sabato 30 aprile 2016

Screams From The List 39 - Negativland ‎– Negativland (1980)

Citazione d'obbligo per quanto riguarda i riciclatori di suoni fra i più longevi in assoluto, i californiani che presero il nome da un pezzo storico di Neu! 1. Il fattore campionamento fu un fondamentale nel suono dei Nurse With Wound, soprattutto nei dischi dei primi '80, mentre per i Negativland è sempre stato assolutamente prevalente sul tutto, oltre a quello socio-politico e all'impegno contro lo sfruttamento del copyright (che procurò loro non pochi problemi quando nel 1991 pubblicarono l'ep U2 e ne dovettero rispondere in sede legale).
Il debutto era un pastone di suoni inestricabile di voci trovate, nastri manipolati, effetti rumoristici, qualche gag e ben poca musica. L'effetto, come sintetizzò alla meglio PS, era quello di un remix dei Residents. Aggiungerei anche il retaggio degli esperimenti più intransigenti dei Chrome, oltre che gli effetti più ottundenti delle muraglie Throbbing Gristle. Un po' difficile da digerire più che altro perchè lo spazio riservato alle voci trovate è fondamentale e possono essere di difficile comprensione fuori dagli USA, ma dopotutto divertente e simpatico perchè contro tutti

venerdì 29 aprile 2016

Screams From The List 38 - Agitation Free ‎– Malesch (1972)

Illustre formazione teutonica che ammetto di aver saltato a piè pari, nonostante sia sempre stata menzionata alla pari dei grandissimi. Ma non è mai troppo tardi, mi sia concesso: Malesch fu un trip tutto personale e tale resta.
Fin dal titolo, dalla copertina (sottotitolo in arabo), dalle foto della band dell'epoca, immortalata ai piedi delle piramidi egiziane, apparve fin troppo chiaro che si trattava di un concept che trasudava Medio Oriente dalla testa ai piedi. E così era anche fra i solchi; l'ambizioso progetto di unire spirali psichedeliche tutte occidentali alle scale arabeggianti, con un'accurata dose di effetti cosmici, era perfettamente nelle corde del quintetto berlinese, che divenne così voce fuori dal coro.
Coraggiosi escursionisti.

giovedì 28 aprile 2016

Screams From The List 37 - Secret Oyster - Secret Oyster (1973)

Titolo facente parte della cartella "a me piacciono". Come i tedeschi Lily, i danesi Secret Oyster non furono nè innovatori nè rivoluzionari, ma semplicemente artisti preparatissimi che approfittarono della congiuntura temporale per realizzare ottima, ottima, ottima musica.
Trattavasi di un prog strumentale un po' jazzato, ma comunque peculiare perchè messo in scena con una foga ed un ossessività quasi insolita per il genere; il motivo forse è riconducibile al retaggio rock di alcuni dei componenti, con una sezione ritmica martellante ed una chitarra a tratti quasi aggressiva. Principali compositori del materiale erano comunque il fiatista Vogel ed il pianista Knudsen, che sapevano ritagliarsi spazi solisti di tutto rispetto. Eccezionali Fire & Water e Public Oyster.
Coesione al top ed orchestrazioni acrobatiche, per un disco da assaporare in tutta la sua profumata, stagionata, essenza.

mercoledì 27 aprile 2016

Screams From The List 36 - Magical Power Mako ‎– Magical Power (1973)

Altro personaggio nipponico da esplorare a tutto tondo. Makoto Kurita, chitarrista d'estrazione ma sostanzialmente un polistrumentista, esordì a soli 18 anni con questo disco dopo un testardo e determinato peregrinare fra Tokyo e la città natale. Fu l'inizio di una carriera artistica che è proceduta con relativa costanza fino ai primi anni zero.
E' un disco a due facce, Magical Power, che sintetizza una personalità bizzarra, seppur ancora adolescente, strabordante di idee. La prima parte è composta da stranezze assortite: deliri vocali da karate-kid, meditazioni sommesse, concretismi, percussionismi, folk giapponese stranito (gli irresistibili virtuosismi di shamisen su Tsugaru). A partire da Flying, la sesta traccia, inizia ad emergere l'animo più musicale di Kurita, quello di un cantautore psichedelico dai tratti onirici ma capace anche di fughe chitarristiche di grande impatto. E di elaborare un a suite barocca di oltre 12 minuti, Look up the sky, un collage visionario che chiude il disco con autorevolezza. Da segnalare la presenza, in un paio di tracce, di un giovane Keiji Haino alla voce.

