mercoledì 30 aprile 2014

Wire - Red Barked Tree (2011)

Dopo il furore agonistico della reunion, i Wire sono diventati dei distinti signori di mezza età che continuano a divertirsi e godersi lo status symbol raggiunto con tutti i benefici annessi.
Hanno perso Gilbert dimissionario nel 2004 e di conseguenza privi dell'elemento più visionario del quartetto storico, si sono adagiati sulla loro formula classica dal 1988 in avanti (per favore non si facciano paragoni con epoche remote), privandosi del tutto delle parti elettroniche. Red Barked Tree è in tutto e per tutto un album chitarristico, con Newman in netto dominio e Lewis un po' rinunciatario. Ciò che piace è il tiro ritmico che il trio sfoggia in più di un numero; poi che i giovani che li imita(va)no suona(va)no molto più ingessati con 30 anni in meno sul groppone, quello è un altro discorso.
A vederli vestiti con quelle giacche, si intuisce persino il percorso artistico degli Wire di oggi: conservazione, tributi, stima della stampa e poco altro. L'arte e il fulmine creativo ormai sono dei lontani ricordi, e neanche le canzoni sanno imprimere.

martedì 29 aprile 2014

Wire - A Bell Is a Cup...Until It Is Struck (1988)

Ho un brutto ricordo riguardo ai Wire dei tardi anni '80: uno dei primi cd che acquistai in assoluto, allettato dal prezzo stracciato, fu Manscape che è universalmente riconosciuto come il più brutto che abbiano mai fatto. Non la pensai diversamente dal resto del mondo ed inorridito accantonai l'istituzione fino a quando scoprii, tempo dopo, i primi lavori.
Analizzando A bell is a cup, vien da pensare che dopotutto i Wire di quegli anni non erano poi così male, almeno dal punto di vista melodico. Perchè è quello che emerge brillantemente, a dispetto di una produzione tipicamente ottantiana, levigata e patinata; senza eccedere nè con l'elettronica nè con le ruffianerie Newman & co. componevano in collettivo e rinunciavano alla sperimentazione, con ottimi risultati; il pezzo di apertura, Silk skin paws, è uno dei più belli in assoluto mai realizzati, forte di una melodia ariosa col sentore drammatico che ha scandito i loro momenti migliori. Brillano parecchio anche Free falling divisions, It's a boy, Follow the locusts e persino il singolone accattivante Kidney bingos. Nel finale l'asso nella manica della situazione, con la stranita A public place che getta un ponte diretto con 154.
Eccellenti anche le bonus tracks dell'edizione in cd: la gelida danza di Pieta, il live sulfureo di Over theirs e quello martellante di Drill, il manifesto della loro (presunta) rinascita.

lunedì 28 aprile 2014

Wire - Chairs Missing (1978)

Con questo completo la trilogia più fulminante della new-wave, la saga Wire iniziata con Pink Flag e conclusasi con 154. Detto che replicare il miglior disco art-punk di tutti i tempi sarebbe stato impossibile e procedendo a passi veloci verso l'art-dark definitivo, Chairs missing è un disco sfuggente, difficile da inquadrare perchè racchiude e condensa tutta la schizofrenia creativa del periodo in una scaletta mozzafiato. Io tendo a ricordare maggiormente le dolcissime ipnosi di Marooned e Used to, l'avanguardia di Former airline, le stranianti perle melodiche di French film blurred, A question of degree e Outdoor miner. Gli anthem punkeggianti non erano all'altezza di Pink Flag, ma fungevano più da intermezzi coesivi di un disco che si rivelava potente e fragile al tempo stesso, con una memorabile produzione, già in odore di new-wave della più innovativa.
La storia ha già emanato tutto, nient'altro da dire.

domenica 27 aprile 2014

White Out - Red Shift (1997)

Per essere un entità impro-avant-garde dei giorni nostri, i White Out sono stati anche abbastanza onesti: in 15 anni di carriera appena 5 albums sfornati, il sostegno costante di Thurston Moore e collaboratori illustri come Jim O'Rourke.
Detto che spesso essere dei protetti dai famosi non comporta automaticamente di avere di fronte dei fenomeni, i newyorkesi sono un duo: il batterista Surgal, perennemente in libertà free-jazz e la polistrumentista Cubertson, che suona l'elettronica, il flauto e fa anche qualche vocalizzo echeggiante. Questo fu il loro primo album e con loro c'era anche un No Neck Blues Band, tanto per restare in area freak-garde. Perchè in questo ambiente siamo, anche se l'humus sembra essere un po' più colto. Un ascolto difficile, con pochi momenti realmente musicali e la parvenza di essere in un limbo astratto che si ricicla continuamente. Molto, molto originale.

sabato 26 aprile 2014

White Hills - H-p1 (2011)

