sabato 30 ottobre 2021

Stars Of The Lid ‎– Gravitational Pull Vs. The Desire For An Aquatic Life (1996)


Penso che scrivere degli SOTL sia fra le imprese più difficili nel cercare di descriverne la musica, soprattutto quando si sono già spese le (poche) parole ritenute appropriate, impiegate per i loro lavori ritenuti (giustamente) i migliori, cosicchè gli altri rischiano di passare in un secondo/terzo piano, di essere considerati minori. Un peccato, così come un peccato che siano fermi (si siano fermati) da ormai più di un decennio. Gravitational fu una transizione importante, perchè passò dal primo, tutto sommato grezzo episodio ad una nuova fase, più distensiva e panoramica. Le lunghe suite iniziano a prendere il sopravvento, la collisione Brian Eno vs. Klaus Schulze si materializza, come un colosso pulverulento pronto a dissolversi nella propria materia. Difficile trovare altre parole, poi è chiaro che Gravitational resta un po' all'ombra delle titaniche imprese che realizzeranno i due texani da lì agli anni successivi, ma è sempre bello abbandonarsi a questi suoni stanchi e fuori da ogni dimensione.

giovedì 28 ottobre 2021

Jesu ‎– Terminus (2020)


Un benvoluto ritorno per Justin Broadrick aka Jesu, che in solitaria non pubblicava da ben 7 anni, nel frattempo c'era stato il ritorno di Godflesh, l'epifania collaborativa con Markone Kozelek, diciamo riuscita al 70/80% nel 2016 e poi conclusa in modo scarso nel 2017. Terminus ritorna grosso modo a quello che gli riesce meglio, ovvero a quello slow-doom-gaze che gli fece raggiungere vette molto alte una decina d'anni fa, rilasciando senza timori quell'influenza redhousepaintersiana che tanto mi emoziona e mi fa sentire ancora giovine.

Il punto di partenza per un margine di miglioramento è contenuto in 3 delle 8 tracce presenti in scaletta: la batteria umana di Ted Parsons, l'immarcescibile batterista decano e veterano di tante band storiche. A dirla tutta, sono 3 performances che probabilmente la maggioranza dei batteristi professionisti sarebbe stato in grado di fare, per la loro natura pacata e minimalista, ma gia di per sè sono un simbolo di ciò su cui dovrebbe e potrebbe insistere JB: l'ulteriore umanizzazione di un suono che, ripetendosi, rischia di rinchiudersi in una nicchia sempre più elusiva.

Due di questi pezzi, la title-track e Don't wake me up, sono i migliori del disco, insieme a Sleeping in. Escluse un paio di parentesi debolucce, Terminus è un altro rifugio confortevole per chi ama il lato più intimista e riflessivo di JB, con quel passo di tartaruga sotto il sole, con la corazza non scalfibile ed il cuore in mano.

martedì 26 ottobre 2021

Screams From The List #101 - Robert Ashley ‎– In Sara, Mencken, Christ And Beethoven There Were Men And Women (1974)


Scherzi della List. Ma quanto coraggio il buon Gianni Sassi, a fare la collana Nova Musicha, e forse ancor di più nel pubblicare questo solco dello statunitense Robert Ashley, sperimentatore ardito e multimediale attivo su più fronti. Solco che fu esclusiva italica fino alla prima ristampa americana, avvenuta quasi 30 anni dopo. 40 minuti di monologo robotico, che assomiglia ad una lista infinita di nomi con diversi intercalari (il finale very titanically è scultoreo), con un interessantissimo sottofondo di moog ad opera del non accreditato Paul Demarinis. Uno schizofrenico ammasso di gorgoglii, glitches, bubboni e spirali che verso il finale viene doppiato da una specie di ritmo tribale sintetico, il valore aggiunto del solco.

Sulle prime l'avevo bollato come una palla mortale, ed invece, man mano che i 40 minuti scorrono, l'ipnosi è garantita fino all'assuefazione totale, magnetica, sulle onde sinusoidali di questo moog impazzito. Si astengano orecchie di quasi tutti i tipi perchè per una volta non sono d'accordo con Vlad Tepes, che lo classificò come poco più che una curiosità.

domenica 24 ottobre 2021

This Kind Of Punishment ‎– This Kind Of Punishment (1983)

 

Chiudo il discorso in studio per i Jefferies Bros con il debutto, dopo aver già dissertato in passato del loro secondo album e dell'antologia postuma. D'altra parte, quando si parla di Peter Jefferies, non si butta via niente.
Può essere divertente immaginare il disorientamento che ebbero i fan guadagnati con Nocturnal Projections; si ritrovarono in un area grigia, priva delle dinamiche wave ed inaspettatamente austera, con PJ alle prese con le prime composizioni al pianoforte, suonato in apparenza in maniera naif ma con un piglio espressionista fuori da parecchi canoni. Peter traino centrale, Graeme rifinitore a tutto tondo. TKOP ebbe il merito di rivelare l'arte povera di una musica drammatica, a tratti angosciosa ma con una visione panoramica oltre l'introspezione nuda e cruda. Pezzi superbi come Ahead of their time, After The Fact, In View of the circumstances, Two minutes of drowning ne furono l'epitome.