martedì 26 aprile 2016

lunedì 25 aprile 2016

Screams From The List 34 - Blue Effect & Jazz Q Praha ‎– Coniunctio (1970)

Spettacolare joint-venture per due gruppi dell'allora Cecoslovacchia, all'ombra di un regime opprimente che fra le tante imposizioni vietò persino l'uso della lingua inglese. I Blue Effect, qui in versione power-trio effetto della temporanea esclusione del cantante, avevano esordito nello stesso anno ed erano in pieno transito dal blues al progressive, guidati da un chitarrista prodigioso, Hladik, virtuoso di gran gusto. Per i Jazz Q Praha, quartetto programmaticamente nominato ma con grosse tendenze free, invece era la prima testimonianza discografica.
In questa fusione, il settetto risultante fece faville. I 20 minuti di Coniunctio I furono il manifesto; apertura impetuosa su ritmo blues-rock con le tastiere ed i fiati in libera uscita, break progressivo per flauto pastorale, ripresa free-jazz e finale acrobatico in cui gli stili si incrociano mirabilmente. Nel resto del disco non si assiste più a questo amalgama generale, ma le imprese non mancano: il puro free di Asi Půjdem Se Psem Ven, la jam blueseggiante Coniunctio II che altro non è che uno showcase delle singole abilità dei musicisti, e soprattutto la magnifica Návštěva U Tety Markéty, Vypití Šálku Čaje, unica traccia composta dai Blue Effect, 6 minuti di pura magia progressiva guidati dalla grande chitarra di Hladik.

domenica 24 aprile 2016

Screams From The List 33 - Dome ‎– Dome 1 (1980)

Un po' complicato orientarsi in quel marasma che fu il primo post-Wire dei primi '80. Se Newman si esaltò in una serie di uscite entusiasmanti, Lewis e Gilbert diedero sfogo alle loro velleità sperimentali con una raffica di dischi sotto svariati moniker come B.C. Gilbert & G.Lewis, Cupol, Duet Emmo, e Dome, qui immortalati nel loro debutto.
Portando avanti il discorso più integerrimo di 154, i due proseguivano con la scarnificazione della forma canzone, con le angosce portate al parossismo, con l'alienazione dal melodismo e con la contaminazione elettronica, ai confini con l'industriale ed il rumorismo. Non mancavano gli spunti più convenzionali, come del resto ci avevano abituato nella trilogia; semplicemente venivano annegati in un unverso parallelo fatto di emissioni sulfuree, di ambientazioni spettrali e rimbombanti. In certi frangenti, rievocante la geniale schizofrenia di Half Machine Lip Moves dei Chrome. Essenziale e superiore ai successivi targati sempre Dome.

sabato 23 aprile 2016

Screams From The List 32 - Ame Son ‎– Catalyse (1970)

Autentico punto di contatto fra tramonti psichedelici '60 e albori del progressive, Catalyse fu l'unico disco pubblicato in vita dal quartetto parigino la cui sezione ritmica aveva militato nel gruppo pre-Gong di Daevid Allen durante il suo primo soggiorno francese.
E' uno di quei dischi che rischiano di essere ricordati più per la congiuntura geografico-temporale che per la loro effettiva bontà; l'influenza della prima stagione canterburyana era solo una componente del suono degli Ame Son, forse un po' indecisi sulla direzione da prendere. I residuati squisitamente melodici di alcune scorie beat andavano a cozzare contro impetuose cavalcate acide dalla chitarra stentorea; psichedelia, certo, ma straniante e con un utilizzo del flauto traverso che faceva da ponte con il progressive. Praticamente il corrispondente francese degli Andromeda. Paradossalmente, pur essendo fra i più melodicamente convenzionali della List, mi ci sono voluti più ascolti per concludere che si trattava di un gran disco.

venerdì 22 aprile 2016

Screams From The List 31 - Lard Free ‎– Gilbert Artman's Lard Free (1973)