Li vidi ancor prima di ascoltarli, 4 anni fa, di supporto ai Pontiak al Bronson e li trovai noiosi e scontati. La croce sopra era scontata per non dire una sicurezza, se non che qualche mese fa SIB ne ha descritto le gesta con toni a dir poco entusiastici in un intero (!) servizio dedicato.
Così ho dato loro un altra chance, ed ecco qui il loro disco da 9 in pagella e quant'è bello il mondo della musica che ti stupisce sempre per come ogni testa, anche quella più navigata ed esperta, ragioni a modo proprio ed inaspettato.
Il disco inizia molto bene con l'uragano psycho-stoner The condition of nothing, seguito da Movement con uno strano incedere krauto-industriale di chitarrismi percussivi e dagli 11 minuti di No other way, un lento caleidoscopio molto evocativo per quanto robusto. A partire dal motorik interminabile di Paradise iniziano i problemi, ed anche grossi purtroppo: il citazionismo fuori tempo massimo di Hawkwind e Monster Magnet, le inconcludenti fasi lunari ed elettroniche, le tempeste magnetiche innocue per la loro scontatezza, fino ai 17 minuti della title-track che toglie ogni filo di speranza (e di vita) con i suoi tamarrissimi assoli di chitarra, me li fa bocciare per una seconda (e definitiva, direi) volta. Vade retro.

venerdì 25 aprile 2014

Weidorje - Weidorje (1978)

Bernard Paganotti era stato il bassista chiamato da Vander al gravosissimo incarico di sostituire Jannik Top durante il primo, breve iato. Fece in tempo ad apparire nel live del 1975, a comporre e registrare Weidorje su Udu Wudu e poi fu prontamente sbattuto fuori per reimbarcare sulla setta il poderoso predecessore. Il risultato di tutto questo casino fu che Paganotti prese con sè un altro ex-Magma, il tastierista Gauthier e mise su il suo gruppo nominato come il pezzo sopracitato.
L'unico disco rilasciato fu questo omonimo del '78 e mi è stato introdotto da un illuminante post dell'amico Vlad, del quale non so fare altro che sottoscrivere le opinioni. Il settetto, che comprendeva coppia di fiati e coppia di tastiere, non aveva proprio nulla da invidiare ai Magma di due anni prima, al punto che sembrava quasi una sfida. I due transfughi operavano un rilancio sul fantascientifico jazz-fusion della band madre, concentrandosi sugli schemi da capogiro di uno standard epocale come De Futura, meno teatrali e più terreni. Paganotti svettava col suo fuzz sopra ogni cosa ma la firma sul materiale era in maggioranza di Gauthier, e le due bonus tracks (presumibilmente registrate dal vivo) presenti sulla ristampa Musea di 15 anni dopo erano in dote all'altro tastierista e al chitarrista, tutti quanti bravissimi. Potrei quasi asserire che influenzarono di più loro i Guapo piuttosto che i Magma, con le relative considerazioni. Paurosi.

giovedì 24 aprile 2014

Web - I spider (1970)

Spettacolare esemplare di british-jazz-prog ad opera di questo sestetto inglese dalla vita breve e dalle gestazioni travagliate.
L'influenza dei Colosseum è palpabile per larghi tratti, grazie alle splendide partiture di tastiere e dei fiati che rendono speciale; insomma, per chi non si è accontentato dei 4 album pubblicati da Hiseman & co. in quegli anni I spider è certamente una piacevolissima integrazione. A questo si aggiungono eleganti e raffinati passaggi in stile canterburyano, qualche svisata jazz con poche sofisticazioni e qualche hard-impennata fiammante. Concerto for bedsprings e soprattutto l'incantevole melodia della title-track sono le tracce più brillanti.
A seguito dello scioglimento, il cantante / tastierista Lawson confluì nel gruppo dell'ex Colosseum Greenslade, ma la magia non si ripetè.

mercoledì 23 aprile 2014

We Vs. Death - A Black House, A Coloured Home (2009)

Anzichè restare ancorati agli stilemi dell'epic-instru sul brillante disco d'esordio, gli olandesi hanno preferito introdurre il canto, ordinare ancor di più le strutture e svoltare verso un post-slow-core che sa tanto di anni '90.
Detto che la voce non è certo entusiasmante e quando va bene sembra una versione fredda e meno espressiva di Jason Molina, le capacità di songwriting restano di medio-alta qualità e regalano belle tessiture come The sun, Black Map e Golden medals. Nel complesso i WVD così facendo sono diventati un incrocio fra Van Pelt e i Rodan meno agitati, pur non avendo il talento di nessuno dei due. Insomma, un passo indietro; d'accordo il cambio, ma erano meglio prima.

martedì 22 aprile 2014

Walls - Coracle (2011)

