Un'entità assurda, fuori non dai canoni, ma proprio dal normale, capace di inventarsi una formula che tal si potesse definire, che ha bruciato in 5-6 anni tutta la sua perdizione avanguardistica. E che non a caso, direi, proveniva da una landa estranea sia all'anglosassone che all'Europa occidentale; la Polonia.
Drazek e Iwank registrano il loro debutto nel 2001, che esce sulla tape label locale Every Colour Production e finisce chissà come fra le mani dell'etichetta avant Family Vineyard di Minneapolis, la quale l'anno successivo lo ripubblica come Fever.
Ed è mezz'ora di paura, all'istante. I due non hanno bisogno di molta strumentazione: Iwank suona un basso cupo e rimbombante, intestardito su linee minimali e scurissime, di tanto in tanto biascica qualcosa di catacombale a voce bassa. Drazek elettrifica una chitarra classica a cui infonde il maggior delay/riverbero possibile, ed è il lobotomizzatore della situazione che si inerpica sulle note più alte con una foga ossessiva (plettro folle) che ha del sovrumano, creatore di spirali che si conficcano nel cervello senza far prigionieri.
Quando Drazek si dà una calmata o perlomeno non impazzisce, la musica dei Rope è un lungo e nevrotico requiem capace di creare tavolozze cubiste (Liquid courage, la fase centrale di Imagination of rhythm) e solenni astrattismi di fascino monumentale.
Alla prossima puntata....
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