Un po' di Francia, adesso; una presenza non minore all'interno della List, quella transalpina, che con lo scorrere degli ascolti mi impressiona sempre più. I Lard Free, quartetto condotto dal batterista/tastierista Gilbert Artman, realizzarono 3 dischi fra il '73 ed il '77, mescolando elettronica e jazz-rock come se nulla fosse. Questo fu il primo, pregno di forza innovativa (per l'epoca) ed una virulenza esecutiva che hanno del miracoloso. Se già i pezzi eseguiti canonicamente si differenziano per uno stile ineffabile e vulcanico (basso tellurico, chitarra e sax che impazziscono senza preavviso, esplosioni free a tradimento), quelli in cui l'elettronica ha il sopravvento sono oltremodo disorientanti. Così il synth (suonato dal bassista Eyhani) diventa l'elemento destabilizzante della situazione, facendo collidere con successo mondi all'apparenza così distanti. 
Un'altra formazione di cui tocca andare a scandagliare la discografia.

giovedì 21 aprile 2016

Screams From The List 30 - Decayes ‎– Ich Bin Ein Spiegelei (1978)

Oggetto non identificabile proveniente da oltre Oceano. I californiani Decayes, entità sperimentale letteralmente dimenticata dal mondo: 5 vinili realizzati (suppongo) privatamente, in edizioni di max 300 pezzi, di cui soltanto uno ristampato su cd negli anni zero.
Ich Bin Ein Spiegelei, il primo della saga, vedeva al lavoro il duo Kane & Sakrison, che nei dischi successivi faranno entrare un sacco di gente in formazione. Ancor prima di metterlo sul piatto il concetto di tributo alla gloriosa epoca dei maestri teutonici era evidente: titoli in tedesco ed art-work a base di spray deliberatamente mutuato da Neu! 2. All'ascolto, la conferma, ma con una debita dose di personalità: il lato A, Deur Müten, è una compassata e minimale nenia che lascia ipnotizzati: clarinetto suonato come Schneider soffiava sul flauto traverso nei primi Kraftwerk, risacche e rimestamenti acquatici come i Neu! di Lieber Honig, senso di pace e rilassatezza prima di un deragliamento finale a base di oscillatori impazziti, cocci, vetri in frantumi e clarinetto che perde la bussola.
Il lato B cambia totalmente approccio, con la title-track: dopo una intro parlata, partono i reattori di un motorik minaccioso accompagnato da un sibilo di chitarra fuzzato; non siamo molto distanti da Negativland, ma i rumorismi che pian piano iniziano ad avere il sopravvento chiamano in causa i grandi maestri Faust.
Entità da approfondire assolutamente.

mercoledì 20 aprile 2016

Screams From The List 29 - Come ‎– Rampton (1979)

Prima di varare il suo rovinoso progetto a lungo termine Whitehouse, William Bennett era un chitarrista art-punk. C'è da chiedersi perchè mai abbia accantonato la sei corde ed il suo progetto Come così presto, dato che la Casa Bianca non è che abbia espresso chissà quali velleità artistiche. Però sappiamo che si tratta di un personaggio discutibile (un'aneddoto su tutti, lo scherzo di cattivo gusto fatto a Maurizio Bianchi), quindi da cui ci si poteva aspettare tutto fuorchè ovvietà.
Rampton, uscito originalmente in cassetta nel 1979, è un disco poderoso di pezzi beffardi che come giustamente fatto notare da Vlad, sembra un incrocio fra i Throbbing Gristle e i Suicide, ma con l'aggiunta di questa chitarra secca che sparava riffs incisivi memori dell'Helios Creed incalzante dei power-chords più aggressivi. Con Bennett c'erano 3 personaggi misteriosi addetti ai synth, alle percussioni ed alle voci, davvero peculiari nel rendere beffardo, malato e più che mai deviato il materiale. A dir poco unico.

martedì 19 aprile 2016

Screams From The List 28 - Älgarnas Trädgård - Framtiden Är Ett Svävande Skepp, Förankrat I Forntiden (1972)