Una versione androide dei Can di metà anni '70, questo è ciò che sembra Coracle alle mie orecchie. Le geometrie squadrate ed insistenti, l'elettronica mista analogico/digitale, le trasognate atmosfere mediate dal rigore teutonico, tutto concorre a darmi questa impressione dei Walls (uno è italiano).
In sostanza, intrigante ed abbastanza coinvolgente. Forse manca una zampata che si faccia ricordare, che rende il tutto un po' evanescente quando si arriva alla fine del disco; ma non è detto che i Walls la cercassero necessariamente. 

lunedì 21 aprile 2014

Wall Of Voodoo - Dance of death (Live in Toronto 1983)

Dalla famigerata Beech Marten, un altro di quei bootleg tirati fuori in chissà qual modo nei primi '90 che comprai a poche lire da Nannucci per posta. Inquadrati in un momento di svolta, poco prima dell'ammutinamento di Ridgway, Nanini e Noland, i WOV in questo concerto apparivano in formissima e suonavano molto più freschi e coinvolgenti rispetto alle prove in studio.
A 20 anni dalla prima volta che lo ascoltai, ancora oggi mi chiedo: ma dov'è il basso? O ci fu un problema a livello di registrazione nel soundboard oppure Gray suonava solo il synth in coppia con Noland. Al di là di questo, dopo averci fatto l'orecchio con lo sprint iniziale di Call Box, è una mancanza da poco perchè la vera anima dei WOV esce alla grande, priva di qualsiasi filtro produttivo e con le sue migliori qualità; la voce di Ridgway, la chitarra squillante di Moreland (ex-metallaro in cerca di qualcosa di diverso) e le architetture, semplici ma curatissime, per non sottovalutare l'apporto di Noland, che oltre a suonare il synth faceva i controcanti e la tromba, e il percussivismo atipico di Nanini, libero da vincoli grazie alla drum-machine.
Quindi, wave-western-elettronico reso con vigoria e passione; ci sono le migliori creazioni come Lost Weekend, Call of the west, Interstate is, Long Arm, Ring of fire nonchè la celeberrima Mexican Radio. E' la cosa che preferisco di tutto il loro repertorio.

domenica 20 aprile 2014

Walking Mountain - Walking Mountain (2012)

Veterano dell'elettronica, fregiato anche di titolo sulla Thrill Jockey, Sailer è un altoatesino conosciuto per anni con lo pseudonimo di Wang Inc. ed ora rinominatosi Walking Mountains.
Il cambio di nome sembra essere motivato da un drastico cambiamento di stile, in quanto Sailer si butta a capofitto su un elettro-rock-cross-over influenzato dalle musiche più alte degli anni '70. Mix intrigante sulla carta, in linea di massima qualcosa che ricordi le commistioni di Steve Hillage negli anni '90, così Sailer si trasforma in una one-man-band che macina origini e suoni disparati, per ritmi digitali ma improntati ad immagine e somiglianza degli equivalenti umani.
Il problema sta nell'eterogeneità del materiale, che è dispersivo fino alla morte; al termine non c'è un pezzo che si ricordi (forse solo Orange sky, ma perchè è l'unica cantata), e sembra più uno showcase delle possibilità dell'uomo di fare musica. Autoindulgente e sfocato.

sabato 19 aprile 2014

Scott Walker - Scott 4 (1969)

Non sono un fan dello shocking-Walker degli ultimi 20-30 anni, e non sono un particolare estimatore del pop sinfonico anglosassone di fine anni '60, a meno che non si intenda ascrivibile al genere Forever Changes dei Love. Ma di fronte ad un gioiello assoluto come Scott 4 non mi resta altro che togliere il cappello e godere l'ascolto con tutta la deferenza necessaria.
Si sa, la carriera di Walker è stata un ottovolante fra grandi successi e grandi delusioni, lampi e silenzi; ci fu un un momento, nel 1969, in cui il cantautore fu toccato da una grazia compositiva che ebbe del divino, così Scott 4 fu il primo disco in cui di covers non ce n'era neanche l'ombra. Toltosi da addosso l'ombra di Brel, Walker griffava 10 brevi pezzi di croonering sinfonico semplice ma profondamente emotivo, con una produzione perfetta. Oggi non riesco a smettere di ascoltare On Your own again, The old man's back again, Duchess, soprattutto Rhymes of goodbye (apoteosi trionfale al temine, uno  dei pezzi della vita) in primis, ma è tutto il complesso a brillare per la sintesi e la maestria con cui Walker sposava pop, folk e country e santificava il tutto con la sua grande voce.
Sarò anche un sentimentale, ma per me non c'è proprio confronto con Bish bosh.

venerdì 18 aprile 2014

V/Vm - White Death (2006)

