoledì 22 gennaio 2014

Talibam! ‎– Ordination Of The Globetrotting Conscripts (2007)

Il marchio incandescente della batteria di Kevin Shea rende speciale tutti i progetti in cui mette mani e piedi, c'è niente da fare. Nel caso di Talibam!, che ormai è diventato il più duraturo, si maneggia materiale molto infiammabile, una specie di free-cyber-jazz architettato in combutta col tastierista Matt Mottel, anch'egli non meno pazzoide.
Ciò che traspare dall'ascolto di Ordination, oltre ad un senso di anarchia generalmente controllata, è un approccio quanto mai ironico, che a tratti sfocia nel demenziale (i coretti di Rambo's passeggiata, il country alieno di Lunch break at naan), che dispensa spunti di delirio continuo: Mottel è una fucina inesauribile di shock sonici ed effettistici (New burnt century il climax, ma anche la parentesi allucinata di A petroglyphic massacre fa davvero impressione), Shea sa regalare sorprese persino quando tiene un ritmo vagamente umano (le due tracce demenziali sopra citate), i fiati degli ospiti completano il quadro schizofrenico in una parola: indefinibile.

martedì 21 gennaio 2014

Systems Officer - Underslept (2009)

Nello stesso anno in cui i Three Mile Pilot tornavano con quella mezza delusione che è stata The inevitable... Zach Smith ha rilasciato il suo primo album solista, e vien da chiedersi se la reunion ha avuto un gran senso o meno visti i risultati diametralmente opposti.
Il songwriting del grande bassista infatti rivela un indie-pop di ottimo livello, potrei dire esattamente a metà strada fra i 3MP di Another Desert, Another Sea e i Pinback, ma ovviamente priva delle ingombranti presenze dei due rispettivi cantanti. Senza il baritono di Jenkins o il confidenziale di Crow (a cui peraltro assomiglia un po'), la musica di Smith sta in piedi da sola: 10 pezzi di minutaggio costante, canzoni costruite in modo canonicissimo ma con una sofisticazione artigiana ed una malinconia introspettiva di fondo che la rende a dir poco amabile. Spiccano le bellissime East, Quan , In this world, Sand I.
Da affiancare a Mothlite come interprete odierno del pop indipendente di qualità.

lunedì 20 gennaio 2014

System 7 - 777 (1992)

Non avendo probabilmente di meglio da fare, Hillage tornò sulle scene dopo quasi diec'anni di assenza discografica insieme alla moglie varando il suo progetto techno-trance, cavalcando la grande corrente inglese e dimostrando di avere ancora qualcosa da dire, vent'anni dopo i Gong e quant'altro.
777 è un disco in cui la cassa-pompa regna sovrana, l'ombra degli Orb dell'anno precedente è palpabile ma i due insistevano più sul fattore ipnotico e la resa suona ancora buona in A cool dry place e 7:7 Expansion. Hillage piazzava qualche schitarrata sparsa ed una dosa maggiore sarebbe stata ben gradita.
Nel finale i cordoni si allentano e il ritmo va scomparendo, con risultati più che buoni: Ship of the desert rilancia sul celestiale e Faydeaudeau chiude con un minimalismo ambientale che ha quasi del sublime.

domenica 19 gennaio 2014

David Sylvian ‎- Died In The Wool | Manafon Variations (2011)

Chi non ha digerito le asperità dissonanti di Manafon forse avrà trovato un piccolo, parziale ristoro in questo capitolo che ancora una volta ha stupito per l'immarcescibile ispirazione di Sylvian e nel suo fiuto di talent scout nello scegliersi i collaboratori. Da sempre.
Questa volta è stato il turno di Fujikura, giapponese compositore e direttore d'orchestra neoclassica relativamente giovane ed oscuro, che si occupa della rielaborazione di 5 pezzi tratti da Manafon e li rende meno ostici fornendo loro un arrangiamento scabro di archi, riescendo nell'intento di dare veste nuova ad un suono che indefinibile era e resta.
Parlare di ritorno alla melodia per il resto sarebbe quasi esagerato, ma i più romantici sono senz'altro rimasti stregati e commossi da I Should not dare, The last days of December e A certain slant of light, che riescono a far vibrare le corde dell'anima come da tempo immemore non capitava.
Discorso diverso per When we return you won't recognize us, 18 minuti di installazione impro-concreta commissionatagli, che sembra un appendice di estremismo isolazionista. Ma riterrei che vada estrapolata come a sè stante dal contesto di Died in the wool.
Si aprono così scenari ancor più inediti per mr. Batt. Lunga vita.

