mercoledì 30 maggio 2012

Sylvain Chauveau - Nocturne Impalpable (2001)

Bravo compositore francese che soltanto negli ultimi anni si è avvicinato ad una forma di art-cantautorato (finendo curiosamente per somigliare a David Sylvian), e che in questo che è forse il suo disco più ricordato invece opera in una via neo-classica-pianistica, molto cinematica.
Il suo forte è la delicatezza del tocco, nonchè la creazione di ambienti accorati quasi sempre soltanto con l'ausilio del solo piano. I momenti più spessi, col synth, vanno a parare su una ambient celestiale quasi new-age (Radiophonie n. 2, la lunga chiosa di Nocturne Urbain).
In generale il disco sembra risentire un po' dell'aspetto totale di soundtrack (non mi sono documentato, probabilmente può anche esserla in realtà), nonostante certi spunti siano davvero notevolissimi.

martedì 29 maggio 2012

Chainsaw Kittens - Violent Religion (1990)

A sentire Violent Religion vien da chiedersi se, uscendo 5-6 anni più tardi, i CK sarebbero stati in grado di sbancare. Forse sì, forse no. In fondo col triviale baraccone del punk-pop non avevano un granchè a che fare. Innanzitutto sapevano scrivere songs da urlo: le prime 3 (Bloodstorm, Skinned Knees, Boyfriend Song) sono da manuale del pezzo perfetto bruciante e di rapida espressività. La produzione, per essere l'anno 1990, è mirabile: le due chitarre sono arrotate al punto giusto e la ritmica ha un'incisività impressionante.
A partire da Mother, in alcuni titoli, avviene un piccolo miracolo: i Sex Pistols con Morrissey al canto, grazie al timbro particolarissimo del vocalist (e compositore) Meade.
In altri piccoli grandi anthem a presa immediata (Here at the end, Bliss, Death out at party central) pare di udire reminescenze dei primi Replacements, ma è solo per la pignoleria di trovare un confronto. Nel finale il clima incendiario si stempera un po' e viene fuori il lato intimista (e anche discretamente teatrale) di Meade, l'intensità ovviamente cala ma in sostanza Violent Religion è un gran disco di power-pop.

lunedì 28 maggio 2012

Cerberus Shoal - Travels in constants vol. 10 + Garden Fly, Drip Eye (2001)

Due EP di breve durata pubblicati alla vigilia della svolta etnica di Mr. Boy Dog, e un anno dopo quel Crash my moon yacht che rimase il loro ultimo capolavoro.
Ep interlocutori ma di interesse evolutivo per i fan più accaniti. L'episodio n. 10 della collana Temporary Residence è il loro ultimo bagno squisitamente psychedelico: My machines è scansionata da un ipnotico giro di basso, attorno a cui girano echi di chitarra in delay, bordoni di moog, percussioni tribali, ondate di trombe e cori misticheggianti. Il passo di lumaca circospetto di Christopher's winded è spettrale quanto evocativo, con i collage vocali soffianti in dissolvenza.
Garden fly drip eye è un rapidissimo capovolgimento di fronte. Seppur mantenendo una sorta di canovaccio compositivo, siamo sulla strada futura, contrassegnata da una profonda teatralità che sfiora il progressive più grottesco, specialmente in Garden fly, e Drip eye che pigia sensibilmente il piede in direzione Henry Cow versante cabarettistico. Segno di notevole miglioramento tecnico, ma anche una rotta da cui non torneranno più indietro, con i pro e i contro del caso.

domenica 27 maggio 2012

Centipede - Septober Energy (1971)

Come si può dedurre da nome e da foto, Centipede era un cinquantetto messo in piedi da Keith Tippett per musicare una sua composizione. 12 Violini, 6 violoncelli, 5 trombe, 8 sax, 3 baritoni, 4 tromboni, 3 batteristi (fra cui Wyatt), 6 bassi, 1 chitarra, 5 voci e Tippett stesso al piano. Notabili le presenze di tutti i Soft Machine, dei Nucleus e qualche King Crimson dell'epoca. Praticamente l'eccellenza del jazz-rock inglese raccolta sotto lo stesso tetto.
Vista la complessità della suite, non dev'essere stato facile per il capo mettere tutti a posto. E si sa, nella maggior parte dei casi i supergruppi non sommano mai il totale dei singoli valori, anzi.
Septober Energy è un monolite di free-jazz e non solo; trascurando gli eccessi corali (un po' troppo pomposi, in futuro i Magma faranno scuola) e l'assolo di batteria (che anche se l'avesse fatto Wyatt non m'importa, è una noia), ci sono bei momenti di classico Canterbury-sound, scatti d'ira free, estasi al limite del raga, drammatiche marce crimsoniane epoca Lizard.
Ma pecca di scarsa coesione ed è di difficile commistione, sia ben chiaro.