Mini-orchestra svedese dal retaggio folk ma che creava una miscela di etnica, psichedelia ed ispirazione medioevale, senza disdegnare puntate nello space-rock. Framtiden fu l'unico disco pubblicato in vita (il secondo fu registrato ma conobbe la luce soltanto dopo oltre 25 anni), e dimostrava un futuro brillantissimo, dagli sviluppi potenzialmente enormi, seppur un po' frammentario in quanto tendeva a ricreare un po' tutte le atmosfere possibili nell'ampio spettro sopracitato.
Etnica spiritata alla Third Ear Band, lisergia disincantata alla Achim Reichel, gighe folk baldanzose, esplosioni proto-stoner alla Hawkwind, arie indianeggianti.....ce n'era proprio per tutti i gusti in questo labirinto fascinoso ed alquanto sperimentale. Grande Scandinavia.

lunedì 18 aprile 2016

Screams From The List 27 - Lily – "V.C.U." (We See You) (1973)

Ci sono dischi come questo, come i Grobschnitt, come altri che non possono aver influenzato in nessun modo la (per modo di dire) formazione dei NWW, data l'ordinarietà delle proposte di quegli anni, al punto che si giunge alla conclusione che vennero inseriti de gustibus.
Fra questi i Lily, quintetto di Francoforte che purtroppo riuscì a pubblicare soltanto un disco e poi brancolò fra cambi di formazione e cambi di look imposti da spietati manager (come i Nine Days Wonder, subirono la triste tendenza dei dirigenti dell'epoca a spingere perchè i gruppi rock avessero un immagine glam) fino allo scioglimento avvenuto nel 1976.
Scrivo purtroppo perchè V.C.U. rappresenta una clamorosa risposta tedesca ai Colosseum e in generale al jazz-prog inglese, più che alla scena Canterburyana come vedo scritto nelle poche pagine dedicate alla loro memoria. Un suono raffinato e grintoso al tempo stesso, con una coppia di chitarre dall'interplay perfetto, un sax funzionale all'arricchimento dell'orchestrazione, un cantante non appariscente ma trascinante, e soprattutto splendide, splendide composizioni. Ci vollero 30 anni per una ristampa che include 4 out-takes, interessanti ma dopotutto inferiori alla qualità del disco originario che trovo a dir poco spettacolare nel suo genere. Applausi.

domenica 17 aprile 2016

Screams From The List 26 - Etron Fou Le Loublan ‎– Batelages (1976)

Avant-Trio francese al debutto: batteria sghemba e poliritmica, basso funambolico suonato per lo più come una chitarra, sax che si adegua al contesto e svisa irregolare. Un suono ispido e secco oltremisura; occorreva essere davvero bravi e gli EFL non difettavano di certo.
Poco jazz ed ancor meno prog, per nulla inquadrabili, i transalpini hanno costruito la prima parte della loro carriera su questa sintesi stridente: trame angolari, spesso ai limiti dell'atonale, contro il retaggio del cabaret patriottico, come si evince dalle parti cantate, caratterizzate da un enfasi ed una teatralità che non lasciava alcun dubbio.
Seppur qualche melodia affiori in qua e in là, Batelages resta un oggetto ostico e stimolante: seguire queste traiettorie imprendibili, al termine del disco, regala non poche soddisfazioni.

sabato 16 aprile 2016

Screams From The List 25 - Brast Burn ‎– Debon (1975)

Uno di quei titoli talmente difficili da trovare che probabilmente ai tempi finì catalogato come bufala, visto che lo stesso Stapleton ebbe a dichiarare che alcuni nomi erano inventati di sana pianta. Oltetutto i giapponesi Brast Burn (zero informazioni, zero biografie in rete) pubblicarono Debon per una etichetta locale, Vision, che attese 10 anni per dargli un seguito.
Il vinile è composto da due suite che prendevano il minutaggio massimo di ogni faccia, 23 minuti, senza titolo. Folk psichedelico, sostanzialmente, che alternava atmosfere festaiole e leggiadre ad altre più misticheggianti e cupe. Molto importante l'aspetto vocale, intercalato fino ad ottenere stati ipnotici. Notevoli le improvvise entrate della chitarra elettrica, che insieme al cantilenare fanno venire in mente i Can. Ma come spesso accadde nel Sol Levante, il dna di quella terra ci strega e rivela aspetti misteriosi che tengono alta la soglia dell'attenzione anche per musiche non eccessivamente avventurose come questa.

venerdì 15 aprile 2016

Screams From The List 24 - Alternative TV ‎– Vibing Up The Senile Man (1979)