E' stato il primo pseudonimo a rappresentare Kirby, quello che gli ha procurato più visibilità visto l'approccio elettro-noise dissacrante ed oltraggioso nel manipolare materiale altrui. Eppure ad un certo punto, mentre The Caretaker iniziava a prendere la mano, anche V/Vm ha cambiato pelle ed ha messo in mostra un autore di grande talento ormai capace di regalare (in tutti i sensi, vista la mole di files uploadati gratis dallo stesso) emozioni a volontà. Ora il progetto è fermo dal 2007 e forse non aveva più senso continuare ad utilizzarne il nome, visti gli sviluppi. White Death è un concept dedicato al naufragio nei ghiacci marini di tale Valerian Albonov ed è semplicemente stupendo, stupisce per la capacità collagistica tale che sembra veramente suonato da cima a fondo, ammalia per la profondità dei temi conduttori, avvolge la stanza e la permea di atmosfere multiformi. Apre Valerian Albonov con una ragnatela di sinfonismi drammatici: The Saint Anna, la barca coinvolta che si fa strada nelle nebbie più impenetrabili, fatte di goticismi spettrali. The Death of Nilsen è un fumo caretekeriano che risale dalle acque gelide, Northbrook Island un barocchismo incantato, Sedov's camp un cicaleccio commovente, Snowblindness un muro sinfonico di imponenza cinematografica.
Il meglio sta alla fine; White Death con i suoi 9 minuti di dolenza pastorale è fra le 4-5 cose più belle che Kirby abbia mai fatto, e la coda di Homecoming regala brividi a profusione. Date queste partiture ad un orchestra vera, al posto dei soliti tromboni; cosa ne uscirebbe?

giovedì 17 aprile 2014

VV.AA. - Criminale Vol. 1 - Paura (2013)

La Penny Records è un etichetta contemporanea italiana che da appena 2 anni propone ripescaggi dei '60 e dei '70 soprattutto dedicati alle colonne sonore ed alla library, come nel caso di Criminale vol. 1 Paura che ha il merito di introdurre l'appassionato a nomi fino ad adesso sconosciuti. A fianco di mostri sacri come Tommasi, Alessandroni, Casa, Sorgini e Iacoucci, è piuttosto curioso sapere che (al netto di info fondanti in merito) i fratelli Bracardi componevano soundtracks per film dell'orrore, con titoli come La morte rossa I bevitori di sangue (ossessiva pulsione per organo trivellante e batteria). Notevolissimi anche i contributi di Peymont (Tensione beta per drone di synth e mazzate di basso fuzz), Sandro Brugnolini, Lamartine e Joel V.D.B. 
Volendo fare un po' i pignoli, si potrebbe anche dire che la scaletta è un po' eterogenea, ma la lungimiranza del contenuto passa sopra qualsiasi cosa e la Paura è davvero la sensazione predominante.

mercoledì 16 aprile 2014

VV.AA. - Spirit of Talk Talk (2012)

La storia a volte fa giustizia e seppur rilasciato da una indie-label, questo tributo pone luce sulla storia dei TT ed annovera anche musicisti di grande popolarità come componenti di Depeche Mode e Arcade Fire. 
Una luce che non va mai spenta, chiaro.
Ma a volte i dischi tributo sono delle ghigliottine senza pietà, e questo è il caso di Spirit. Quasi nessuno ha avuto il coraggio di prendere un pezzo e provare a reinventarselo, a buttarci un po' di fantasia e metterlo in gioco; e nessuno dei 30 coinvolti ha saputo ricreare il feeling di Mark Hollis in nessun modo, nè nelle tracce elettro-pop nè nel tardo repertorio. Sarà anche perchè è un impresa umanamente impossibile, ma non importa; questo è un tributo che va ascoltato così per curiosità, ma vorrei sapere a quanti fan dei TT è piaciuto realmente. Sono pochi quelli che si salvano, per prudenza: Do Make Say Think, Matthias Vogt, The Last Dinosaur, Zelienople, ma solo perchè hanno avuto la giusta reverenza nei confronti dell'originale e hanno badato a non fare passi falsi.
Hollis, torna a far qualcosa se puoi.

martedì 15 aprile 2014

VV.AA. - Strade Trasparenti (2011)

Colonna sonora dell'omonimo film-documentario realizzato dal brasiliano Contento nel 2008, e meritoriamente messa in digitale dall'etichetta Staubgold tre anni dopo; sì, meglio tardi che mai.
La pellicola tratta la visione di scenari brasiliani visti dal vetro di un bus che viaggia, ed i contenuti musicali esclusivi sono di primissimo ordine. Aprono i Necks con Transparent Road, mezz'oretta della loro cult-impro a crescita graduale con l'aggiunta di una chitarra elettrica (non c'è modo di sapere chi l'abbia suonata, mi pare) a punteggiare sapientemente; diciamo grosso modo fra Acquatic e Townsville, giusto per dare un riferimento discografico. Ogni altro commento è ormai superfluo.
David Grubbs confeziona un soliloquio chitarristico di 10 minuti, un po' apatico, con qualche passaggio ben riuscito ma nel complesso non troppo entusiasmante. Abbastanza funzionali alla pellicola i contributi di Mira Calix (percussioni e xilofono) e Mute Socialite (fra Calexico e blues-rock). Chiudono il discorso i grandi O-Type con Shadowgram, labirintica suite di 23 minuti: assimilato il concetto, hanno brasilianizzato il loro sound con ritmi caracollanti, flautini, percussioni di ogni tipo mandati a cozzare contro la 6 corde di Anderson, riflessiva e dissonante come da attese sempre mantenute. Da capogiro.