venerdì 22 ottobre 2021

Drose ‎– Boy Man Machine (2016)


Notevolissimo debutto di un trio di Columbus, Ohio, che sviscera un ibrido inopinato di noise destrutturato, altamente percussivo, con chitarre abrasive ma mai veramente cattivo, semmai piuttosto teatrale per via della recitazione del cantante, che sembra un improbabile incrocio fra Al Johnson degli U.S. Maple, Les Claypool ed il giovane Michael Gira. Proprio i primi Swans sembrano essere un punto di riferimento fondamentale per i Drose, ma al netto della spietata tracotanza e con una predilezione per la nettezza e la pienezza delle chitarre. I contemporanei Daughters possono essere un altra pietra di paragone, ma con un attitudine molto più sperimentale.

La tocco piano: le fasi più asfittiche, alla moviola pura, immerse nel silenzio apocalittico, possono ricordare addirittura i gloriosi Khanate di Capture & Release. Ma andiamoci piano, perchè alla lunga Boy Man Machine respira di aria propria, e non è di certo la più sana che si possa assumere. E' un disco di sostanziale disturbo, di disagio riverberato e come detto, talmente destrutturato da tenere sempre altissima la soglia dell'attenzione. Sarà molto interessante sentire il proseguio, se ce ne sarà uno. Chissà, il filone potrebbe essere il caustico slow-core della traccia finale, His Reflection, che chiude con uno straniante melodismo, in precedenza del tutto assente.

mercoledì 20 ottobre 2021

Pierre Henry & Michel Colombier ‎– Les Jerks Électroniques De La Messe Pour Le Temps Présent Et Musiques Concrètes Pour Maurice Béjart (1968)


Antologia sistemata un po' così (come spessissimo è capitato ai grandi maestri dell'avanguardia di oltre mezzo secolo fa) del grande PH. Si potrebbe discutere a lungo di questo argomento e delle scelte dei discografici, ma in fondo parliamo ormai di preistoria e lo storcimento di naso alla lettura delle liner notes passa all'ascolto di una prova monumentale di questo maestro anticipatore. 

La mini-suite di 10 minuti Messe Pour Le Temps Présent fu scritta a 4 mani con Michel Colombier, autorevole compositore e librarysta del tempo (grossomodo una specie di Piero Umiliani d'oltralpe, a leggerne la bio), ed è una deviazione illuminata dal percorso squisitamente avant, grazie all'apporto di una band di session-men che snocciolano una variopinta sarabanda acid-beat-rock in linea con le sonorizzazioni meno ostiche, su di cui PH sembra divertirsi un mondo a lanciare strali e bubboni di audio generators. Laterale, ma significativo e godibile.

Il maestro riprende pieno possesso della situazione nel restante programma del vinile, con una specie di best of degli anni immediatamente precedenti. Ben poco altro da dire in merito, se non ribadire che le sue composizioni estraevano suoni da una miniera inesauribile di idee, di sviluppi atonali che ancora oggi, a mio avviso, incutono un certo timore reverenziale.

lunedì 18 ottobre 2021

Gerogerigegege ‎– > (decrescendo) (2019)


Mi ero completamente perso il ritorno di Juntaro Yamanouchi nel 2016, dopo un silenzio di 15 anni in cui i suoi fans si erano chiesti che fine avesse fatto, e durante il quale era girata persino la voce che fosse scomparso. Nel suo tipico stile massimalista, da allora ha fatto uscire una pioggia di titoli, quasi tutti riguardanti faccende di archivio, sia sul campo che sul palco. Due gli album di inediti, di cui questo > (decrescendo) costituisce la sconvolgente sorpresa, più o meno come fece un quarto di secolo prima il verboso e sommesso Endless Humiliation. In ogni caso, come sempre si astengano i palati e le orecchie fini, si adeguino i concettualisti. 40 minuti notturni di frinire incessante di cicale e grilli su cui JY suona una sequenza ipnotica e soffusa di hapi drum, una specie di piccola steel drum che fa un suono un po' meno acuto di un carillon. Le intromissioni sono piuttosto rare: il rombo di un motociclo (o di una Ape??) che passa vicino all'improvvisato stage, qualche volatile (oche?) che starnazza a distanza. A 7 minuti dalla fine, un paio di uomini scoppiano a ridere fragorosamente per qualche secondo. Passano un paio di auto, i volatili si fanno nervosi. Alla fine, un sibilo costante invade il campo ed oscura sia le cicale che l'hapi drum, fino alla dissolvenza.

