Spuntano come funghi, hanno lunghi nomi, etc etc... anche in Australia, che poi se ci si pensa è una terra che può ben prestarsi a queste sonorità.
Questi, però, cercano anche di svariare un pochetto nell'EP con cui hanno debuttato un paio d'anni fa. Dopo un intro atmosferica di un minuto e mezzo, parte Break the horizon e mi chiedo per quale motivo qualche utente del mio tracker di fiducia li abbia messi nel similar-artist-tree degli Explosions. Trattasi infatti di un roccioso pezzo di indie-emo, simile a certe cose dei primi Appleseed Cast, o di altri gruppi post-hardcore di grossomodo una decina d'anni fa che raffinavano e limavano la scorza originaria.
Comunque, per fortuna è un isola e gli altri due lunghi pezzi che compongono l'EP ristabiliscono il parallelo, pur con le dovute differenze. Patient is the sea è fortemente imparentata con i primi Mogwai, ma nel corso si intravede qualche curiosa scheggia Isis, mentre è la title track di 17 minuti a rendersi protagonista in ogni senso. Una partenza in pieno slow-core, progressione fragorosa, break ipnotico di chitarre, finale apocalittico. Abbastanza riuscita come suite, ma sarà interessante sentirli alla prossima puntata: se riuscissero ad eliminare le scorie hardcore che si portano dietro come delle zavorre, potrebbero fare buone cose.
Questi, però, cercano anche di svariare un pochetto nell'EP con cui hanno debuttato un paio d'anni fa. Dopo un intro atmosferica di un minuto e mezzo, parte Break the horizon e mi chiedo per quale motivo qualche utente del mio tracker di fiducia li abbia messi nel similar-artist-tree degli Explosions. Trattasi infatti di un roccioso pezzo di indie-emo, simile a certe cose dei primi Appleseed Cast, o di altri gruppi post-hardcore di grossomodo una decina d'anni fa che raffinavano e limavano la scorza originaria.
Comunque, per fortuna è un isola e gli altri due lunghi pezzi che compongono l'EP ristabiliscono il parallelo, pur con le dovute differenze. Patient is the sea è fortemente imparentata con i primi Mogwai, ma nel corso si intravede qualche curiosa scheggia Isis, mentre è la title track di 17 minuti a rendersi protagonista in ogni senso. Una partenza in pieno slow-core, progressione fragorosa, break ipnotico di chitarre, finale apocalittico. Abbastanza riuscita come suite, ma sarà interessante sentirli alla prossima puntata: se riuscissero ad eliminare le scorie hardcore che si portano dietro come delle zavorre, potrebbero fare buone cose.
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