sabato 18 gennaio 2014

David Sylvian & Holger Czukay ‎– Flux + Mutability (1989)

Secondo ed ultimo capitolo della strana coppia. Ovunque legga noto che non ha riscosso grandi favori o opinioni benevole, la ditta Sylvian / Czukay. Eppure secondo me restano due mini-sinfonie di ambient ammaliante ed avvolgente; di certo non avranno fatto sfracelli nè rivoluzioni, però io dentro ci sento la pacatezza umana del primo e le discrete stranezze del secondo.
Plight & Premonition, il precedente, era più impressionistico e movimentato di Flux & Mutability, il quale invece si lascia abbandonare nell'oblio più completo di queste sagome in controluce, di raggi di sole appena abbozzati in pieno inverno. Con le quasi impalpabili partecipazioni di Karoli alla chitarra atmosferica e di Liebezeit ad un paio di bonghetti fugaci, se non altro è di una rilassatezza invidiabile. Per questo, può piacere o non piacere affatto

venerdì 17 gennaio 2014

David Sylvian - Gone to Earth (Live Kanihoken Hall Japan 1988)

L'unico bootleg che sono riuscito a trovare di Sylvian degli anni ottanta. A dir la verità non ho cercato con molta convinzione e mi sono fermato al primo (e unico, credo) che ho trovato su Dimeadozen.
Certo che in Giappone sfondava dei portoni aperti in successione, vivendo di rendita dell'enorme successo riscosso anni prima coi Japan. Il concerto in questione lo vedeva con gli altri reduci Jensen e Barbieri nonchè lo stuolo di fior di musicisti già presenti sui gloriosi dischi Virgin. Spicca un inedito, The grand parade, strumentale un po' esotico che Sylvian post-annuncia come previsto sul disco successivo intitolato Crystalia o qualcosa del genere. Nulla di epocale che ci siamo persi, insomma.
Per il resto, nessuna sorpresa di sorta, i pezzi sono strutturati in maniera identica agli originali a parte gli assoli di Torn (notevoli anche se a volte un po' sopra le righe) e la presenza un po' ingombrante di Maidman, che ingaggia una gara virtuale contro Mick Karn al fretless.
Per gli aficionados, molto belle le rese di Nostalgia e The ink in the well.

giovedì 16 gennaio 2014

Syllyk - O Comme Icare (1992)

Duo francese dedito ad una branca di elettronica glaciale / dark ambient dalle architetture quasi temibili, ben poco imparentato con l'industriale e con un inusuale impiego delle voci che portava O Comme Icare in una dimensione aliena, quasi teatrale.
Snodo centrale di questo cd uscito per l'italiana MMM, i 27 minuti di Le Sacrifice, riassunto della loro ostica proposta fatta di sbuffi, vapori sulfurei, inserti di musica concreta, frullii ed abissi inattesi di dark-ambient. Tutt'altra storia Anatheme, che impiega percussioni ed una voce femminile isterica, Onir e O'Rage che invece li vede in una sorta di palco onirico-fantascientifico.
Per loro, nello stesso anno, anche una collaborazione col giovane Jim O'Rourke, allora impelagato fino al collo nelle avanguardie più ostiche, persino di quella dei Syllyk. Ascoltare Frontieres per realizzarsene.

mercoledì 15 gennaio 2014

Swell Maps - Jane From Occupied Europe (1980)