Come disse Tedio Domenicale, se mai i Gerogerigegege potessero fregiarsi di un miglior album, questo ci andrebbe molto vicino come fece Endless Humiliation. Svolta ambient per Juntaro?


sabato 16 ottobre 2021

Whipping Boy ‎– Submarine (1992)


Mi ha fatto un certo effetto l'anno scorso, per il 25ennale di Heartworm, notare l'enfasi riservata alla rivalutazione di quello splendido album, al punto di ritrovarsi altissimo in un poll dei migliori dischi irlandesi di tutti i tempi. Che i WB siano stati sottovalutati, maltrattati dalla major di turno, forse inadatti a gestire la pressione, non c'è da discutere. Il loro talento cristallino avrebbe meritato molto di più, in primis la prosecuzione di una carriera troppo poco produttiva. Certo non potevano viaggiare nel tempo, ma se fossero riusciti a resistere qualche anno forse sarebbero riusciti a saltare sul vagone del revival new-wave con agilità, magari ritrovandosi di fianco ai National come esposizione....

Dopo un paio di EP, nel 1992 esordirono lunghi con Submarine. Lo stile adulto e magnetico di Heartworm era ancora di lì a venire, ma già si poteva intuire che c'era del grosso talento al di là delle influenze principali (Velvet Underground e lo shoegaze in primis, ma io scomoderei Pink Floyd e Joy Division senza farmi tanti problemi). Ci sono dei pezzi che hanno proprio le stigmate del carisma e della maestria compositiva (Astronaut Blues, Submarine, Bettyclean, Buffalo, Beatle), ma è un puntiglioso primeggiare di poco su un disco praticamente perfetto nella sua selvatica produzione lo-fi. E' un piccolo capolavoro da recuperare a tutti i costi, a maggior ragione perchè ombreggiato da Heartworm.

giovedì 14 ottobre 2021

Bonnacons Of Doom ‎– Bonnacons of Doom (2018)


Interessante formazione stoner-gaze con tanto di travestimenti tenebrosi e cantante virtuosa da Liverpool. La mia personale classificazione è causata dalla collisione continua fra ritmiche telluriche e cristallizzazioni chitarristiche, sia distorte che no. La vocalist, col suo stile ossessivo ma sempre melodioso, fornisce il plusvalore di queste 5 lunghe tracce, molto fisiche ma anche ipnotiche nelle loro sequenze circolari. L'insieme ha molto sentore ritualistico-metropolitano, ed il fascino accresce con gli ascolti, dato che piccoli dettagli semi-nascosti affiorano a più riprese. Sostanzialmente nulla di nuovo, ma a modo suo molto originale.

martedì 12 ottobre 2021

Zamla Mammaz Manna ‎– Familjesprickor (1980)


Secondo ed ultimo capitolo con le Z per i 4 mattacchioni svedesi, epilogo necessario a rendersi conto che si era concluso un ciclo fantastico per il RIO tutto, e che si era fatta ora di porre la parola fine. Anche perchè dopo quel fenomenale capitolo del 1977, fare di meglio non era possibile. La loro musica, ormai del tutto strumentale, si era fatta più seriosa e forse troppo tecnica per salvaguardare l'animo ludico che li aveva resi grandi. Il progresso verso il virtuosismo a tutto tondo ci poteva stare, ma anche l'introduzione di Hollmer di certe tastiere elettroniche a tratti stona. A parte questo piccolo puntiglio, l'ascolto resta magnetico e l'alternanza fra atmosfere oscure (qualche piccolo flusso Magmatico in qua ed in là) e gag surreali mantiene il disco su livelli di prestigio assoluto.

domenica 10 ottobre 2021

Algiers – There Is No Year (2020)


Dopo la rivelazione del debut-album, di cui tutti restarono un po' sorpresi, il secondo non ha riscontrato gli stessi umanimi consensi. E adesso il terzo, con la critica freddina, per non dire contrariata. Ma dico io, cosa deve fare, di questi tempi, un gruppo che con fatica riesce a costruirsi una formula originale ed a proporla con un adeguato supporto promo-produttivo come quello della Matador? Deve portarla avanti, deve esplorare il filone fintanto che ne è convinto e che fa uscire dischi belli come There Is No Year, perchè di questo si tratta, del terzo centro degli Algiers e del suo nume FJ Fisher, performer emotivo e virtuoso come pochi. A livello architetturale, le composizioni concedono qualcosa alla fluidità ed alla melodia, ne escono capolavori come Dispossession, Unoccupied, Repeating Night, che rinforzano il mio personale convincimento che questo vocalist invasato sia la perfetta incarnazione di un coloured Nick Cave dei giorni nostri.

