venerdì 30 agosto 2019

Colossamite ‎– All Lingo's Clamor (1997)

Quartetto dalla vita brevissima, attivo in neanche due anni su Skin Graft. Di fatto erano l'unione fra i Gorge Trio, un trio avant-noise e Nick Sakes, cantante dei Dazzling Killmen, trio post-hardcore attivo sempre sull'attentissima label del Montana, discioltosi da poco tempo.
Tutta gente abbastanza sconosciuta, ai tempi, di cui parlavano solo Scaruffi e Blow Up, trattandosi di materia piuttosto infiammabile. I residuati post-hardcore di Sakes, riconoscibili soprattutto dal suo urlo disperato, andavano ad amalgamarsi contro le derive math fragorose del GT, per un episodio breve (poco più di 20 minuti, senza pressochè pause), carico di pathos e psicodrammi, situato in quell'area grigia che si era venuta a formare negli US a fine '90, che non era classico noise-rock ma neanche art-avant dal sopracciglio alzato (in accezione positiva), e che diede alla luce tanti bei prodotti come questo catastrofico, dinamico, granitico mini.

mercoledì 28 agosto 2019

Screams From The List #86 - Contortions ‎– Buy (1979)

L'infuocato art-whitefunk di James Chance / White e i Contortion, nel disco coevo al grandissimo Off White; una line-up identica eccetto il bassista, quindi col tempestoso chitarrista Jody Harris sempre in prima linea a sparare granate, il leader a sputare invettive e starnazzare col sax, la sezione ritmica a sincopare senza tregua. Un suono più spostato sul funk-blues come influenze, ma egualmente improntato ad una follia generale seppur organizzato alla perfezione. Nove pezzi infuocati che nella ristampa in cd diventano 12, grazie a tre live indicativi di cosa potessero fare questi matti su un palco.

lunedì 26 agosto 2019

Daniela Casa ‎– Arte Moderna (1975)

Come mi auguravo in sede di Sovrapposizione di immagini, si susseguono le ristampe della Casa, sia delle sonorizzazioni col marito Ducros che quelle create in solitudine, come questo Arte Moderna del 1975. Quattordici quadretti di massimo 3 minuti, non meno che eleganti nelle espressioni più pastorali e bucoliche, non meno che formalmente perfetti in quelle più atonali ed avanguardistiche. E' proprio quest'alternanza circolare di umori a stabilire la cifra stilistica di questa grande compositrice, seppur (come fa pensare il titolo, d'altra parte) l'aspetto più ambizioso e meno melodico alla fine sia predominante.

sabato 24 agosto 2019

A Broken Consort ‎– Crow Autumn (2010)

La degnissima chiusura della breve saga ABC, consistente in un'antologico comprendente la parte (anonimemente) 1 rilasciata come CD-r nel 2007 + il monumentale Part 2, per il quale ogni scusa è buona per riassaporare. Che poi l'interrogativo sorge inevitabile, perchè il primo è censito su Discogs con un unica traccia chiamata A Mercy Kill di 19':30'', mentre nella realtà ci sono Day Reveals, A Mercy Kill e Like Rain che in tutto ne fanno 10 scarsi. Passando alla Part 2, in rassegna i 3 monoliti originari ed in chiusura una chiosa di 5 minuti inedita, Leaves. Skelton non l'ha fatto di proposito, ne sono convinto; ha ritenuto giusto dare una nuova veste a questi flussi paranormali. 
Tutte più o meno piccolezze nella mente dell'archivista che vengono spazzate via dal complesso, divino, estasiato, straziante per quanto la più grande bellezza possa esserlo. Skelton ha donato il suo sacro spleen al mondo, siamone grati, sempre.

giovedì 22 agosto 2019

Aphex Twin ‎– ...I Care Because You Do (1995)