lunedì 14 aprile 2014

VV.AA. - Perfect as cats - A Tribute to the Cure (2008)

Tributo a scopi benefici, dagli introiti destinati alle organizzazioni di carità impegnate in Sudan, ad opera di una etichetta californiana specializzata in electro-pop di nuova generazione. Il rooster di competenza viene pescato a mani basse, e non essendo un intenditore alla prima lettura della scaletta mi sono chiesto "ma chi sono questi?" Mi sembra chiaro che i nomi più noti siano Dandy Warhols e Jesu, ma a parte questo la curiosità è tanta e i cd sono due, pertanto ho ascoltato il tributo più volte e sorprendentemente mi è sembrato di buona qualità generale. Chiaro che ci sono alti e bassi, ci sono i più creativi e personali da un lato ed i calligrafici dall'altro, ma in generale la media è soddisfacente, tutti i 35 pezzi si lasciano ascoltare ed in pratica non c'è nessuno che perde la faccia o diventa scandaloso o rovina la fonte (forse soltanto una Disintegration che, ridotta a piano e voce da Lewis & Clarke. perde quasi tutto il suo valore. Ma ci può stare)
Sarà anche che chi ne esce vincitore alla fine è sempre Ciccio Smith; la sua immensa qualità compositiva, sia dark che pop, esce ulteriormente rafforzata in mano ad esecuzioni di disparati arrangiamenti, con una nettissima maggioranza di voci femminili (!).
Detto che i due nomi sopracitati mantengono grosso modo le attese (i DW ipnotizzano Primary con un buon arrangiamento drug-club-oriented, Broadrick si trova a perfetto agio nel jesuizzare The funeral party), da nominare ci sono senz'altro 5-6 nomi che spiccano nel mucchio. La palma del migliore spetta sicuramente al trio newyorkese Gangi, che riesce nell'impresa di dare un valore aggiunto allo splendore di Fire in Cairo con un incantevole versione elettro-acustica, all'apparenza semplice ma fitta di micro-variazioni rispetto all'originale.
Lodevolissimi; Bat For Lashes che trasforma A Forest in una magica filastrocca folk-tronica, Aquaserge che stravolge il ritmo di 10.15 Saturday night, la contemplazione gotica di All cats are grey viene dilatata ed espansa dalla polifonica rendition di Devastations. Army Navy rallentano il passo di Jumping someone else's train, Corridor esaltano l'acidità di The Kiss.
In sostanza che dire? Bravi, più o meno tutti.

domenica 13 aprile 2014

VV.AA. - The last days of Planet Rock (1996)

Uno dei tanti motivi per cui PR diventò un mito, una leggenda, un istituzione fu questo gesto assolutamente ribelle, per non dire punk, uno sberleffo metaforico ai piani alti. Durante gli ultimi giorni della programmazione, a fine 1996, i conduttori di turno erano i grandissimi Rupert (dissacrante, gigioneggiante, casinista) e Mixo (illuminista, enciclopedico e raffinato, il mio preferito in assoluto) ai quali toccò dare il triste annuncio (con un brevissimo preannuncio, peraltro) che il programma era ormai tagliato fuori dai palinsesti Rai futuri, per motivi sconosciuti. Era già la seconda volta in cui il Pianeta veniva spento, dopo la breve interruzione a fine '94: in quel caso la valanga di proteste dei fans aveva compiuto il miracolo di operare la rinascita dopo poco tempo, ma  questa volta non c'era proprio nulla da fare. I piani alti avevano definitivamente ucciso un'immenso flusso culturale.
Ebbene, in quegli ultimi giorni R&M si fecero beffe dei canoni commerciali della radio e diedero alle onde proprio quello che pareva loro, incuranti di ogni direttiva potesse arrivare dagli uffici marketing. Non che non avessero mai ricevuto indicazioni in precedenza, per carità, ma trasmettere cose come Third reich'n'roll dei Residents o Sequenze e frequenze di Battiato sarebbe stato un gesto arduo persino per il turno più coraggioso e meno ascoltato di Stereonotte.
Questa mia piccola selezione comprende, oltre ai due sopracitati, Henry Cow, Grand Funk Railroad, Lizard dei King Crimson e Jefferson Airplane, nonchè i commenti didascalici dei due fenomeni. Comune denominatore di questi, trattavasi di pezzi oltre i 10 minuti di durata. Così con questo ultimo lucente colpo di coda Planet Rock mi impartiva l'ultima, preziosissima lezione di storia della musica e mi lasciava con l'amaro in bocca per la fine di una storia irripetibile, ma anche con la consapevolezza che davanti a me avevo un altro gigantesco pianeta di musica tutto da esplorare, per tutta la vita.