Il seguito del geniale A trip to Marineville fu meno memorabile soltanto perchè, parzialmente attenuata l'urgenza espressiva del lato pseudo-punk e l'impeto barbaramente astratto, gli SM stavano in qualche crescendo e chissà cos'avrebbero combinato se non fosse finita. Gli esempi eclatanti furono Secret Island, manifesto della loro new-wave adulta ed esistenziale, lo strumentale Collision with a frogman, la fragorosa New York (presente solo sulla ristampa del 2004).
Dall'altro canto, sono sempre i numeri sperimentali a resistere di più nel tempo come nel caso del debutto: Robot Factory che apre con un ritmo sintetico e spettrali bordoni di synth, l'inquietante moviola di The stairs are like an avalanche, e i due spettacolari bigs, fin dal titolo: Big maze in the desert e Big empty field, che riprendono la lezione ritmica dei Can e la traslano nell'epoca new-wave con folle razionalità.

martedì 14 gennaio 2014

Sweep The Leg Johnny - Going Down Swinging (2002)

Il testamento di questa grande e sottovalutata band, per non dire completamente ignorata. Già in occasione di un intervista del periodo in cui GDS uscì dichiararono che erano al capolinea, non senza recriminazioni nè parole aspre nei confronti del mondo indipendente.
Con meno hardcore e più matematica in carniere, GDS è di fatto il disco prog degli Sweep. Ok, era un prog-core molto atipico, ma il pezzo che apre, Sometimes my balls feels like tits, è un quarto d'ora da infarto e può rendere bene l'idea. I kids miglioravano costantemente come musicisti e le prove tecniche sono lampanti: le acrobazie di Sostak al sax e le geometrie sempre più imprendibili delle ritmiche facevano da trampolino per Daly, forse il meno virtuoso del gruppo ma chitarrista di estrema peculiarità.
Slanci pirotecnici, inattese aperture melodiche (in una traccia compare persino un pianoforte), indugi slow-core fino a raggiungere livelli pastorali, era tutto un calderone che poteva facilmente disorientare e forse era proprio questa l'intenzione degli Sweep. Erano una band mozzafiato e posso solo immaginare cosa potessero essere dal vivo.

lunedì 13 gennaio 2014

Pete Swanson - Man With Potential (2011)

Il suo stile è stato battezzato machine-noise e la ritengo una definizione abbastanza pertinente; allineato ad uno stile rumoristico quasi industriale, prevale uno stillicidio di elettronica stridente, quasi perforante nella sua acuta insistenza, ma che non disdegna neanche qualche puntata di  musicalità nella quale si tange una magniloquenza quasi minimalista. Hypno-noise, aggiungerei.
Potrebbe essere una versione abbrutita dei Black Dice, la proposta dell'americano che segna una decisa crescita rispetto ai tempi degli Yellow Swans. Certo, resta materiale abrasivo e urticante ma il suo sistema vigoroso funziona molto bene ed il potenziale c'è. Notevolissime la title-track e Remote view.

domenica 12 gennaio 2014

Swans - Filth (1983)

Truculenti e tracotanti, i primissimi Swans furono lungimiranti anticipatori dell'industrial-metal e di certo noise-rock (in particolare i primi Cop Shoot Cop dovettero loro più o meno tutto). Un tunnel impenetrabile, Filth, di dissonanza pura e lacerazioni continue.
L'impianto era davvero inedito: due bassi e due batterie, la voce di Gira un grido efferato monocorde; unico possibile precedente i Chrome di Red Exposure nelle poche tracce più ritmate (Big strong boss, Power for power). Ma in maggioranza le batterie spezzano e fratturano il passo imitando le catene di montaggio con un chiasso assordante, i bassi macinano detriti come mulini, e ciò che si percepisce è una brutalità devastante.
Unico neo, forse, una certa monotonia di fondo. Ma in fondo era un manifesto di alienazione metropolitana e Gira avrebbe dato meglio di sè negli anni successivi.

sabato 11 gennaio 2014

Swanilda - Demo (1994)

