mercoledì 31 luglio 2019

Antlers ‎– Hospice (2009)

In attesa di un ritorno dopo il disco dell'anno 2014 che si fa sempre più sospirato, un tuffo agli esordi di Peter Silberman, con quello che viene decantato dai più come il suo apice espressivo. Hospice è un concept filosofico, fatto di storie drammatiche e dolorose, che si dipana attraverso un intimismo ed un lirismo quasi indicibili, un emo-songwriting che come un ottovolante passa da stati catatonici ad esplosioni pop come se nulla fosse. L'impresa mirabolante di Silberman però è quella di trasmettere una genuinità ed una spontaneità che sono captabili come la nebbia quando ci si cammina attraverso, persino nei momenti più stucchevoli, nelle leziosità più banali e ruffiane (più o meno un quarto del lotto). Il riferimento più ovvio fa correre il pensiero ai Radiohead da cameretta (Atrophy, Shiva, Epilogue), grazie anche al falsetto di Silberman, ma è soltanto un impressione, perchè la voce di questo autore è assolutamente personale.
Non un capolavoro come l'hanno dipinto in diversi, a mio avviso (l'ho conosciuto dopo Familiars, quindi la distorsione temporale mi ha impedito forse di apprezzarlo appieno), e limitato anche nella sua forzata dimensione di concept, ma senz'altro una tappa fondamentale di avvicinamento allo status che oggi Antlers possiede.

lunedì 29 luglio 2019

Screams From The List #85 - Verto ‎– Krig / Volubilis (1976)

Altro oggetto non identificato d'oltralpe, riconducibile al chitarrista J.P. Grasset, ma in questo disco coadiuvato da un manipolo di musicisti connazionali, soprattutto il bassista Gilles Goubin che risulta coautore in quasi una metà del materiale. Si inizia con Krig, ed è già il pezzo forte: un poderoso mix fra lo Zeuhl ed i King Crimson di Starless, con tanto di violino funambolico. Ma nel proseguio il disco è piuttosto slegato, passando di palo in frasca, rievocando Magma, Lard Free ed in qualche tratto anche i grandissimi Archaïa. Segno di un notevole talento ma forse disperso nella precarietà delle situazioni, nel non avere una support band costante e/o completa. Grasset denotava ottime doti chitarristiche e visioni creative in testa, come testimoniato nei 18 minuti di Strato, un deliquio solipsistico a base di effetti, di folate tremebonde, di psichedelia distorta, come un Gunther Schickert in preda al delirium tremens e con poca sensibilità. Un occasione sprecata, forse, un nome minore ma degno di essere preso in esame.

sabato 27 luglio 2019

Pere Ubu ‎– The Art Of Walking (1980)

Il primo dei due album di Mayo Thompson con i PU, un cerchio che si chiudeva talmente ovvio da destrutturare i PU stessi, prossimi allo split. Non si sa quanto esso fu dovuto a MR. Red Krayola, ma andò così. Già il precedente New Picnic Time aveva segnato una separazione seppur provvisoria; in effetti doveva essere una faticaccia immane mettere in suono visioni così destrutturate ed astratte. Fu un passo ancora più in avanti verso la follia, con un buon pugno di pezzi dalla ritmica annullata in favore di pseudo cabaret post-nucleari (con Ravenstine senza freni, rumorista incontrollato); ad un altro pugno venne riservata la propulsione Maimone-Krauss, ed a mio avviso restano i migliori, eredità di una prima stagione in procinto di passare in archivio. Con Thomas sorridente e gigantico a benedire ogni passaggio, oppure seduto alla batteria come in Lost In Art, riuscendo a stabilire un record di assurdità, regredendo ad uno stato quasi infantile.

giovedì 25 luglio 2019

Peter Hammill ‎– X / Ten (2018)

Per i suoi 70 anni PH ha deciso di dare ulteriore risalto a quello che è stato uno dei suoi migliori dell'ultimo ventennio (forse il migliore) con un gesto di vanagloria, che gli si concede volentieri anche soltanto per le sue note di copertina, così posate, da gentleman inglese con un sottilissimo velo di ironia. L'intero From The Trees replicato nell'ordine di scaletta, live in solitudine, estratto fra Italia e Germania, fra il 2017 ed il 2018. Per chi lo ha mandato a memoria come me, un piacere infinito riprendere queste tracce senza i controcanti e gli overdubs (pochi in realtà, ma molto importanti), apprezzandone lo scheletro essenziale e la performance stellare di PH, in una forma vocale inaudita. Ed i proverbiali errori, concentrati soprattutto sulla suprema On Deaf Ears, come sempre mettono a nudo l'artista nella sua immortale performance. Alla faccia della terza età.