Chiamato ad una conferma importante dopo i clamorosi lavori casalinghi che l'avevano fatto conoscere, RDJ rispose con un titolo che svelava una certa ironia, oltre a quella esposta nella copertina. Insomma, il personaggio forse non voleva essere preso troppo sul serio, visto l'alone di mistero che i primi anonimi passi avevano sprigionato. 
A mio avviso I Care Because You Do funziona meglio nelle tracce meno concitate, quando James è in grado di creare grandi scenari come la magnifica apertura Acrid Avid Jam Shred, il semi-gotico di Wet Tip Hen Ax, la splendida scansione di Alberto Balsalm ed il gran finale sinfonico di Next Heap With. E' quasi un disco a due facce, perchè i contraltari sono durissime tracce da heavy-pista o semi-cingolati industriali, ed in tutto l'assieme è purissimo Aphex-DNA al top della forma, questo è fuor di dubbio. Terzo centro pieno, e senza considerare i vari EP.

martedì 20 agosto 2019

Nadja – Bodycage (2005)

Uno dei primi (si fa per dire, il sesto...) album della coppia canadese, già bella collaudata in tema di lunghissime e mastodontiche elucubrazioni circolari. Bodycage è concentrico: due tracce di 20 minuti con una da 10 nel mezzo, Autosomal, che poi è la meno interessante, volta al lato violento e tempestoso. L'apertura Clinodactyl è uno dei manifesti del loro solenne massimalismo: intro lucente di 8 minuti e poi entrano in scena le ritmiche, pantagrueliche, mentre il tema principale diventa epico e drammatico. Ossification invece si rivolge alla sfera celeste, un ambient-core notturno e fascinoso che al 10 minuto prende forma compiuta e stratificazioni completate, di nuovo con le percussioni tonfanti, a bassissimo bpm, mentre la tempesta attorno ha saturato tutto. Sapranno fare di meglio di lì a poco, quel che è certo è che l'esperienza vale sempre un viaggio di questi, almeno una volta.

domenica 18 agosto 2019

Thee Speaking Canaries ‎– Songs For The Terrestrially Challenged (1995)

Torrenziale effluvio di hard-rock rocciosissimo per il power-trio di Damon Che al secondo disco. Per motivi di natura personale, per pensieri ed inconvenienti vari, l'ho ascoltato per 5 giorni consecutivi perchè non riuscivo a cambiare ed ogni volta acquisisce valore. Se il debutto era ancora un po' indeciso sulla direzione da prendere, SFTTC gettava la maschera senza ritegno e giù a rollare con una marea di soluzioni armoniche, per un album lunghissimo ma che riesce ad essere fiammeggiante senza pause, di una compattezza esplosiva. Irresistibile il canto di Che, che si atteggia a rocker'n'roller di antichissime tradizioni sotto il fuoco di 1000 bombardate e del propulsore atomico di Leger (prodigioso) ed Hendricks, talmente coeso il suo basso quasi da non sentirsi.

venerdì 16 agosto 2019

Cheer-Accident ‎– What Sequel? (2006)

Lo squisito, elegante e raffinatissimo art-post-canterbury-Rio di Thymme Jones & compagnia cangiante nel loro album 16 di 22. Credo che non arriverò mai ad ascoltarli tutti, e in fondo in fondo sarà un peccato perchè potenzialmente sono tutti belli. Questo, preso in pratica a campione fra quelli della terza età del gruppo, è di una perfezione formale clamorosa, ed è curioso perchè al primo ascolto non sembra entusiasmante, ma già al secondo rivela dettagli inediti, senza per questo dover ricorrere a trucchi e/o tecnicismi di dubbio gusto. Le ritmiche sono belle squadrate e regolari anche se ricche di controtempi, la voce di Jones un po' monocorde ma estremamente melodiosa, i pezzi sono quasi tutti molto brevi. L'eredità di Robert Wyatt, della stagione canterburyana e dello Zeuhl virato light trasposte ai tempi nostri non potrebbe avere migliori esponenti.

mercoledì 14 agosto 2019

Gun Club ‎– Miami (1982)

