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Il bucolico strumentale d'apertura Prelude è già un taglio nettissimo col passato recente: Peter si scopre pianista essenziale, Graham imbraccia la viola e la collaborazione/sfida è apertissima. Su questa scia scorrono anche le altrettanto ottime Turning to stone, Trepidation e An open denial, elegiache e contemplative. Altrove domina un clima teso e cupo, in cui umori joydivisioniani vengono rivoltati alla bisogna come in From the diary of Hermann e The horrible tango, in cui la batteria è pressochè assente.
La voglia di allontanarsi dai canoni specialmente neozelandesi allora in voga è una priorità assoluta per i fratelli, ma il cammino sembrava ancora lungo: fra la divagazione astrusa di East meets west e l'ordinario gotico di The sleepwalker affiora qualche incertezza di troppo che riduce un po' il giudizio generale del disco, tutto sommato disomogeneo. Fecero un altro disco e poi si divisero per sempre, il ciclo si stava concludendo e fu meglio così. Peter stava facendo crescere dentro sè l'arte e il fulmine di ciò che produrrà mirabilmente negli anni '90.
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