Cell - Slo Blo (1992)


Un altro post di nostalgia adolescenziale, seppur vissuto dall'angolatura dischi che avrei voluto comprare all'epoca ma non avevo i soldi ed ho ascoltato per la prima volta 17-18 anni dopo.
Questo in quanto i newyorkesi Cell erano lanciatissimi non soltanto da Rockerilla, ma addirittura da Moore dei Sonic Youth. Non sono andato a rileggermi l'indorata recensione di allora, ma ho capito che ai tempi c'azzeccai in pieno a comprare quei pochi cd che mi sarebbero restati a pelle per sempre.
Perchè Slo Blo non è soltanto un disco di invecchiate sonorità alternative primi nineties (che prima o poi torneranno di moda, ci scommetto!), ma anche una serie di pezzi monocordi, fatti di mid-tempos, chitarre robuste di accordi pieni, e con una voce che non era proprio il massimo. Detto questo, qualche buon pezzo nel mucchio c'è, ma nulla che si faccia veramente ricordare.

venerdì 25 maggio 2012

CCCP - Live in Punkow (1996)

Compilation di registrazioni dal vivo raccolte durante tutto l'arco dell'esistenza dei CCCP. Un tassello che era mancato in vita, ma anche un'operazione un po' furbetta che venne rilasciata in piena ascesa di consensi del CSI, poco prima dell'exploit di TRE.
Ad ogni modo, resta sempre un ascolto graditissimo a chi, un quarto di secolo dopo, ama ancora farli girare un po' sulle casse. Si va ovviamente dalle schegge grezze degli esordi fino alle ultime escursioni multietniche, passando per le scabre pulsazioni wave di mezzo.
Io resto fondamentalmente un fan delle prime, e c'è da divertirsi: le versioni non erano in sostanza differenti dagli originali, visto l'utilizzo della drum-machine, ma è un punto di osservazione curioso: notabili fra l'altro i non pochi "errori" di esecuzione, a sottolineare una precarietà data dall'urgenza incontrollabile. E come resistere alle dirompenti Militanz, Live in Punkow, Io sto bene, Sono come tu mi vuoi? Esilarante la Profezia della sibilla, parodia punk dello spot Aiazzone tanto in voga negli anni '80 (esilarante per chi se lo ricorda, chiaro).
Nel finale risalta la maggior qualità delle registrazioni, nonchè l'ispirazione misticheggiante di Maciste all'inferno e Tien an men.
Insomma, ce n'è per parecchi gusti.

giovedì 24 maggio 2012

Cave - Psychic Psummer (2009)

No, non è un reperto archeologico di 40 anni fa. I Cave sono correnti e vengono da Chicago, e potrei definirli come una versione psichedelica-strumentale degli Oneida più krauti, giusto per buttarne una così, la prima che mi viene in mente. Il parallelo si giustifica soprattutto negli unici pezzi con voci, Made in Malaysia, e nella lunga Encino Man.
Hanno delle gran belle idee, anche se spesso si finisce in jam: le perle del disco, Requiem for John Sex e High I Am hanno ritmiche incessanti ed irregolari, scale ipnotiche di tastierine e moog, vortici chitarristici di fuoco. Meno efficaci Gamm e Machine Muscles, ma restano comunque un terzo del disco e quindi il resto basta per battezzare i Cave come elementi da seguire con attenzione.

mercoledì 23 maggio 2012

Cat Power - You Are Free (2003)