sabato 12 aprile 2014

VV.AA. - Sides 1-4 (Skin Graft AC-DC Tribute) (1995)

Quando lessi per la prima volta Steve Albini riferire che gli AC/DC erano una delle sue più grandi influenze, pensavo che scherzasse. Invece faceva sul serio, ed insieme a 3 band del glorioso rooster Skin Graft nel 1995 partecipò a questo mini-tributo alla tamarra istituzione australiana.
Non ho nulla contro gli AC/DC, anzi, ritengo If you want blood un ottimo live, ma credo che tutti i loro album in studio siano delle sparate a salve, prodotti in maniera vergognosa per svilirne la potenza. Da qui ad essere una band da tributare ce ne corre, per cui la faccenda mi lasciò un po' contrariato.
Comunque: gli Shellac sforbiciavano Jailbreak nelle estremità generando un po' di interesse, ma la fase canonica è debole ed appannata. Gli U.S. Maple si normalizzavano alle prese con Sin City, con un po' di controtempi ma dando l'impressione di fare il compitino senza troppa convinzione.
Più interessanti gli altri due. Il supergruppo Brise Glace, nei credits si scrive limitato soltanto alla presenza di Jim O'Rourke, confeziona il minicollage Angus dei aus licht in tre parti: apertura cosmica, boogie rutilante e loop di riff di Young in delay. Straniante.
Il vero centro dell'operazione però era messo a segno dai Big'N, meteora del tempo incentrata su un noise-blues sanguinario in scia Laughing Hyenas ed affini. Nelle loro mani TNT diventava una bomba molotov, pur senza tanti stravolgimenti: potentissimi.

venerdì 11 aprile 2014

VV.AA. - The Definitive Ambient Collection (1993)

153 Album dal 1993 al 2012, senza contare gli EP, i mixes e le finte antologie come questa, che celata dietro l'alquanto presuntuoso titolo di Definitive nasconde in realtà un album di Pete Namlook registrato sotto diversi pseudonimi tramite collaborazioni più o meno solitarie.
Namlook fu un musicista elettronico tedesco che incise cotanta roba in quell'arco di tempo, cioè da quando fondò la propria etichetta Fax (nessun'altro al mondo gli avrebbe permesso tale volume, probabilmente) fino a quand'è passato a miglior vita. Sull'eredità dei genitori putativi degli anni '70, con la maggiore disponibilità di tecnologia ed un amore smodato per le musiche etniche asiatiche Namlook ha basato questa orda barbarica di releases ma se c'è qualcuno che li ha ascoltati tutti per favore si faccia sentire e dica la propria, perchè c'è il serio rischio di giudicare un artista senza averne il diritto. In ogni caso, TDAC è una dignitosa rappresentazione della ambient degli anni '90 nei suoi aspetti buoni e deleteri: suoni suggestivi, sentore spaziale, ma anche una certa carenza di idee, stucchevolezze e facili perdite di gusto negli assemblaggi. Fra le cose positive senz'altro va annoverata Je suis triste et seule ici, splendido trip medio-orientale a nome Air che andrebbe riportata nelle collezioni, quelle proprio definitive.

giovedì 10 aprile 2014

VV.AA. - Biologia Marina (1973)

Compilazione a 3 fra i soliti noti: Alessandroni, Tommasi ed il violinista / compositore di colonne sonore Franco Tamponi, nome decisamente meno ricorrente quando si parla di library. Ma non da meno degli altri due, quantomeno in Biologia Marina che lo vede alle prese con un poker di pezzi al piano elettrico. E quale aggettivo viene spesso associato al Fender Rhodes? Liquido, no?
Per chissà quale motivo (vezzo personale o scappatoia contrattuale?) gli altri due maestri comparivano sia a proprio nome che a pseudonimo. Alessandroni si ribattezza Braen e genera il mostro Octopus per arpa, barriti di trombone e celesta (potrei sbagliare tutti gli strumenti, eh), nonchè la spettrale Vita Abissale per allucinazioni d'organo e vibrafono percussivo.
Tommasi invece sceglie il nome Atmo e se ne sta più rilassato fra Bollicine, Correnti Sottomarine e Acque Tranquille, anche lui col Rhodes. E la domanda che ne consegue è: ma fra di loro si parlarono, si misero d'accordo o fecero tutto a scatola chiusa?

mercoledì 9 aprile 2014

Votiva Lux - Visioni (1994)