martedì 23 luglio 2019

Supreme Dicks ‎– Workingman's Dick (Archival Recordings 1987-89) (1994)

Nel 1993 il mondo scoprì i Supreme Dicks ed il verbo si diffuse, seppur limitatamente a quello che una volta si chiamava underground. Tempo un anno ed a Londra una piccola etichetta, la Freek Records, appena partita a pubblicare cd di artisti carbonari da ogni angolo del pianeta, fece uscire Workingman's dick, antologia di registrazioni risalenti a fine anni '80. Era ben chiaro che l'Europa sarebbe stata più ricettiva della madrepatria per i Dicks, specialmente in quegli anni, e questo ne era una lampante dimostrazione. Il suono, per essere in sostanza dei demos, è discreto; sono 20 tracce che anticipano in maniera diretta Unexamined Life, sia con rimandi espliciti (Hyacinth Girls) che di estrazione compositiva, con pochi episodi legati al lato più free-form dei Dicks. Interessante quindi per capire e riflettere sulla genesi di una band storica, essenza di un espressione unica al mondo, rimasta inimitabile, con tutto il movimento weird del decennio successivo a togliere il cappello, con umiltà e devozione. Come si deve ai Dicks.

domenica 21 luglio 2019

Peter Zummo ‎– Frame Loop (1984-2018)

Recupero oltre-trentennale che ingrassa la magra discografia del grande trombonista americano, documentante una jam in quartetto con Arthur Russell, un percussionista ed un marimbaro. Seppur abbia un po' il tenore di una badilata ad un barile già non grassissimo, Frame Loop ha ben impresso il suo irresistibile carattere di surrealismo che abbiamo conosciuto sul fantastico Zummo with an X, con quello stile grottesco ma elegante fatto di sbuffi, di cicli ellittici, senza virtuosismi, concentrandosi sull'effetto di gruppo. Che nel contesto fa il suo: Russell resta un po' sullo sfondo, la marimba punteggia sorniona, le congas danno lo sprint giusto. Pochi i temi ripetuti all'infinito; resta una jam poco perfezionata ma molto gradevole.

venerdì 19 luglio 2019

Death Cab For Cutie ‎– Something About Airplanes (1998)

Qualcosa sugli areoplani ed in copertina una barchetta di legno stilizzata. Così Ben Gibbard esordiva ufficialmente vent'anni fa, con una full band ed una valigia piena di speranze. Il successo l'avrebbe raggiunto e la sua caratura di autore sarebbe stata consacrata col secondo un paio d'anni dopo.
SAA vive di due contrasti ben marcati: un imprinting compositivo e vocale mutuato da Doug Martsch ma sbilanciato più sulle melodie che sulle chitarre, ed un alternanza di risultati da rollercoaster. Le tracce migliori sono capolavori del pop alternativo: President of what?, Your Bruise, Champagne from a paper cup, Amputations, Line Of Best Fit mi fecero gridare al miracolo, il resto galleggia sulla sufficienza risicata quando non scende nel banalotto. Non era una questione di acerbità, l'autore era già maturo. E quel quintetto di pezzi clamorosi è manuale indie-pop.

mercoledì 17 luglio 2019

ST 37 ‎– Glare (1995)

Coprodotto dalla romana Helter Skelter, Glare fu il secondo ST37, ben 3 anni dopo The invisible college. Non ho ascoltato tutta la discografia dei texani ma mi sento di poter affermare che con ogni probabilità è il loro migliore, perchè sfruttò l'entusiasmo giovanile e stabilì un modello che era estremamente superiore a tutti gli psych-revival dell'epoca, grazie soprattutto al bassista Telles che col suo Precision si imponeva come marcatore punk-wave-core della situazione, donando una fisicità fondamentale.
Glare è un doppio vinile che svaria a 360°: cavalcate alla Hawkwind, radiazioni alla Chrome (la chitarra solista in perenne secondo piano, ma ben udibile, impostata alla Helios Creed), fosche ambientazioni primi Pink Floyd, digressioni cosmiche in libertà alla Ash Ra Tempel; c'è spazio anche per un omaggio di 9 minuti ai Neu!, con il medley HalloHero.
Quasi un'ora e mezza di pura goduria freak-punk, che all'epoca scoprii grazie a Planet Rock che ineffabile trasmetteva i due pezzi sotto.