Il testamento artistico della prima fase della Marshall, tormentata e costellata di tante bellissime cose, e per molti il suo vertice espressivo (per me invece resta Moon Pix).
La partecipazione al disco di celebrità come Grohl e Vedder forse restò un'abile mossa pubblicitaria che le fece guadagnare notevole popolarità, ma fortunatamente restarono comparsate molto marginali (anzi, io della presenza di Vedder non me ne accorsi e direi neanche tutt'ora). You are free è un catalogo, un photobook ricco di istantanee: c'è la ballad psichicamente depressa (Werewolf), c'è il cantilenante soffio delicato (Fool), persino una mutuazione di PJ Harvey (He war), la tirata elettrica allo spasimo (Speak for me), l'accademica pianistica a là Covers Record (I don't blame you, Maybe not, le bellissime Names e Evolution).
Un lieve calo d'intensità nella seconda parte è rilevabile, ma non inficia comunque il talento della folle nel far vibrare le corde giuste con la massima semplicità.

martedì 22 maggio 2012

Daniela Casa - Società malata (1975)


Indicato da Mattioli di BU come uno dei classici più conosciuti (?) della library italiana anni '70, questa sonorizzazione evidentemente destinata ad un documentario sociale negli anni di piombo è firmato dall'unica donna di cui abbia letto l'esistenza nel gruppone storico dei compositori.
Ed è in effetti un gran bel prodotto, un giusto mix fra atmosfere surreali, stralci di lounge accomodante e fasi psichedeliche notevoli.
Sin dall'intro di Ignoto si penetra in una nebbia ovattata, per un motivo condotto da vibrafono e flauto. L'alternanza di ambientazioni stimola un ascolto molto attento: Angoscia è un astratto tribale che non può non ricordare i Pink Floyd di Up the Khyber (da More).
Fabbrica e Oppressione sono inseguimenti da film giallo, Occultismo un incubo per voci da girone infernale, Noia un bello e compassato esercizio per piano elettrico e campanelli.
I titoli restanti stemperano le atmosfere cupe con qualche leggerezza melodica giusto per allentare la tensione, per un risultato finale coinvolgente.

lunedì 21 maggio 2012

Christina Carter - Lace Heart (2005)


In solitaria, la Carter dei Charalambides se ne esce com'è fin troppo facile immaginare: litanie minimalissime di chitarra elettrica pulitissima, soffuse vocals spianate su un estasi quasi irreale, per una che peraltro ha un timbro molto bello e suadente.
A guardare il bicchiere mezzo pieno, tre quarti d'ora di rapimento onirico che funziona bene quando c'è un minimo di canovaccio compositivo (molto bella Intentions, non male anche To Surrender). A guardarlo mezzo vuoto, una tiritera infinita che già stanca per la nudità della strumentazione (e la Carter non è esattamente una gran chitarrista), e finisce per annoiare profondamente nel resto del disco. Se considero che il mezzo pieno occupa circa 10 minuti, è facile concludere che Lace heart è un po' una palla al piede.

venerdì 18 maggio 2012

Carta - An Index Of Birds (2010)

Anche se abbastanza derivativi di diversi stili, i Carta con questo bel disco si sono rivelati principalmente come la risposta californiana agli attuali Piano Magic.
L'imprinting elegantemente post-gotico che contraddistingue gli inglesi esce non solo prepotentemente negli splendidi strumentali atmosferici di Santander, Sidereal e Who killed the clerk, ma si capta un po' nella maggior parte dei titoli.
Inoltre c'è dello slow-core cameristico (zona Gregor Samsa), riferimenti assortiti ai '90 più gentili (l'arpeggio di Building Bridges ricorda persino il Jeff Buckley di Grace), ed, insomma, un bel po' di nomi che adesso non mi sovvengono...
Quindi un ascolto molto gradito a chi ama le sorgenti, e poco di più.

giovedì 17 maggio 2012

Carousell - Black Swallow & Other Songs (2009)

Una delle tre sigle che il grande Skelton usa per le sue sinfonie è Carousell, tuttavia la meno usata in quanto portatrice solo di un EP e questo Black Swallow.
E manco a dirlo si tratta di un altro, ennesimo gioiellino di neoclassicismo dell'inglese che agisce nella quasi totale oscurità e melanconia ma sa aprire squarci di bellezza naturalistica abnormi.
Non c'è davvero molto altro che mi possa venire in mente dopo aver condiviso il mio entusiasmo per Landings o Crow Autumn, tant'è che mi appare quasi impossibile scindere le opere di una sigla o dell'altra. Forse questo potrebbe sembrare un filino meno tempestoso e più cinematico, ma poco importa. Anzi, niente.
Ciò che conta è farsi abbandonare in questo magnifico oblio.