Che coraggio che ebbe Mark Perry, davvero un leone. Lasciò il suo impiego in banca per diventare parte attiva nel calderone punk londinese del 1976/77, diventò dj in radio, avviò una fanzine e poi fondò gli Alternative TV, band inizialmente inserita nel filone più o meno canonico della grande ondata.
Ben presto, però, si stancò e, complici anche le molteplici variazioni della line-up, ebbe una svolta sperimentale per certi versi simile a quella di John Lydon e fece virare il gruppo verso una forma astrusa di dark-psichedelico spettrale. Su Vibing up in organico con lui era rimasto soltanto il bassista Dennis Burns, e infatti il 4 corde è lo strumento principale su cui Perry innestò queste litanie minimali e deformi, senza batteria, che gli attirarono le ire del pubblico punk e lo sbigottimento della stampa, entrambi evidentemente impreparati ad un ribaltone del genere.
Fu un disco talmente incompreso che ci vollero quasi 20 anni per una ristampa, da parte di una sussidiaria della Cherry Red, che vide la brillante aggiunta di due pacchetti live: il primo del 1976, che testimonia la prima fase del gruppo, dedito ad un punk già ispido e notevolmente differente dalla massa, esaltante: il secondo del 1979, quando avevano cambiato nome in Good Missionaries (altro nome della NWW list), in cui mettevano in scena la sperimentazione di Vibing con risultati altrettanto shockanti, se non di più.

giovedì 14 aprile 2016

Screams From The List 23 - Nihilist Spasm Band ‎– No Record (1968)

Canadesi di Ontario, i Nichilisti furono in qualche modo la versione free-jazz dei Cromagnon e dei Godz, dissennati che a fine anni '60 avevano il fegato di mettersi in gioco con una proposta pressochè indigeribile. L'incredulità sta nel fatto che oggigiorno il gruppo è ancora attivo, per di più con gli stessi componenti a parte un paio che purtroppo sono deceduti, e suona ancora di frequente nei club della propria città, per il loro divertimento personale, ma un pubblico è sempre benvenuto. Vedere le loro foto attuali, di candidi 70enni con lo stesso sorriso beffardo di mezzo secolo fa, è quasi commovente e fa anche senso il fatto che abbiano pubblicato la stessa mole di materiale negli ultimi 10 anni che nei 30 precedenti. Infatti No Record rimase non bissato fino al 1979.
Pionieri della destrutturazione degli strumenti, i Nichilisti non sono mai stati interessati ad imparare a suonare. L'improvvisazione è totale, nonchè la devastazione di ogni luogo comune musicale. Il Non-Disco, molto presumibilmente registrato dal vivo, è uno spasso dall'inizio alla fine. Kazoo e clarinetto fanno a gara a chi le spara più grosse, la batteria insegue improbabili traiettore jazz, basso, chitarra e violino emettono rimbombi e dissonanze, il cantante sbraita come un predicatore invasato. Mai ascoltato qualcosa del genere?

mercoledì 13 aprile 2016

Screams From The List 22 - Gila - Gila aka Free electric sound (1971)

L'apertura, Aggression, è uno scontato e monotono blues-rock ad alto tasso testosteronico, piuttosto hendrixiano. E mi chiedo: cosa diavolo c'entra questo con la list?
Per fortuna dura solo 5 minuti, poi con Kommunikation si entra nello spazio Gila, il quartetto guidato dal chitarrista tedesco Conny Veit prima di rispondere all'appello di Florian Fricke, destinazione Popol Vuh. E questo spazio è un distillato purissimo di psichedelia onirica, di visioni mistiche, di dolci contorsioni arabeggianti, di jams dal sapore etnico e galattico al tempo stesso, di ballad agresti e bucoliche.
L'influenza dei Pink Floyd di quegli anni (soprattutto di A saucerful of secrets) è evidente, eppure la lente di trasmissione teutonica permise anche in questo caso la riuscita di qualcosa di originale e destinato a diventare un culto, seppur di minor impatto rispetto ai giganti.
Per lasciarsi andare dolcemente...

martedì 12 aprile 2016

Screams From The List 21 - Mnemonist Orchestra ‎– Mnemonist Orchestra (1979)