Ovvero tal Roberto Cagnoli da Scandicci. Le uniche info reperibili in rete su di lui sono su Discogs, in una selva di pseudonimi sparsi a cavallo del 2000 con uscite per lo più autoprodotte, sempre nell'ambito della techno-trance.
Comprai questo demo in un periodo di grande sbornia per il genere (epoca Mental Hour): il suono era anche piuttosto buono come fedeltà rispetto alla media delle autoproduzioni di quegli anni e vedeva il Cagnoli alle prese con un'elettronica d'antan ma non troppo, con discrete reminescenze Global Communication, a suo agio sia nelle tracce ritmate che quelle più squisitamente ambientali. Degne di citazione l'estatica Smoke, la stilizzata Agua e la lunga gita cosmica Spacelips. Per stretti specialisti del genere.

venerdì 10 gennaio 2014

Sutekh Hexen - Behind The Throne (2012)

Mi capitava proprio in questi giorni di dibattere con un anonimo commentatore al riguardo di Sunn O))) e derivazioni, concordando che il drone-metal ed affini siano ancora in grado di produrre lavori interessanti. I SH provengono da San Francisco e sono attivi appena da 3 anni ma Behind the throne li eleva oltre il livello della comprimarietà.
Tutto ciò che li circonda, dal sito alle covers ai titoli, rievoca uno schiacciante immaginario black-metal. Totalmente privo di batteria, il disco dura mezz'ora esatta ed è un macigno catartico: le chitarre partono espanse alla Nadja con una sequenza di riffs circolari, fa comparsa una specie di voce che sembra una manipolazione aliena del ghigno b/m, i riffs si fanno sempre più incalzanti fino a trasfigurare in un abisso di multi-drone di grande, grande effetto. Questa era la parte I.
La parte II rincara la dose di sconvolgimento: si inizia con un loop metallico/industriale, ad un certo punto entrano i chitarroni ma in men che non si dica la mannaia metallurgica sommerge tutto di nuovo; è tutto un grumo di cataste rovinose che saturano gli speakers. A 3 minuti dalla fine, il meritato riposo col loop iniziale che resta in moto perpetuo ma scema di volume fino a sparire.
Interessantissimi: con qualche sviluppo potrebbero avere la meglio sui Locrian.

giovedì 9 gennaio 2014

Surgery - Trim, 9th Ward High Roller (1993)

Un po' di sano e sanguigno noise'n'roll'n'blues in questo mini-lp (25 minuti, di quei formati strani che si facevano una volta) degli spericolati newyorkesi, fa sempre bene, ogni tanto.
Fa bene tornare alla memoria degli anni '90 col suo suono bello nitido e l'attitudine alternativa più genuina, che i Surgery senz'altro incarnavano, compresa la loro anomala peculiarità all'interno della scuderia Amphetamine Reptile; non facevano noise-rock in senso stretto ma l'impeto delle chitarre era fragorosissimo e le radici più primitivamente blues li rendevano appetibili anche ad un pubblico più vasto.
Appena poco sotto l'album di debutto Nationwide, Trim conteneva comunque dei numeri mozzafiato come A.K. (Gun Club meets Hammerhead!) e Exquisite, che danno ancora gas ad un entusiasmo mai sopito.

mercoledì 8 gennaio 2014

Supreme Dicks - This Is Not A Dick (1996) & Rarities (2011)

Ciò che nel 1996 era una raccolta diciamo un po' così, raffazzonata e parecchio precaria (stampata peraltro in Italia per conto del consorzio multinazionale Runt), è recentemente diventata una preziosità allegata alla meritoria cofana Breathing and not breathing.
Merito della sospirata inclusione di ben 5 memorabilia tanto agognate per i (pochi) Dickheads che non erano a conoscenza di: 1) Sky Puddle / Country of nuns, primo singolo datato 1992, doppia magia del loro immarcescibile stile 2) Cows of light e Careful with that axe, Steve, contenute in uno split con gli oscurissimi inglesi One Small good thing del 1995 3) Huckleberry fetal pain, per quanto ne sappia io completamente inedita. E dal momento che siamo spiritualmente dalle parti di Emotional Plague, è superfluo che aggiunga altre parole.
Per quanto riguarda l'originale, è sempre un piacere riascoltare in primis la dolente ballad The hunchback, l'arrivederci sereno di Last jam e la pacatezza stonata di Summertime. Il resto erano poco più che scherzi o sperimentazioni senza capo nè coda, concettualmente non assimilabili ad altro. Ma i SD erano da prendere o lasciare, così com'erano.
Ah, si sono riformati, già. 
Non voglio sapere se faranno qualcosa di nuovo.