mercoledì 16 maggio 2012

Caretaker - An Empty Bliss Beyond This World (2011)

E' un personaggio che ho conosciuto da poco tempo, l'inglese James Leyland Kirby. Davvero particolare: tanto è profondo e psicologico il suo lavoro quanto sfrenata (almeno a quanto sostiene in un intervista) la sua vita nei locali notturni.
Immerso in un mondo tutto suo e fieramente schierato a favore della propria originalità, il ricciolone agisce da più di dieci anni sotto alcuni pseudonimi: se il progetto col nome proprio denota un'impressionante scultura di spleen ambientale (bellissimi gli ultimi due Sadly The Future Is No Longer What It Was e Eager to Tear Apart the Stars), quello a nome The Caretaker si occupa con ostinazione di ricerche mnemoniche attraverso un lavoro collagistico che a tratti ha del sublime.
An Empty Bliss Beyond This World nello specifico è un affresco che attinge a piene mani da una musica antichissima e da vinili oltremodo obsoleti. Il fruscio e gli scricchiolii della puntina su quei solchi stanchi e danneggiati diventa un sottofondo avvolgente, e non mi sarei mai aspettato di scoprire quanto fosse bella questa musica (jazz anni '30? '40?) nelle mani sapienti del Custode evocativo. Per dirne una, è stato disco dell'anno per Mattioli di Blow Up.
Appaiono così disincantate orchestrine per archi e trombe (All you are going to want to do is get back there, Libet's delay, Camaraderie at arms length), compassate sonatine pianistiche che evocano realmente immagini di un passato remotissimo (Moments of sufficent lucidity, A relationship with the sublime, Tiny gradiations of loss, fra le migliori), senza che venga meno il lato più oscuro di Kirby che esplora anche panorami angosciosi come nella trascendente I feel as if I might be vanishing.
Il risultato finale è che sembra di essere trasportati in un mondo ovattato, fuori dal tempo, melanconico ed allegro al tempo stesso (pare che il concept sia ispirato ai ricordi che l'ascolto della musica istiga nei malati di Alzhaimer). Si tratta del disco che ho ascoltato di più in assoluto negli ultimi 2-3 mesi, una vera e propria ossessione.
Kirby è un musicista davvero incontinente e mi ci vorrà una vita per ascoltare la maggior parte dei suoi lavori, ma credo sia una missione da compiere.

martedì 15 maggio 2012

Captain Quentin - Instrumental Jet Set (2011)

Intrigante quintetto, e fa ancor più piacere che provengono dalla Calabria, che a mia memoria non è che abbia mai generato grosse espressioni in campo alternativo. Il disco è strumentale e propone una specie di math divertito e gioviale, mai eccessivo in nessun senso, con una produzione estremamente curata. L'ausilio ad intermittenza di synth e sax gioca a favore dell'effetto varietà, e le tessiture chitarristiche sono interessanti.
Come primo passo non è per niente male. Spero osino di più la prossima volta, ma in fondo va bene così.

RIPESCAGGIO: Acqua Fragile - Mass Media Stars (1974)


(Premessa: a 2 anni di distanza scopro la misteriosa scomparsa di questo post: probabilmente è opera della DMCA, senza nessun avviso come successe con i Nirvana un paio di volte. Ma tanto devono fallire, quindi una volta in più o in meno non fa nessuna differenza)
*****
Furono una piccola anomalia nel panorama prog italiano, perchè Lanzetti aveva studiato in America e al suo ritorno decise di cantare in inglese. Il vocalist, che poi avrebbe di fatto determinato lo scioglimento rispondendo alla sirena della PFM da sbandata americana, doveva molto a Gabriel (quindi moltissimo a Chapman dei Family) per la sua impostazione vocale vibrata e sostenuta. Altra curiosità, le musiche erano composte dal batterista Canavera che poi era forse l'elemento meno in vista nel sound ricco e pieno dell'AF, esso stesso debitore di influenze genesisiane, lato chiaro in rilevanza. Ma nonostante gli scomodi paragoni, in questo album i parmigiani sfornavano 6 piccole suite prog-suggestive, senza mai indugiare in sepolcralità di alcun tipo e denotando una bravura tecnica impressionante, con una cura maniacale per le parti corali. Fra acusticherie bucoliche e fughe serrate, il vertice è senz'altro la pirotecnica Mass Media Stars, labirinto multicolour con il bassista Dondi in grande evidenza.
Anche se non vengono mai citati nelle superclassifiche del prog italiano, decisamente molto bravi.