Un'anno dopo la grande rivelazione di Fire Of Love, il quartetto di Jeffrey Lee Pierce era già pronto ad evolversi e perchè no, a raffinare le proprie doti dando in mano il suo secondo album ad un produttore voglioso di levigare la componente punk e di ravvivare le doti istrioniche del suo master. Il risultato fu un aumento esponenziale delle chiavi roots e della solennità espressiva di JLP, ancor più idealmente vicino ad un Jim Morrison reincarnato e ravvivato dal '77. Resta un disco in sostanza inferiore al debutto, anche se più espressivo e vario nelle atmosfere; l'anno successivo con Death Party recupereranno parte del loro spirito animalesco.

lunedì 12 agosto 2019

Leanan Sidhe ‎– Calendario Arboreo Perpetuo (2000)

A volte il fascino del mistero avvolge oltre l'immaginazione, e riesce a mascherare e sovraccaricare i risultati artistici. Nel caso dei fiorentini LS, le bio-info sono pressochè inesistenti; partiti a metà anni '80 nell'epicentro del rock nazionale, non riuscirono ad emergere e scomparvero per quasi un decennio. Sembra confermare la storia modello di quegli outsider toscani che si sono affacciati ai panorami musicali, salvo poi fuggire ed isolarsi in campagna (è un po' naif e cito solo quelli di mia conoscenza/ricordo, Unmade Bed, Ci S'Ha, ma sono sicuro che ce ne sono stati altri, e poi come non pensare ai Sensations' Fix). Calendario Arboreo Perpetuo è stato il loro ultimo auto-prodotto (purtroppo l'unico componente di cui era noto il nome è scomparso nello scorso decennio), rilasciato gratuitamente in rete e rivelatore di uno stile del tutto personale, in apparenza incasellabile sotto una campana banalmente psichedelica, ma in realtà molto più ampio, fosse soltanto per l'avventurosa storia della sua costruzione (rimando con piacere al post di Allelimo che me li fece scoprire). E' un viaggio globalizzato, con delle armonie di grande respiro e costruzioni chitarristiche di pregio; non è esente da difetti (un po' intrusive e concitate le incursioni di parlato, ma immagino siano state importanti a livello concettuale), ma l'unicità del complesso li rendeva speciali, questo è certo.

sabato 10 agosto 2019

Kyuss ‎– Welcome To Sky Valley (1994)

Sfruttando il clamore suscitato e le sensazioni diffuse da Blues For The Red Sun, i Kyuss trovarono un ingaggio major ed il successo con questo terzo album. Da allora il termine Stoner divenne una categoria di consumo, in quei mid-90's in cui si cercava una casella che potesse prendere il trono del grunge, rapidamente decaduto dopo i folli bagordi appena trascorsi.
Blues era stato disco del mese di Rumore, l'avevo comprato senza indugio e me ne ero innamorato all'istante. Sky Valley no, non lo comprai perchè c'era meno entusiasmo. Mixo e Rupert me ne diedero importanti assaggi su Planet Rock ed ebbi l'impressione che fosse un po' distratto e dispersivo, l'effetto novità era rapidamente sparito ed altre cose stavano distogliendo la mia attenzione dai ragazzi di Palm Desert.
Riascoltandolo ad un quarto di secolo di distanza, lo rivaluto in maniera importante. L'attacco di Gardenia è contagioso nel suo rotolare mostruoso, Supa Scoopa spazza via la sabbia dal deserto, Space Cadet una splendida parentesi acustica dal sapore classico, Demon Cleaner la concessione alla melodia più genuina, Whitewater una mini-suite avventurosa. Non tutto è perfetto in Sky Valley ed ovviamente lo standard di Blues for the red sun non era più replicabile, ma restava comunque un lavoro destinato ad essere ricordato come un evento importante.

giovedì 8 agosto 2019

Bloodiest – Descent (2011)

