Temevo che Stallones restasse influenzato dall'esperienza dello split con il combo giamaicano (meglio sorvolare, secondo me), invece fortunatamente non è così e Inner treaty, il suo ultimo disco (incredibilmente nel 2013 non è uscito nulla!), è un altra conferma di quanto questo freak stia giocando con la psichedelia fino a farla trasfigurare in qualcosa di deformato, ma sempre fresco e gioviale.
In neanche 40 minuti, il disco è molto più articolato dei precedenti e si caratterizza per una maggior compattezza; non so se perchè forse si è speso di più nella produzione o se è soltanto il miglioramento di Stallones come arrangiatore, fatto sta che ci sono meno sbrodolamenti e l'occhio si sposta su un astrattismo surreale che a tratti ha dell'irresistibile (And I, Like Wine), ma mantiene la sua proverbiale espansività con un piglio a metà fra il celestiale e lo stranito (Grip, Treaty).
Il solito colpo a segno di Stallones, dopo che l'incerto Ancient Romans mi aveva fatto pensare al peggio.
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