martedì 7 gennaio 2014

Supersilent - 6 (2003)

Che noia, che barba, sembrano esprimere i Supersilent su quel divano. Forse soltanto il tipo seduto sulla sedia sembra un filo incline alla comunicazione.
E come se non bastasse, questi loschi figuri norvegesi nerovestiti si sono resi responsabili di una delle operazioni più concettuali degli ultimi 20 anni: non avere alcun concetto. Sarà stato per pigrizia, o per voglia di suonare e nient'altro, per antipatia verso la stampa; comunque sia, i Supersilent per me sono una grande incompiuta. Non è certo per la questione dei titoli, anzi. Che la loro musica sia ambient, o jazz, o avanguardia, o progressive, la personalità per fare sfracelli ce l'hanno sempre avuta ma non ci hanno mai dato fino in fondo nell'organizzare meglio le cose.
In ogni loro lavoro ci sono parti di assoluto splendore, di maestosa imponenza, e da un momento all'altro....si piomba nella noia, nell'autoindulgenza fine a sè stessa. Così succede anche in 6, che annota splendide elucubrazioni come nella finale 6.6, eterea fino al raggiungimento dell'estasi grazie anche al canto fonetico (non so perchè ma mi ha ricordato i migliori Magma), il passo esplorativo della cartolina da equatore 6.2 (magnifica la tromba), i drones piramidali di tastiere in 6.5, che raggiungono un climax ragguardevole.
Così bisogna accontentarsi e sbadigliare un po', a tratti, lungo il disco. Questa è impro pura, c'è poco da fare.

lunedì 6 gennaio 2014

Super Minerals - The Hoax (2011)

Ad oggi ultima manifestazione di attività per SM, The Hoax è una cassetta che segna un drastico cambio di rotta per il duo: Giacchi ripone del tutto la chitarra (perlomeno quella suonata nel senso classico del termine) e si dà il via ad una fornace impazzita di suoni elettro-acustici, concreti e quanto mai ostici. French ha avuto la meglio sul da farsi? Sembra proprio di sì.
In più di un frangente sembra di trovarsi nel bel mezzo di una tempesta artigianal-industriale tipica di ciò che facevano i primi Cranioclast, con l'aggiunta di un'inesauribile produttività di suoni che rimandano ai pionieri storici dell'elettronica di un mezzo secolo fa. La svolta è doppiamente sconvolgente: prima il suono dei due era nebuloso, votato all'abbandono sensoriale e corporale, mentre ora è energico e titanico; le spirali sguscianti e brulicanti di suoni ispidi sembrano perfettamente raffigurate nella cover, non più espansive dell'anima ma astratte e sfuggenti.
Ovviamente è sempre una questione di gusti, ed Hoax se non altro ha sorpreso.

domenica 5 gennaio 2014

Super Minerals - Live 5-13-08 [Stunned]

Per la label Stunned del chitarrista Phil French, un brevissimo live (22 minuti) in edizione cd-r in tiratura ultralimitata di, udire udire, ben 10 copie (!).
Potenza dell'underground, dei giorni nostri. Potrei immaginare un live dei SM come un happening per pochissimi intimi, in una serata primaverile ai margini della spiaggia pacifica, condita con chissà quali essenze utili a trasferire l'ambiente in una località immaginaria che potrebbe essere Tibet o Pompei.
Un flusso brancolante di psichedelia per la chitarra estatica di French e per gli effetti allucinatori di Giacchi, per un effetto di sicura ipnosi; diviso in due parti, una di 21' e la seconda di appena 1', per canti di volatili. Ecco, mancava la selva oscura fra le mete immagignifiche. 
Secondario, per chi prima ha ascoltato i loro piccoli capolavori.

sabato 4 gennaio 2014

Sunn O))) - Black One (2005)