Scavando fra i demo che comprai fra il 93 e il 95, mi sono stupito di non aver mai scritto dei Votiva Lux, di cui poi non mi piacque per nulla Solaris, il loro disco maggiore uscito nel 2002. Seppur ugualmente derivativo di certi modelli anglosassoni, al contrario il loro demo del 1994 mi conquistò subito e riascoltarlo dopo tanti anni genera un sottile ed ingenuo piacere.
Votati alla dark-wave più secca (i Joy Division vengono indirettamente citati con la dedica a Ian Curtis in Punto Zero, anche se direi che la fonte d'ispirazione maggiore siano i Diaframma) i bolognesi sapevano scrivere anche più che buoni pezzi come Il Treno, Elevazione e la bellissima Città senza sole, in modo che alcune inevitabili ingenuità giovanili ed un cantante non eccelso passassero in secondo piano. 
Insomma, erano meglio devoti al goth che al post.

martedì 8 aprile 2014

Steve Von Till - As The Crow Flies (2000)

Ho sempre diffidato di questo genere di cantautori, prestati all'intimismo ed all'acustica dopo una vita passata nelle musiche estreme, e forse Von Till è uno degli esponenti più popolari della nicchia. A prescindere dai Neurosis, mi apparve, fin da quando questo disco uscì, che la catarsi con la quale si voleva liberare da chissà quali demoni fosse un po' forzata. Avrò pensato male ma a 14 anni di distanza il mio parere non è cambiato di una virgola, anzi; in quegli anni il rinascimento acustico era in un bel periodo come considerazione della stampa e come successo indipendente, quindi....penserò di nuovo male ma questo disco resta noioso, monotono e privo di lampi di qualsiasi tipologia. D'altra parte, uno che proviene dall'hardcore e poi ha contribuito a rifondare il metal moderno non può reinventarsi cantautore acustico e fare il miracolo; troppo distanti i mondi, troppo monotona la voce, troppo vuote le composizioni.

lunedì 7 aprile 2014

Mark Kozelek - Live in Bronson sabato 05-04

E' sempre un po' il compimento di un piccolo sogno, trovarsi di fronte ad uno dei propri miti. A vent'anni da quando comprai ed ascoltai Bridge, riesco a veder suonare il caro vecchio Mark, sabato sera al Bronson.
Come pre-annunciato dallo staff, un live in solitaria della durata di due ore. Saluto con piacere il ritorno ad una forma compositiva stellare per il nostro, iniziata 4 anni fa con Admiral fell promises; il nuovissimo Benji è zeppo di belle songs, ricche di pathos come soltanto lui può catturarle in aria, riversarle sulla chitarra acustica (davvero notevole il suo fingepicking) e contornarle di quella voce, quella voce, quella voce.....Diretta verso il mezzo secondo di età quella voce è matura, forse lievemente arrochita, e così stagionata suona quasi meglio di 20 anni fa.
Ovviamente non ricordo neanche un titolo, riconosco qualcuna delle più belle, ma....neanche una vecchia nella scaletta, questo il mio unico rimpianto. Mark sembra aver cancellato il passato RHP, unica pecca di un concerto che lo ha visto come sua abitudine scherzare col pubblico, chiedere il dialogo e snocciolare battute ridanciane. Ma nel complesso sono state due ore incantevoli, caro vecchio Mark.

domenica 6 aprile 2014

Von Lmo - Cosmic Interception (1994)

Personaggio oscuro e contornato da un alone di mistero che discograficamente realizzò 3 prodotti in 15 anni prima di scomparire, Von Lmo avrebbe avuto la potenzialità per diventare un mito ma si perse nei meandri della vita e dei suoi effetti collaterali.
Di fatto Cosmic Interception riprendeva gran parte dei pezzi presenti in Future Language, il precedente datato addirittura 1981 con l'aggiunta di 2-3 inediti. Musicalmente era un bizzarro miscuglio di rock'n'roll (quasi hardcore) pestato fino all'ossessione più totale e new-wave acida e futuristica, suonato con grossa cattiveria  agonistica ed una determinazione indomabile. La prima componente è letteralmente trascinante: i pezzi sono per 2-max 3 accordi ripetuti all'infinito (ma Radio World ne ha soltanto 1!), eseguiti quasi sempre ad una velocità supersonica ed una ritmica serratissima, con pochissimi assoli ed il prezioso contributo di un sax che non fa sfracelli ma aiuta a colorire un suono altrimenti troppo monolitico. 
Quelli che potrebbero essere i pezzi del 1994 sono invece segnati da una grossa influenza dei Chrome epoca 1981/1982, seppur la personalità di Von Lmo fosse così rilevante da non poter parlare di imitazione. Comunque, esaltante ed unico.

sabato 5 aprile 2014

Volume - Stampone (1995)