Allo spulciare della List, spunta un interrogativo: ma se nell'insert originario erano stampati solo i nomi degli artisti, chi ha fornito i titoli dei dischi? Una ristampa successiva della UD? Un'elenco dettagliato enumerato da Stapleton in persona? No, nulla di tutto questo. Per quanto riguarda le sigle che pubblicarono soltanto un disco in vita, il problema non si pone. Per tutte le altre, normalmente si fa riferimento ad una guida compilata dalla rivista inglese Audion, da sempre in stretto contatto con Mister NWW.
Alla voce Mnemonists viene riportato il disco Horde, con la precisazione però che si tratta di una scelta del tutto arbitraria effettuata dalla redazione o dal giornalista incaricato di stilare. Ed è anche del tutto forzata, perchè Horde uscì nel 1981, ovvero un anno dopo l'uscita della list aggiornata su To the quite men from a tiny girl, datato estate del 1980. Per cui, altrettanto arbitrariamente, io decido invece di citare l'esordio del collettivo d'avanguardia del Colorado, risalente al  1979, con l'intestazione completa di Orchestra che scomparirà a partire dal secondo album.
Dettagli e/o pignolerie a parte, questo catalogo dei Mnemonists non è proprio roba per madamine, bensì come scrive Vlad, memorabili colonne sonore per disturbati mentali. Quattro assemblaggi di 11-12 minuti ciascuno, in cui gli strumenti (principalmente la nutrita sezione fiati, chitarra elettrica notevolissima anche se mixata un po' bassa, batteria balbettante, percussioni, suoni concreti) vengono lasciati allo stato brado, in preda a sconclusionate improvvisazioni che vorrebbero essere free-jazz. Al di sopra di essi, il lavoro di collaging (studio editing, manipolazione nastri, effettistica, loop vocali impazziti) che la fa da padrone e rende il pastone ancor più inestricabile ed indefinibile. L'effetto finale è di una gigantesca allucinazione senza vie d'uscita.

lunedì 11 aprile 2016

Screams From The List 20 - Ron 'Pate's Debonairs ‎– Raudelunas Pataphysical Revue (1977)

Uno dei dischi più incredibilmente strani che mi sia capitato di ascoltare, e non soltanto per l'altissimo tasso di freakeria ivi contenuto, che da solo di per sè non sarebbe stato sorprendente. Registrato dal vivo nel 1975 in un università dell'Alabama da questo ensemble, i Debonairs, una mini-orchestra di 10/12 musicisti, come da titolo si tratta di un bignami di patafisica all'ennesima potenza, con l'aggiunta di un frontman, tal Fred Lane, che non faceva altro che aggiungere benzina sul fuoco della provocazione e dell'ironia prorompente da questi solchi.
Innanzitutto gli estremi del disco, My kind of town (Sinatra) prima e Volare (indovinare...) dopo: due prese in giro colossali al jazz da big band, due scalcinati ed irresistitibili swing dell'assurdo. Imperdibili. Nel mezzo, questo Lane che presentava le operazioni con declamazioni e gags di chiaro sapore cabarettistico, applausi oceanici platealmente posticci in contrasto al pubblico realmente presente, sparuto. E soprattutto gli shock auditivi: un traumatico Concert for active frogs, 10 minuti di squittii per fiati e voci modificate che manco uno stagno in piena estate. The captains of industry, power electronics non-sense per trapani e microfoni. The Lonely Astronauts, sinfonia demente per cello, fiati e corde di chitarra sul manico. The Chief divisions..., squinternata marcia etnica con qualche anno di anticipo sui Sun City Girls.
Eccessivo, assurdo, esilarante.

domenica 10 aprile 2016

Screams From The List 19 - Nine Days' Wonder ‎– Nine Days' Wonder (1971)

Curiosa congiuntura che, come testimoniano le parole di Walter Seyffer, unico membro stabile nella breve carriera dei NDW, poteva uscire soltanto nel 1971 e a cui sta molto stretta la "germanica" provenienza. Nella realtà, infatti, la formazione contava soltanto due tedeschi su 5, il suddetto vocalist ed il chitarrista Henning. Completavano il quadro un bassista austriaco, un batterista inglese e l'importante fiatista irlandese Earle. 
Da questo melting-pot anglosassone ne scaturì un vinile la cui coesione stupisce ancora oggi; si provi ad immaginare un incrocio fra i Jethro Tull epoca Stand Up / Benefit, i primi Blue Cheer, gli Andromeda di John DuCann ed i Family di Entertainment.
Imperniato su questi scontri astrali, NDW splende tuttavia di una luce propria (aggiungerei anche qualche rapida incursione ironico-teatrale alla Patto, visto che se la ridevano di gusto) e mostra un quintetto compattissimo e lucido nell'elaborare le sue intricate trame. Per i fans dei gruppi sopracitati, un ascolto quasi obbligatorio.