(originalmente pubblicato il 05/05/2010)

lunedì 14 maggio 2012

Captain Beefheart - Ice cream for crow (1982)

Vien da pensare che l'abbandono susseguente a quest'ultimo capolavoro non fosse premeditato, tant'è che addirittura venne approntato un videoclip promozionale per la title-track che apre sbeffeggiante la scaletta.
Non c'è molto da dire, se non che si tratta di uno dei 3-4 migliori dischi in assoluto di una carriera che si interruppe troppo presto, ad appena 40 anni per quest'uomo unico e geniale. E' persino più ispido dell'ottimo precedente Doc At The Radar Station, è un giro urticante scandito dalla sua verbosità sempre più roca ed irrefrenabile. Poche le concessioni a melodie, ci sono un paio di strumentali per dare giustizia alla Magic Band di turno, diverse le tracce da far strabuzzare gli occhi: Cardboard cutout sundown, che si direbbe outtake di Trout Mask Replica, The past sure is tense, Ink Mathematics, The thousandth and tenth day of the human totem pole (con assolo delirante di clarinetto, da non perdere), la conclusiva Skeleton is good. Titolo quasi programmatico, fine della corsa.
Era lo stesso anno in cui si scioglieva anche la prima versione dei Pere Ubu. Difficili, gli anni '80.

domenica 13 maggio 2012

Can - Future Days (1973)

Amarcord: un Planet Rock di metà anni '90, un Mixo estasiato che mette su Bel Air e interrompendola a 4'23" irrompe con un "Bam! Ti esplode in testa!".
Seppur meno celebrato rispetto a Tago Mago, questo capitolo dei Can non è da meno come portata storica. E' meno stravagante, è quasi esotico. La facciata A si muove su passi etnici con un Liebezeit che si dà parecchio alle percussioni, un Karoli protagonista di svisature a tutto tondo, con la title-track e Spray che si adagiano neanche troppo freneticamente su lidi psichedelici extra-sensoriali. Suzuki non si scompone mai e sembra messo un po' in disparte, tant'è che di lì a poco abbandonerà.
E' la facciata B a fare storia. I 3 minuti di Moonshake (talmente influente da dare il nome ad un ottimo gruppo inglese su Too Pure negli anni '90) mettono in scena una danza sorniona a dir poco irresistibile, poi vengono i 20 minuti della magnifica Bel Air, un po' versione edulcorata di Aumgn, un po' Halleluwah, ma in gran parte esplorazione nell'ignoto come soltanto i Can potevano elaborare al tempo.

sabato 12 maggio 2012

Calm Blue Sea - The Calm Blue Sea (2008)

Sembrerebbe difficile trovare parole nuove per l'epic-instru della più bell'acqua come nel caso di questi bravi Austiniani. Tanto ormai si è capito che in Texas si respira un'aria fresca e coinvolgente e sono sempre più le formazioni che se ne escono con bei lavori come questo, alla faccia dei detrattori.
Qua siamo sul versante più mogwaiano per le fasi gentili, con fraseggi insistiti e delicatamente accademici ma di buon armonia. Le impennate rumorose trovano sbocco soltanto in due passaggi del disco (come nell'ultima, emozionante This will never happen again), mentre l'afflato chitarristico più concittadino possibile viene consegnato nella programmatica The river that runs beneath this city.
Siamo in seconda fascia, ma in ottima posizione. Escludo a priori che riusciranno a fare la rivoluzione, ma è decisamente un bell'ascolto alternativo ai maestri.

venerdì 11 maggio 2012

Calla - Televise (2003)

Perse un po' per strada le velleità sperimentali dei primi due album, i Calla optarono per l'approfondimento del lato più wave-gotico del loro sound, attenuando gli spigoli e curando maggiormente l'aspetto compositivo. Valle si decise a tirar fuori un po' più della sua fragile voce e ad imprimere toni più alti alla sua chitarra, conferendo più pathos emotivo all'insieme.
Così, all'alba della rinascita new-wave di metà decennio scorso, i newyorkesi davano una gran bella prova di valore. Ad oggi li avrei definiti il contraltare americano dei Piano Magic, con tutti i paralleli del caso.
Fra nevrastenie (Strangler, Televised), confessionali a cielo aperto (Monument, Customized), relax di bellezza invidiabile (Astral, As quick as it comes), contemplazioni slow-core (Surface scratch) ne uscì forse il miglior compromesso artistico possibile per i Calla, un disco che di sicuro fece loro guadagnare qualche manciata di fans rispetto ai criptici lavori precedenti.

