sabato 5 maggio 2012

Tim Buckley - Lorca (1970)

La cover poteva dare un'idea: al posto del solito primo piano del faccione, c'era un algida stilizzazione della sagoma in bianco e sfumature di grigio, con inquietanti rami (?) spogli d'albero deforme sullo sfondo.
Non è vero, secondo me, che Lorca fu la sua rottura; prima di tutto perchè I Had A Talk With My Woman era diretto erede della pacata rilassatezza di Happy/Sad, mentre Nobody walkin' lo era della briosa possessione di Gypsy Woman. Tutt'al più erano il concetto e le esecuzioni a tirarsi/farsi tirare fino allo spasimo: Driftin' si estende pigramente per 8 minuti su un canovaccio lineare in cui Underwood fa la parte del leone, sempre indispensabile ad infiorettare di stile (capita mai di pensare come sarebbe stato Buckley con un chitarrista qualsiasi?).
Erano i primi due colossi in lista a spiazzare: gli immensi 10 minuti di Lorca vedono il fido trasferirsi al piano elettrico e all'organo per una partitura nevrotica (da calma prima della tempesta), mentre il Fenomeno rincorreva le stelle con le sue misteriose corde.
Ed ancora, la diluizione di velluto puro in Anonymous Proposition, con il contrabbasso di Balkin a rincorrere zoppicante le vocali infinite; quando l'uomo prende fiato, sono quelle intercalate frazioni di secondo di reale silenzio a dare la misura della grandezza spropositata di quest'opera.

2 commenti:

  1. Bella recensione e (ovviamente) gran disco. su Underwood hai perfettamente ragione

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  2. Ciao! Di recente ho visto un documentario su di lui (My Fleeting House) davvero interessante, te lo consiglio in caso non lo conoscessi

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