sabato 9 aprile 2016

Screams From The List 18 - Michael Mantler ‎– The Hapless Child (And Other Inscrutable Stories) (1976)

Grave mancanza, per un wyattiano di ferro come me, scoprire soltanto dopo quasi 40 anni questo capolavoro che vide il Nostro partecipare come vocalist per la durata dell'intero disco.
Mantler, trombettista jazz viennese attivo tutt'oggi da oltre mezzo secolo nell'area ECM, a metà anni '70 realizzò una trilogia di dischi che lo vedevano esclusivo compositore delle musiche ma non come esecutore, bensì allestitore di formazioni sempre diverse a parte la presenza comune della moglie, Carla Bley. 
The Hapless child, pannello centrale del trittico, si propose come ambizioso punto d'incontro fra il jazz ed il progressive, però quello più diretto verso la scuola canterburyana. Logica, quindi la presenza di Wyatt in questi 6 episodi ben strutturati che io però interpreterei più come un'unica suite, vista la perfetta continuità delle atmosfere. Tutto è permeato da una drammaticità ed una tensione che fanno presagire qualcosa di fatale e tragico, messo in scena dall'inevitabile ultra-perizia dei jazzisti coinvolti. Il basso fuzzato di Swallow che stabilisce un parallelo con Hopper, la chitarra fendente di Rypdal, la batteria imprendibile di DeJohnnette, le tastiere della Bley a fare da guida; sopra tutta questo, la voce eterna del Nostro. Episodio giustamente circoscritto.

venerdì 8 aprile 2016

Screams From The List 17 - Zamla Mammaz Manna ‎– Schlagerns Mystik / För Äldre Nybegynnare (1977)

Subito una bomba, perchè è giusto che il festival inizi da dei fenomeni.
Dalla fredda Svezia, una terra da cui non ti aspetteresti dei buontemponi, questo eccezionale doppio vinile pubblicato nel 1977 la cui prima parola d'ordine è ironia, purissima, che sprigiona dagli innumerevoli stili messi in pratica dagli ZMM (o SMM, come si chiamavano fino all'anno precedente). Durarono l'arco del decennio più una piccola propaggine nei primi '80 sotto il nome Von Zamla e furono fra i leader del movimento RIO. La seconda parola d'ordine è fantasia al potere. La terza è tecnica strumentale da jazzisti. La quarta è i cari vecchi anni '70 e tutto quello che ne consegue.
Due album insieme, folli e diversissimi. Schlagerns Mystik è una parata divertentissima per gag surreali, marcette circensi, vignette sognanti; la fiera del vaudeville più dadaista e storto che ci sia. Il RIO è stato un movimento che trascendeva i confini degli stati europei, ma è quasi inaudito che questa virtuosa sfilata sia stata elaborata da un gruppo scandinavo (o forse sono io che difetto del tutto di conoscenza della cultura svedese?) In coda c'è anche l'epica suite Odet, della durata di 17 minuti. La loro versione del progressive, appuratamente traslata. Una lezione severa ad un intero genere, allora in declino verticale.
Ma non è finita, perchè För Äldre Nybegynnare è l'esatto contrario e sbanca tutto. Trattasi di registrazioni live effettuate in madrepatria fra l'estate del 1976 e l'autunno del 1977. Improvvisazioni. Qui la parola d'ordine è l'assurdo, perchè raggiungono un livello di astrattismo assoluto. Niente armonie, l'ironia di fondo si sente ma l'impatto fisico è impressionante. Puro avant-rock di razza; il termine free-jazz mi sembra improprio, l'accostamento era davvero fuori dalle loro corde. Anarcoide ma spaventosamente lucido.
Mi vengono in mente quei 2-3 film che ho visto del connazionale Roy Andersson, più o meno coetaneo degli ZMM. Ok, adesso ci siamo e il cerchio si chiude: la Svezia è terra di folli, bastano questi due.