giovedì 10 maggio 2012

Calibro 35 - Ritornano Quelli di (2010)

La metto così: se ci si fosse limitati a segnalare i C35 come uno dei tanti progetti di Gabrielli, come una simpatica operazione di revivalismo fine a sè stesso, allora sì che ha un senso compiuto fare i tour anche in America e li sarei anche andati a vedere volentieri qua vicino, avrei ascoltato almeno una volta tutti i loro dischi, etc.
Ma farne un caso artistico, esaltare il parallelo con i compositori connazionali di colonne sonore degli anni '70, mi sembra tutto un pochettino esagerato. Se è vero che qui ci sono anche un paio di pezzi più che buoni (L'esecutore e Milano odia), il complesso mi sembra davvero uno showcase di esclusivo talento esecutivo e nient'altro.

mercoledì 9 maggio 2012

By the End of Tonight - A tribute to tigers (2005)

Strane anomalie nella Temporary Residence, questi texani a metà decennio scorso rilasciarono una manciata di Eps, questo album di mezz'ora, la discutibilissima operazione di fare 4 ep, ciascuno riservato ad ogni componente (non riuscii ad ascoltarne uno solo fino in fondo, se non ricordo male), per poi sciogliersi.
Il tributo alle tigri resta il loro prodotto più rappresentativo: post-math pirotecnico con robuste iniezioni di hard-metal. Perennemente indecisi fra ipertecnicismo, frenesia incontrollata su partiture elaboratissime, e qualche breve momento di calma emotiva, buttavano una quantità enorme di spunti nel mucchio, mixavano ed estraevano con schemi ai limiti del tecno-progressive.
Il loro maggior limite era l'eccessiva cervelloticità della proposta; il loro pregio era di saper distribuire una proposta a modo suo spettacolare. Dipende da con quale spirito li si ascolta.

martedì 8 maggio 2012

Butcher Mind Collapse - Night Dress (2011)

Sorpresa italiana dell'anno scorso, questi anconetani che sfornano un ruvido meltin' pot memore di tante cose '90 con intelligenza ed esperienza (sono tutti over 30).
Il disco è trascinante e ricco di soluzioni: il noise più blueseggiante (Cows) e quello psicotropico (Butthole Surfers) sono solo i punti di partenza, perchè i BMC sanno personalizzare grazie all'uso massiccio del sax, quello intelligente di synth e moog, non hanno uno schema predefinito per le composizioni ma sanno sorprendere con virate nette ed inaspettate (anche più di una per ogni pezzo). Inoltre, di certo non guasta avere in formazione un cantante davvero notevole che sembra un incrocio fra Jello Biafra, Captain Beefheart e il primo Jaz Coleman.
Da annoverare in scaletta: la compulsiva ossessione di Night Dress, il solenne e acido doom di Spiderwebs, il torbidissimo blues di Flameless hell, e soprattutto i 7 minuti di The loss, vera e propria suite che, iniziando da un incubo lisergico evolve in un astrazione quasi ambient.
Non li devo perdere la prossima volta che passano da queste parti.

lunedì 7 maggio 2012

Bushman's Revenge - You Lost Me At Hello (2009)

Parte con un cingolato stoner-doom alla Melvins, e il sospetto di aver frainteso la recensione di turno mi assale. Ma già dal secondo pezzo inizia il folle deragliamento di questo trio norvegese che si inerpica in astrusi teoremi jazz-math-noise di grande difficoltà d'ascolto.
Assurdi ed inafferrabili, i musicisti si danno gli appuntamenti di tanto in tanto per un break, un riff comune o per gli stop. La stragrande parte del tempo sono assolutamente tutti e tre in assolo, ma non direi che sono dei narcisi vanitosi vogliosi di mettere in mostra le loro doti tecniche. Lo scopo è quello di creare un caos psicotico specialmente grazie al chitarrista, indemoniato oltre misura. Il manifesto è No sleep til Hammerfest, nove minuti in cui una stentorea frase in tempo dispari funge da apertura e chiusura al festival di piroette e salti carpiati nel vuoto (fra l'altro mi pare di udire un contrabbasso al posto dell'elettrico). In tale direzione eccellono anche Bølehøgda Rock City, Ginsberg e King of hello, mentre a metà disco circa c'è una placidissima pausa con Ghostwriters in the sky: se la strumentazione fosse un po' più ricca e stravagante direi di trovarmi di fronte ad un outtake dei primi Tortoise.
La chiusura di Champagne for my real firends è il pezzo meno ostico, con un rifferama squisitamente hendrixiano. Ma non fa molto testo, perchè i BR restano i folli scatenati alfieri del free-math jazzato e pirotecnico.

