Chi non ha digerito le asperità dissonanti di Manafon forse avrà trovato un piccolo, parziale ristoro in questo capitolo che ancora una volta ha stupito per l'immarcescibile ispirazione di Sylvian e nel suo fiuto di talent scout nello scegliersi i collaboratori. Da sempre.
Questa volta è stato il turno di Fujikura, giapponese compositore e direttore d'orchestra neoclassica relativamente giovane ed oscuro, che si occupa della rielaborazione di 5 pezzi tratti da Manafon e li rende meno ostici fornendo loro un arrangiamento scabro di archi, riescendo nell'intento di dare veste nuova ad un suono che indefinibile era e resta.
Parlare di ritorno alla melodia per il resto sarebbe quasi esagerato, ma i più romantici sono senz'altro rimasti stregati e commossi da I Should not dare, The last days of December e A certain slant of light, che riescono a far vibrare le corde dell'anima come da tempo immemore non capitava.
Discorso diverso per When we return you won't recognize us, 18 minuti di installazione impro-concreta commissionatagli, che sembra un appendice di estremismo isolazionista. Ma riterrei che vada estrapolata come a sè stante dal contesto di Died in the wool.
Si aprono così scenari ancor più inediti per mr. Batt. Lunga vita.
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