No, non fu un gruppo italiano. Volume fu una joint-venture durata tre sere elusive (come da note interne) fra Azalia Snail, Dan Oxenberg dei Supreme Dicks, i fratelli Branstetter dei Trumans Water ed altri due elementi a me sconosciuti. Ed il risultato di questa estemporanea unione di matti fu quasi esattamente ciò che ci si poteva immaginare: un informe groviglio di rovi free-form freak-out, uno sballo svaccato con le singole componenti peraltro ben distinguibili: la chitarra sommessa e (volutamente?) scordata di Oxenberg, gli effetti psichedelici della Snail e il caos disconnesso dei fratelli. Tutto rigorosamente improvvisato, direi: il risultato finale è qualcosa che dire ostico è poco; le vaghe venature melodiche sono appannaggio esclusivo di Oxenberg o di una tromba che scorrazza a tratti, mentre gli altri pensano più che altro a creare rompicapi senza alcun tipo di freno. Per completisti dei progetti coinvolti, oppure per amanti del primo Red Krayola.

venerdì 4 aprile 2014

Volcano! - Paperwork (2008)

Geniale rilancio di ciò che era stato un debutto promettente: all'insegna del o la va o la spacca, i chicagoani Volcano! hanno centrato in pieno le loro intenzioni e i desideri di chi ne aveva apprezzato l'intrinseco valore, seppur con qualche riserva.
Paperwork è coeso ed ampio quanto basta per renderli protagonisti di un non-genere, quest'emo-art-avant-rock che rigoglioso trasuda vivacità e sana bizzarria da tutte le tracce. Rispetto a Beautiful leisure le fondamenta non sono molto diverse, ma il trio ha guadagnato in visione, compattezza e soprattutto composizione. Ad esempio, Africa just wants to have fun inizia come una jam abbozzata dei Talk Talk di Laughing Stock e poi esplode in un chorus math-pop che si attacca al cervello in prima istanza. Non è solo la componente melodica ad uscirne rafforzata, da questo miglioramento: due capolavori come Tension loop e Palimpsests fanno faville fra scoppi emotivi e visioni progressive, battendo i Radiohead in trasferta nonostante le personalità dei musicisti coinvolti siano profondamente diverse. 
In ultima analisi, hanno anche lasciato perdere scherzi di cattivo gusto e/o sprofondamenti nel kitsch. Per cui, discone.

giovedì 3 aprile 2014

Volcano The Bear - Five Hundred Boy Piano (2001)

Troppi, troppi dischi hanno rilasciato i VTB per potersi fregiare di un identità ben marcata. Si potrebbe dire la stessa cosa del loro patrocinante Stapleton, ovvio, ma i contesti storici sono ben diversi. A parte questa recriminazione, Five Hundred boy piano è un ottimo melting pot di sperimentazioni brade: i vocalismi spiritati di The tallest people in the world, i dadaismi allucinati della title-track, le arie residentsiane di I am the mould, le psicosi folkeggianti di Seeker contribuiscono all'ennesima elevazione di astrusità con cui il combo inglese ha saputo destreggiarsi negli anni: certamente le progeniture (anzi gli antenati, direi) sono di chiara fonte, ma vale la stessa regola per tutti i generi: ciò che conta è lo stile e VTB l'ha sempre avuto, chiaro e forte.

mercoledì 2 aprile 2014

Voivod - Nothingface (1989)

Mi sono sempre detto, ogni tanto: devo rivalutare i Voivod di mezza stagione, perchè il loro suono è invecchiato molto meglio di tanti altri coetanei, inclusi quelli che si protraevano (o quantomeno cercavano) oltre il metal classico.
Probabilmente Nothingface non sarà ritenuto da tutti il loro miglior disco, ma fu esemplificativo della loro piccola impresa creativa: della radice metal restavano soltanto qualche assolo veloce, i ritmi erano sconnessi e sincopati come da remoto retaggio progressive. La voce naturale, non eccezionale ma sempre modulata a tono, le composizioni ben definite ed articolate. Le tracce migliori: la title-track, Sub-Effect e la splendida Into my hypercube, il mio pezzo preferito di tutto il repertorio.
Ma il bello dei Voivod stava nel fatto che riuscirono a controllare l'ambizione di creare questo metal futuristico restando umili, senza mai sorpassare i propri limiti tecnici nè strafare.

martedì 1 aprile 2014

Voice Of Eye - Mariner Sonique (1992)

Prima della svolta mistica di Vespers, i VOE realizzavano un ambient cupa ed abissale, quasi stordente. Questo loro debutto ufficiale è un gorgo con ben pochi squarci di luce, in parte debitore di alcuni compositori del decennio precedente: Roach per i percussivismi sintetici, e mi verrebbe da dire anche Nocturnal Emissions per la componente ritualistica che trasuda dalle ambientazioni nonchè per i residuati industriali.
Su tutto aleggia una cappa dark di grande spessore: Mariner Sonique pecca un po' di disomogeneità, ma d'altra parte vista la lunghezza (e il fatto di essere al debutto) non era facile dare sfogo alle ambizioni del duo. Va pertanto inquadrato come precursore delle meraviglie a cui hanno saputo dare luce negli anni successivi.