domenica 6 maggio 2012

Built To Spill - Perfect from now on (1997)

Capita mai? Ritrovi un disco che non ascolti da qualche anno e pensi "ma come ho fatto a non desiderarlo neanche una volta in questi ultimi anni?". Poi fra parentesi occorre dire che capita con altre decine e decine, ma per Perfect from now on si può anche recriminare.
Infatti oggi non ho fatto altro che lasciarlo girare all'infinito, 6 o 7 volte, traendo lo stesso piacere. E' uno di quei monumenti che elevano un po' più in alto l'indie-rock degli anni '90, un manuale delle chitarre filigranate, della scientifica efficacia di Martsch nel saper scrivere songs che sono complicate e semplicissime allo stesso tempo.
E pensare che la genesi del disco fu una saga drammatica: prima Martsch provò a registrarlo da solo, poi insoddisfatto chiamò la sezione ritmica di Nelson e Plouf ed andò bene ma il master andò distrutto dal caldo (!). Che fosse destino che un tale capolavoro avesse veramente bisogno di tre registrazioni per vedere la luce?
E poi, quante bands avrebbero potuto ricavare interi dischi da ogni singolo pezzo di questi 8? Infine, come estrarre le proprie sensazioni di fronte a tutto questa messe di meraviglia? Posso isolarlo in un momento simbolo singolo?
L'entrata del mellotron e l'ultimo minuto e mezzo di Made-up dreams.

sabato 5 maggio 2012

Tim Buckley - Lorca (1970)

La cover poteva dare un'idea: al posto del solito primo piano del faccione, c'era un algida stilizzazione della sagoma in bianco e sfumature di grigio, con inquietanti rami (?) spogli d'albero deforme sullo sfondo.
Non è vero, secondo me, che Lorca fu la sua rottura; prima di tutto perchè I Had A Talk With My Woman era diretto erede della pacata rilassatezza di Happy/Sad, mentre Nobody walkin' lo era della briosa possessione di Gypsy Woman. Tutt'al più erano il concetto e le esecuzioni a tirarsi/farsi tirare fino allo spasimo: Driftin' si estende pigramente per 8 minuti su un canovaccio lineare in cui Underwood fa la parte del leone, sempre indispensabile ad infiorettare di stile (capita mai di pensare come sarebbe stato Buckley con un chitarrista qualsiasi?).
Erano i primi due colossi in lista a spiazzare: gli immensi 10 minuti di Lorca vedono il fido trasferirsi al piano elettrico e all'organo per una partitura nevrotica (da calma prima della tempesta), mentre il Fenomeno rincorreva le stelle con le sue misteriose corde.
Ed ancora, la diluizione di velluto puro in Anonymous Proposition, con il contrabbasso di Balkin a rincorrere zoppicante le vocali infinite; quando l'uomo prende fiato, sono quelle intercalate frazioni di secondo di reale silenzio a dare la misura della grandezza spropositata di quest'opera.

venerdì 4 maggio 2012

Daniele Brusaschetto - Mezza Luna Piena (2005)