lunedì 15 luglio 2019

Codeine ‎– What About The Lonely? (2013) (Live In Chicago 1993-10-15)

No, non era il frutto della reunion che mi aveva permesso di vederli dal vivo con grande commozione e nostalgia. La Numero Group l'aveva annunciato con tempismo, che What About The Lonely? era un live del 1993 che meritava di essere ripreso dai cassetti e messo in circolo, a suggello di una santificazione tardiva ma meritata. Il contesto è il glorioso Lounge Ax di Chicago, alla batteria c'è il grande Doug Scharin, il set limitato a 35 minuti, su Tom e Wird David Grubbs fa una capatina sul palco ad ispessire la chitarristica.
Cinque pezzi su 8 sono del di lì a venire White Birch, 2 da Frigid Stars e uno da Barely Real. Il quadro è perfetto, non c'è una sbavatura a parte qualche stecca di Immerwahr che però notoriamente non era un gran vocalist. Il rullante col riverbero e la precisione chirurgica di Scharin, le esplosioni di Engle, l'elegia della lentezza, decisamente su questa grandissima band c'è poco da dire. Non c'erano sorprese in questo concerto, solo conferme della perfezione.

sabato 13 luglio 2019

Therapy? ‎– Nurse (1992)

E' incredibile il fatto che i Therapy? siano ancora attivi, con 15 dischi sulle spalle, senza proprio mai staccare, con Cairns e McKegan indefessi al loro posto, ma credo che rientri nella proverbiale tenacia dei nordirlandesi, che nella storia hanno dato prove di resistenza e determinazione ben più rilevanti. Ricordo che Nurse, primo album su major (rif. collana Cercasi Nuovi Nirvana), fu disco del mese di Rumore. Non voglio certo mettermi a ridimensionarlo, in retrospettiva erano tempi particolari in cui le corporazioni facevano il bello ed il cattivo tempo e i Therapy? non sono passati alla storia, e Nurse resta un buon prodotto di alternative-rock, appena screziato di noise, qui parecchio influenzato dai Killing Joke, con punte di diamante nelle psicosi di Teethgrinder e Zipless, nei carichi di spleen di Disgracelands e Gone, e nel dub deviato di Deep Sleep. La produzione dopotutto era effettivamente da major, un po' compressa forse, ma l'affetto resta immutato.

giovedì 11 luglio 2019

Blues Control ‎– Puff (2007)

Registrato un mese prima di quel piccolo gioiello che fu il loro primo album, Puff è un 5 tracce che ben esemplifica la genesi del BC sound: tragitti lunari a base di minimalismo psichedelico, ai limiti dell'ambient, con delle sparute rasoiate di chitarra fuzzata che prenderanno il largo su BC, in questa sede limitate ad un paio di pezzi. Un anteprima del meglio che questa coppia di scoppiati ha saputo fare, in grado di accoppiare in un colpo solo kraut-ambient, noise-blues e psichedelia pura distillata in salsa ultra lo-fi.

martedì 9 luglio 2019

Meat Puppets ‎– Meat Puppets II (1984)

Cow-core. Ecco la definizione di un disco che poteva essere definito di transizione; il trio dell'Arizona passava in un men che non si dica dal feroce hardcore del primo disco ad un ibrido di punk e country che aveva del proditorio, ma erano anni fertili per queste contaminazioni, soprattutto se si incideva per la grande SST di Greg Ginn.
Merito anche della sbocciatura di Curt Kirkwood come cantautore, in grado di passare da esagitate danze country-core a finissime ballad elettrificate di diretta discendenza Neil Young, come i 3 famosi pezzi che diedero ai MP il quarto d'ora di visibilità in tutto il mondo nel 1993 grazie all'unplugged dei Nirvana. La sensazione finale è quella di un disco molto fisico ma anche molto svanito (il canto), proiettato in una dimensione parallela; è questo senso di disorientamento che lo rende speciale ed unico, a modo suo. Il successivo si sveglierà un po' dal semi-torpore e punterà sull'aspetto divertente di un suono in progressione.

domenica 7 luglio 2019

Areknamés ‎– Love Hate Round Trip (2006)