L'inferno eclettico, in quello che è stato forse il più famoso drone-metal mixato con le palesi intromissioni delle raucedini black-metal, dei risucchi senza fine, della perdizione cosmica. Ma anche con le intrusioni glitch di Ambarchi, con le architetture fantasma e le illusioni ottiche (Candlegoat e Cry for the wheeper). Insomma, Sunn O))) già ibridati verso altre forme di estremizzazioni anche con un O'Malley all'epoca già presissimo da altre fonti di incontinenza (fra cui la sua migliore di sempre, Khanate).
Non lo indicherei come classico del genere (i Boris e gli Earth avevano fatto di meglio e tempo prima), ma un apertura importante al pubblico sì. 
PS: nel limited edition bonus disc compare anche una famigerata Vlad Tepes. Che Tipastri.

venerdì 3 gennaio 2014

Sun Kil Moon - April (2008)

Ha un po' il sapore della resa, April, del colpo di spugna primaverile in cui i colori sprigionano ovunque ma si preferisce guardarli dalla finestra.
In Tonight in Bilbao e Moorestown per la prima volta nella sua carriera Kozelek ha usato gli archi, il che è stata una notizia in sè quasi sorprendente, per l'uomo che ha fatto dell'essenzialità una ragione di esistere. April è un disco in cui succede tutto o nulla a seconda dei punti di vista, e francamente invidio molto coloro che l'avranno ascoltato per la prima volta in quell'occasione.
Chissà come l'avranno scoperto, chissà come l'avranno trovato bello, bellissimo, così neilyounghiano nelle fasi elettriche e così tanto confidenziale nelle acustiche da sembrare che ti suoni e canti di fronte. Io preferisco dire che è stata una tappa nella marcia di avvicinamento a Admiral fell promises.
Ah, tornando al discorso di prima: gli archi erano del tutto superflui.

giovedì 2 gennaio 2014

Sun City Girls - 330,003 Cross Dressers From Beyond The Rig Veda (1996)

Esagerati, esagerati, esagerati Sun City Girls. Questo è cross-over totale di etnico, psichedelico e free-form freak-out, doppio cd che uscì in contemporanea ad un altro doppio. Probabilmente hanno pubblicato qualsiasi cosa abbiano suonato e questo in qualche modo era avanti.
Ma curiosamente, l'ascolto non è pesante ed interminabile come si potrebbe pensare. Forse il secondo cd, quello interamente strumentale, rumorista, cubista, alla lunga si sbrodola un po' troppo. Però il primo è veramente geniale, fatto di canzoni vere e proprie che rivisitano le tradizioni di mezzo mondo (in prevalenza latino-americana, direi. ma anche raga indiano e qualcosa di africano), con qualche puntatina nel surf in qua e in là. Le tracce migliori sono CCC, Cruel and thin e Apna desh.
In attesa di ascoltare altro del loro sterminato repertorio, ho trovato una piccola perla.

mercoledì 1 gennaio 2014

Sun Araw - The inner treaty (2012)

Temevo che Stallones restasse influenzato dall'esperienza dello split con il combo giamaicano (meglio sorvolare, secondo me), invece fortunatamente non è così e Inner treaty, il suo ultimo disco (incredibilmente nel 2013 non è uscito nulla!), è un altra conferma di quanto questo freak stia giocando con la psichedelia fino a farla trasfigurare in qualcosa di deformato, ma sempre fresco e gioviale.
In neanche 40 minuti, il disco è molto più articolato dei precedenti e si caratterizza per una maggior compattezza; non so se perchè forse si è speso di più nella produzione o se è soltanto il miglioramento di Stallones come arrangiatore, fatto sta che ci sono meno sbrodolamenti e l'occhio si sposta su un astrattismo surreale che a tratti ha dell'irresistibile (And I, Like Wine), ma mantiene la sua proverbiale espansività con un piglio a metà fra il celestiale e lo stranito (Grip, Treaty).
Il solito colpo a segno di Stallones, dopo che l'incerto Ancient Romans mi aveva fatto pensare al peggio.