Escludendo gli Uzeda, credo sia l'unico sopravvissuto della breve ed oscura stagione noise-rock della penisola, a metà nineties. Suonava e pestava duro nei Mudcake, eppure è riuscito a riciclarsi come cantautore fra i più atipici che ricordi, ottenendo risultati comunemente apprezzati e realizzando dischi davvero notevoli come Poesia totale dei muscoli, Circonvoluzioni e soprattutto questo Mezza luna piena.
Antepone la sua voce fragile e indolente a sonorità spigolose, fra elettronica vintage, inserti rumoristici ed intimismo chitarristico. Non disdegna voluttuosità melodiche (Dicètecelo, la più accattivante, Vita sulla terra), pigre nenie appena disturbate (Ultima thule, Bandieralvento), lancinanti strali di industrial per songs tossiche (Criptico, Stupido ma sincero), strumentali post-rock di effetto (Stella stellina). Non è solo la spiccata alternanza a rendere il disco tutt'altro che scontato, quanto la capacità di Brusaschetto di saper creare micro-mondi all'interno di ogni pezzo, come in un complesso gioco d'insiemistica.
E poi la ciliegina sulla torta non guasta di sicuro, e guardacaso si chiama Ciao Bellissima.

giovedì 3 maggio 2012

Bron Y Aur - Quien Sabe (2004)


Sotto l'egida di fratellanza di Cantù e Iriondo, fra i membri più in vista di certe sonorità, questo gruppo meneghino si pone come un avamposto italico del free-rock. Purtroppo non ho sentito altri loro dischi (sono davvero introvabili...) ma Quien Sabe mi è sufficiente per capire che siamo di fronte ad estrosi sperimentatori., a dispetto della line-up convenzionale di doppia chitarra e sezione ritmica.
I paragoni estratti per incasellarli vanno dal kraut-rock (versante Faust - da notare che uno dei componenti ha questo pseudonimo) alla psichedelia al free-jazz. Vero, è difficile negarlo, ma che bella varietà di soluzioni trovano questi ragazzi. Partiture pigramente louisvilliane (Non comprarti pane con este dinero) si vanno a sfasciare contro gelide astrazioni chitarristiche senza capo nè coda (Part 1, Better blues), svisate a muso duro (Sound) che si dissolvono in algide soluzioni post-jazz (Rosto gramash, con tanto di sax). Elegie al limite del silenzio (Dieci passi),superbe rampicate sulle rovine cumulate dei Supreme Dicks (I padroni del vapore).
Al termine, l'emblematico Come si esce di qua adesso? lascia con una punta di solarità sfibrata, e viene da chiedersi perchè gruppi come questi non vengano riconosciuti come gran belle espressioni di free-art-rock tanto quanto quelle, più acclamate, estere.

mercoledì 2 maggio 2012

Brokeback - Field recordings from the cook county water table (1999)

Doug McCombs dei Tortoise in uscita personale. Sebbene sia comunemente definito un bassista, in realtà come tutti i compagni di band si arrangia con più strumenti e Brokeback è un evidente valvola creativa per il suo lato di chitarrista. Col piccolo aiuto di un contrabbassista che puntella una manciata di pezzi, McCombs pennella acquarelli placidi, vagamente primaverili.
Manco una versione scarna dei Tortoise, che inevitabilmente finiscono per essere un punto di contatto (se non addirittura coverizzati nell'accenno di The great bank che richiama Along the banks of rivers), Brokeback è interessante perchè non ha altri grossi richiami da far notare. Non ha niente a che vedere col folk, nè col rock, e molto alla lontana col jazz, in certi momenti si sfiora la morriconata più spensierata.
Un disco godevole che forse alla lunga è un po' monotono e non emoziona un granchè, ma si fregia di onestà ed umiltà che meritano rispetto.

martedì 1 maggio 2012

Brick Layer Cake - Whatchamacallit (2002)

Sono passati diec'anni e a questo punto chissà mai se Trainer riesumerà le sue torte glassate, rigorosamente da lui preparate e fotografate. Viene quasi da pensare che cosa stia facendo, visti i lassi di tempo morti fra i dischi degli Shellac.
Un vero peccato che il suo sound melmoso e sornione sia stato distillato così poco, avrei voluto avesse fatto qualche disco in più ma forse va bene così, non che avesse bisogno di sperimentare. Whatchamacallit forse resta il suo disco più trascinato, uno statico volteggiare fra riffs assassini, meno compatto e dilatato. Quello dalla dimensione più solista in assoluto, dato che la batteria c'è soltanto in 3 pezzi su 8. Quello che forse non ha gli highlights del passato come Gone Today o Show Stopper, ma che punta su un ossessione di fondo (forse c'è anche un concetto comune) che cerca di penetrare chissà dove.
Pertanto, direi il prodotto minore di Trainer, ma sempre irrinunciabile per quei 4 gatti che conoscono il suo ineffabile pantano.