venerdì 8 ottobre 2021

Manic Street Preachers ‎– The Holy Bible (1994)

Ho sempre provato un'implicita simpatia per i MSP, nonostante non mi sia addentrato molto dentro il loro repertorio. Ho sempre trovato gradevole la voce di Bradfield, a mio avviso un cantante dal timbro personale e perfetto per il loro pop-core. Le trovate sensazionalistiche degli inizi per far parlare di sè stessi e catturare attenzioni si ritorsero loro contro, con la scomparsa nel nulla di Edwards nel 1995, non propriamente un evento gradevole per il tam tam mediatico. Nonostante questo, la stampa non perse mai occasione per bombardarli di critiche. L'anno prima avevano fatto il terzo album, questo Holy Bible dal titolone altisonante e presuntuoso come da copione, ma meglio dei due precedenti. Produzione compatta, un'occhiolino alla new-wave più energica e si toglievano da dosso etichette pericolose e paragoni ingombranti. Ricordo su un Indies dell'epoca il video di She is suffering, il pezzo migliore della lista, ma oggi si fanno apprezzare ancora Of Walking Abortion, 4st 7lb, The intense humming of evil, ovvero le deviazioni verso il loro lato meno ammiccante. 

mercoledì 6 ottobre 2021

Bologna Violenta ‎– Bancarotta Morale (2020)


Svolta essenziale quanto saggia da parte di Manzan che ha rifondato BV accantonando drum machine e chitarrone in favore di un batterista umano (Vagnoni, di tecnica a lui adeguata) e del proprio violino pirotecnico. BV va in acustica, quindi, se ignoriamo il synth-bass che di fatto svolge la funzione di un 4 corde, mantenendo però l'attitudine psicotica, funambolica, ultra-tecnica delle proprie micro-composizioni. Bancarotta Morale è un'altro concept sulla miserabilità umana (come dimenticare Uno Bianca???), ma se non altro offre anche scorci di ravvedimento nel pugno di storie raccontate a corredo dell'iconografia, sempre splendidamente anacronistica. Ne esce una specie di prog-core labirintico ed imprevedibile per la prima metà del disco, mentre l'altra è occupata da una suite di 19 minuti, Fuga, Consapevolezza, Redenzione, che mette da parte le doti strumentistiche per lasciare spazio ad una meditazione a base di organo e synth, un po' classica ed un po' ambient, che curiosamente mi ha ricordato certe pagine più levitanti dei Sensations' Fix. Un esperimento, anche questo, per virare su qualcosa di diverso, ma il forte di BV resta la ricetta unica che Manzan ha creato ed adesso continua a perpetrare con ottimi risultati.

lunedì 4 ottobre 2021

Mnemonists ‎– Some Attributes Of A Living System (1980)


Un anno dopo lo shockante esordio, il collettivo del Colorado eliminava la terminologia Orchestra e sfornava questo secondo, composto da 22 frammenti concatenati fra di loro. E di nuovo, piuttosto arduo trovare delle descrizioni: flusso magmatico senza soste che non lascia spazio all'immaginazione, Some Attributes è un labirinto inestricabile di chitarre dissonanti, fiati starnazzanti, percussioni di ogni tipo, un po' di elettronica antidiluviana, qualche sommesso schizzo di piano. Rigorosamente improvvisato, quasi senza overdubs, è un'esperienza atonale che va affrontata nella sua interezza, senza soste, per poterne apprezzare al meglio il concetto. Sempre che ve ne fosse uno a monte.

sabato 2 ottobre 2021

Lonker See ‎– One Eye Sees Red (2018)


Quartetto polacco con una manciata di dischi all'attivo, di cui questo su Instant Classic, costruito con una formula tanto semplice quanto efficace: due jams oltre il quarto d'ora che partono appena abbozzate e prendono corpo pieno col passare dei minuti, in cui la ritmica procede compatta (a tratti minimalista) ed attorno alla quale un'umile e funzionale chitarra offre il sostegno concettuale, lasciando al sax il ruolo di solista effettivo.

Lilian Gish sviluppa un tema angolare per i primi 7/8 minuti, per poi sfuriare in un ambito quasi stoner, col risultato di far brillare il sassofonista, che starnazza free ma con saggezza. Solaris pt.3-4 sfoggia un atmosfera quasi ultraterrena, per non dire onirica e squisitamente space-rock, ed ha il merito anche di dare spazio alle striature del chitarrista. La chiusura è riservata ai (soli) 5 minuti della title-track, che si apre con un corale (alla Liz Harris) della bassista, preludio ad un tema epico e sferragliante, che ricorda parecchio l'antichissima The House At Pooneil Corners dei Jefferson Airplane. Una specie di cerchio che si chiude, il rock psichedelico nella sua forma più primordiale ed istintiva.