Non sono un fan dello shocking-Walker degli ultimi 20-30 anni, e non sono un particolare estimatore del pop sinfonico anglosassone di fine anni '60, a meno che non si intenda ascrivibile al genere Forever Changes dei Love. Ma di fronte ad un gioiello assoluto come Scott 4 non mi resta altro che togliere il cappello e godere l'ascolto con tutta la deferenza necessaria.
Si sa, la carriera di Walker è stata un ottovolante fra grandi successi e grandi delusioni, lampi e silenzi; ci fu un un momento, nel 1969, in cui il cantautore fu toccato da una grazia compositiva che ebbe del divino, così Scott 4 fu il primo disco in cui di covers non ce n'era neanche l'ombra. Toltosi da addosso l'ombra di Brel, Walker griffava 10 brevi pezzi di croonering sinfonico semplice ma profondamente emotivo, con una produzione perfetta. Oggi non riesco a smettere di ascoltare On Your own again, The old man's back again, Duchess, soprattutto Rhymes of goodbye (apoteosi trionfale al temine, uno dei pezzi della vita) in primis, ma è tutto il complesso a brillare per la sintesi e la maestria con cui Walker sposava pop, folk e country e santificava il tutto con la sua grande voce.
Sarò anche un sentimentale, ma per me non c'è proprio confronto con Bish bosh.
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