Qualche giorno fa, su uno dei miei blog preferiti, leggevo un interessante riflessione psico-filosofica sulla tematica "gruppi che hanno rotto il cazzo", ovvero su bands che riscuotono successo di critica e di pubblico e poi continuano tranquillamente la loro carriera mentre l'una e l'altro reagiscono sempre più freddamente.
Mi sembrava quasi naturale, ancor prima di ascoltare Il mondo nuovo, infilare il Teatro nella categoria: mi chiedevo come avrebbero fatto a replicare senza ripetere sè stessi. E le stonature generali delle recensioni facevano pensare al peggio.
Invece io vado controcorrente perchè il disco non è fenomenale ma è onesto ed enfatizza l'umiltà intellettuale che ha sempre caratterizzato Capovilla. Ci sono novità sostanziali negli arrangiamenti, ci sono tentativi di rinnovamento che vanno apprezzati: gli archi in Dimmi Addio, le ballad acustica dolenti di Ion Cleveland-Baghdan, il climax drammatico di Nicolaj, e soprattutto il doom-blues di Adrian.
Nello stile ormai classico d'assalto su cui il Teatro ha fondato il proprio successo non sono giunte novità eclatanti, ma il disco funziona perchè non ha evidenti cadute di tono e pur essendo abbastanza lungo ha un omogeneità continuativa invidiabile. Insomma, sono ancora al vertice nazionale.
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