giovedì 7 aprile 2016

T.M. presents The NWW List Festival (Screams 17-46)

Sempre più estasiato ed inebriato dalle eccitanti rivelazioni che questo benedetto listone mi introduce, ho deciso impunemente di varare un festival che prevede la presa in ascolto di n. 30 estratti, che saranno pubblicati nei prossimi 30 giorni. 
Il ringraziamento speciale va a Vlad per l'ispirazione e la spinta decisiva, il carico di stima e riconoscenza va a Steve Stapleton, Heman Pathak e John Fothergill. La maggioranza dei titoli appartengono alla categoria "da ascoltare subito" (e varianti entusiastiche) o soltanto semplicemente "da ascoltare", una piccola parte non lo saranno. Nel mio hd sono in una cartella nominata "a me piacciono".


mercoledì 6 aprile 2016

Algiers - Algiers (2015)

Il cantante/compositore degli Algiers, Fisher, sostiene in un intervista che era da circa 7 anni che il gruppo lavorava alla formula che lo ha portato al debutto con uno dei dischi più belli dell'anno scorso. Di questi tempi, un segreto è da tenere più nascosto che in passato e quelli della Matador c'hanno visto lungo nel metterli sotto contratto in tempo.
Se Nick Cave fosse nato di colore, in Georgia, nei primi anni '90, oggi suonerebbe più o meno come gli Algiers, che mettono in campo un ossimoro sonoro difficile da immaginare prima: le sonorità scabre della cold-wave e dei pionieri elettro-rock contro un canto tipicamente gospel. Fisher vocalizza come un invasato ma ha le doti giuste per non far sembrare forzoso il contrasto. L'insieme cattura al primo ascolto e si conferma ai successivi; il gospel non è certamente fra le mie cup of tea ma Algiers è un ibrido curioso ed inaudito e le canzoni sono quasi tutte molto belle. Bravissimi.

lunedì 4 aprile 2016

Clearlight Symphony ‎– Clear Light Symphony (1975)

Con notevole ritardo, sono alla scoperta dei grandi progressivi francesi e Clearlight Symphony ne fu nome di punta in quanto supportato dalla Virgin, allora in subbuglio per l'inaspettato successo di Tubular Bells. Ma non soltanto per quello; il mastermind Cyrille Verdeaux, grande e creativo tastierista, compose 40 minuti al solo pianoforte, dopodichè chiamò alcuni Gong a costruire queste due magnifiche suite strumentali senza titolo, contrassegnate soltanto dalla parte del vinile che si metteva sul piatto.
Più dinamica, a tratti trascinante, la prima (sugli scudi il chitarrista Boulè, con interventi mirati ed incisivi); più spaziale e sinfonica la seconda, anche per la mancanza totale di sezione ritmica, con i fiati di Malherbe ad infiorettare. Nel suo complesso, CS è una raffinata escursione che resta più legata al progressive per le partiture ma distribuisce bubboni space e freakerie gonghiane quanto basta per renderla ancora più interessante, 40 anni dopo.

sabato 2 aprile 2016

Double Leopards ‎– A Hole Is True (2005)

La posa nella foto del quartetto newyorkese mi ricorda, per quanto riguarda le posture, le vecchie in bianco e nero dei Throbbing Gristle. Mi sembrava che, in piena epoca Usa-Noise, non è che abbondassero le (doverose) citazioni a mo' di tributo all'istituzione britannica del rumore; del mucchio, i Leopardi Doppi forse  sono fra quelli che pagano più pegno a quello straordinario apripista, a dispetto del fatto che utilizzano chitarre elettriche totalmente effettate.
La particolarità che li ha elevati da questo mucchio, però non è stato il mero utilizzo delle 6 corde, quanto l'aver espresso una vena che solitamente non è/era nelle corde di Wolf Eyes & co., ovvero quella psichedelico/galattica che rende il loro rumore di un colore che non è soltanto bianco. Non a caso, un paio di loro andarono presto a formare i (per dire) più canonici e musicali Religious Knives. I 3 monoliti di A hole is true, totalmente improvvisati, giganteggiano fra le cose migliori mai espresse da quella scena.