Iniziava con un riffone metallico piuttosto fuorviante il secondo degli Areknames, al punto da far aggrottare le ciglia. Erano passati 3 anni dal delizioso debutto e la formazione era mutata, con l'ingresso di un nuovo chitarrista. Il soggettivo disorientamento per fortuna dura poco: tempo un minuto ed i pescaresi si tuffano nuovamente nel loro universo dark-prog con un lunghissimo e labirintico album (concepito come doppio, come ben precisato nelle note).
Un lavoro articolatissimo, registrato divinamente, con grandi pezzi come Deceit, Ignis Fatuus, Stray Thoughts, The Web Of Years in evidenza, ma sopratutto uno stile generale improntato all'equilibrio miracoloso di non tediare mai, di non specchiarsi mai sulla propria bravura, ma di creare scenari fantasiosi e stuzzicare la mente con un suono luccicante e orchestrato con grande bravura da Michele Epifani, sempre più bravo a smarcarsi dalle influenze PH/VDGG. Un capolavoro di neo-prog difficile da ignorare per gli intenditori, negli ultimi 20 anni.

venerdì 5 luglio 2019

Gerardo Iacoucci ‎– Industria - N. 1 (1972)

Ristampa della Intervallo del 2017, uno dei pochi Iacoucci realmente di servizio, come recitano le note di copertina dell'originale Canopo del 1972. Le immagini e le situazioni del nostro tempo devono essere commentate da sonorità vere che bene esprimano la realtà sonora dell'epoca in cui viviamo. Siamo andati nelle fabbriche e nelle officine ed abbiamo registrato il rumore delle macchine sul quale abbiamo sovrapposto dei particolari effetti musicali eseguendo poi un accurato mixage dei suoni. Il disco che vi proponiamo è quindi il risultato di questo nuovo esperimento discutibile forse, ma senz'altro interessante. La fabbrica dunque è la reale protagonista di questi brani e pertanto non abbiamo voluto influenzare l'ascoltatore con titoli specifici dati a ciascun brano perchè sarebbero necessariamente risultati troppo approssimativi.
Non serve aggiungere un granchè. Iacoucci svisa sopra queste sonorità col suo piano schizoide ed ottempera allo scopo prefissato con proverbiale maestria. 

mercoledì 3 luglio 2019

Roly Porter ‎– Life Cycle Of A Massive Star (2013)

In attesa di un ritorno con i tempi giusti ed umani, rispolvero il secondo Porter, forse il meno entusiasmante in mezzo a due mezzi capolavori di elettronica post-moderna come l'eccitante debutto Aftertime ed il terzo intimorente Third Law. Un disco di transizione, si è scritto altrove, forse perchè più concentrato sulle scansioni di suono anzichè sulle dinamiche. Ma quanti pivelli avrebbero carte false per confezionare l'ipercinetica intermittenza di Cloud, con una coda sinfonica digitale pressochè prossima all'acustica? L'angoscia industriale di Gravity, sfociante in un evocativo loop di suono rievocante un clarinetto, è il top dell'album. Il resto del lotto, fra immobilismi estatici e pulviscoli abrasivi, finisce per essere schiacciato dai quasi 20 minuti delle due tracks sopracitate, per questo Life Cycle non resterà il suo episodio migliore.

lunedì 1 luglio 2019

Magazine ‎– Secondhand Daylight (1979)

A grande velocità, i Magazine fecero 4 dischi ed un live in neanche 4 anni. Successo poco e riconoscenza critica forse anche meno, e la reunion celebrativa del 2010 non portò loro ulteriore gloria. E' il destino di un gruppo che ha abusato del proprio talento e della propria ambizione, senza riuscire a sfornare un hit che uno che li portasse in alto nelle classifiche.
Il secondo della serie, Secondhand Daylight, vedeva un nuovo scalino di elaborazione sia a livello compositivo che a livello di produzione. Anche se occorre ammettere che non contiene certe perle che comparivano sull'inarrivabile Real Life, la ricerca estetica e artistica generale è stratosferica. Le due tracce di quell'asso che era John McGeogh svettano (la graffiante Talk to the body e l'elegantissimo strumentale The Thin Air), Formula gli sta di poco sotto con le elaboratissime Feed The Enemy e Back To Nature, Adamson suona più pressante e coesivo con I Wanted Your Heart e Believe that I understand. Meno convincenti e fantasiose le tracce firmate da Devoto, che a posteriori forse avrebbe fatto meglio a concedere più spazio ai compagni. Ma sono dettagli, perchè il disco nel suo insieme fa del lavoro collettivo il suo punto di forza, negli arrangiamenti e nei minimi dettagli di questo art-wave di massima eccellenza.