Anni fa, quando vidi i Disappears al Bronson, al mio interrogativo di cosa stesse facendo al momento Cayce Key, Brian Case mi disse che suonava in una band metal, e lo faceva anche molto bene. Soltanto oggi me lo sono andato a recuperare, e trattasi dei Bloodiest, un collettivo numeroso (6-7 componenti) di Chicago che ha fatto 2 album su Relapse, forse senza troppi riscontri a livello internazionale ma di più che buona riuscita generale. Descent, il primo, verte su uno sludge-post-doom altamente contaminato di elementi gotici, con una solennità ed un senso di drammaturgia che rievoca costantemente gli Swans degli anni '90 (soprattutto nelle fasi acustiche). I Bloodiest fanno girare a lungo i loro riff ed i loro schemi puntando su un effetto quasi ipnotico, riuscendoci molto bene in più punti. Qualche sezione a mio avviso poteva essere tagliata, ma vista l'ambizione per un debutto i risultati erano più che buoni.
Per quanto riguarda il buon Key, beh, forse non è il genere che rende giustizia alle sue qualità, ma la performance resta bella quadrata e possente, e non potrebbe essere altrimenti. D'altra parte, citando sempre Brian Case, non si può immaginare di fare i 90 Day Men senza avere i 90 Day Men.

martedì 6 agosto 2019

Labradford ‎– Labradford (1996)

Terzo e più bell'album del duo (allora trio), dal punto di vista emozionale. Nelson e Brown liberavano la loro vena lirica, e con l'ausilio del bassista Donne aggiungevano una timida, lenta iniezione ritmica. Recuperando lo sparso, a tratti represso slancio melodico di Prazision, rimasto un po' in disparte sul secondo A Stable Reference, ci regalavano un afflato finissimo; le pigre didascalie chitarristiche ed i sussurri intellegibili di Nelson, le coloriture d'organo di Brown, gli effetti elettronici sottopelle, tutto va in gloria con i capolavori Midrange e Battered, magnificenti sculture di quiete cosmica in forma intimista. Ma a partire dallo strumentale iniziale, disorientante quanto poco indicativo del proseguio, non c'è un momento che non convinca in questi solchi confidenziali, universali, a tratti tangenti una forma di gotico difficilmente sentita prima, se non negli ultimi Talk Talk. Pietra miliare di tutto il post-rock.

domenica 4 agosto 2019

Joanna Newsom ‎– The Milk-Eyed Mender (2004)

Lo shocking-debut della californiana, poco più che ventenne, su Drag City, subito dopo esser stata "scoperta" da Will Oldham. Cresciuta in una famiglia di musicisti folk e mossi i primi passi come tastierista di un paio di oscure formazioni, la Newsom estraeva uno strumento insolito come l'arpa, la sua voce acuta ma soprattutto un manipolo di pezzi clamorosi, rivelatori di un talento raro nel saper creare scenette bucoliche ma con un vigore ed una tenacia narrativa che strega letteralmente.
Cosa se la ragazza avesse imbracciato una chitarra acustica al posto dell'ingombrante, complessa arpa? Non sarebbe stata la stessa cosa, e la sua maestria tecnica nel creare ragnatele sarebbe rimasta scoperta. Un disco fuori dal tempo, che conserva ancora qualcosa dei cantautori classici (chissà perchè, alcuni passaggi mi hanno ricordato Kevin Coyne...) ma è ben rivelatorio delle prodezze che di lì a qualche anno avranno sconvolto il mondo indie.

venerdì 2 agosto 2019

Modest Mouse ‎– This Is A Long Drive For Someone With Nothing To Think About (1996)

Sono stato così deluso dai loro ultimi album che mi sono dimenticato dei primi due dei Modest Mouse, due disordinate prodezze in grado di rilevare la vera eredità dei Pixies (ma non solo) iniettando ulteriore dose di follia allo stato puro. Uscito in doppio vinile, This is a long drive... fu una sensazione immediata per tutta la stampa ma ai tempi ero troppo preso da altre cose e lo ignorai, salvo poi venirne fulminato dopo qualche anno, facendo il paio con Perfect From Now On dei Built To Spill, in tema di quella America in grado di unire metropoli e ruralità in un colpo solo, con punti di vista talmente personali da restare scolpiti nella pietra. Dramamine, Lounge, Ohio, Tundra/Desert, Talking Shit About A Pretty Sunset, le perle più significative di un disco lungo da consumare ancora avidamente.