Duo inglese e nome norvegese (traduzione di Warlock of the Firetop Mountain, titolo del primo libro di una serie fantasy di Steve Jackson e Ian Livingstone), i Trollmann Av Ildtoppberg consistono di David Terry (soprannome Thundarr, basso) e James Baker (Mordraaneth, organo), nativi di Newcastle upon Tyne (già Novocastro, ma in origine Pons Aelius) e conterranei degli Zoviet France.
Se l’ispirazione musicale rimanda immediatamente a Burzum, nonché alla Trimurti drone Earth, Sunn O))), Boris, le fonti letterarie di Trollmann, desumibili dal lambiccato titolo, proprio di certe vaghezze della letteratura fantastica di genere, risiedono nelle saghe nordiche, in Tolkien, Robert E. Howard, Lovecraft. Da un tale materiale, apparentemente frusto e prevedibile, essi riescono, con mezzi poverissimi (basso più organo Roland, il tutto davvero low fidelity), ad organizzare lunghe praterie monocrome in cui le esangui linee melodiche dei due strumenti, ripetute ossessivamente, pervengono ad un grado evocativo altrimenti impossibile con un’orchestrazione più complessa.
La title track, opera del bassista David Terry, introduce, nella sua pacatezza equorea, alle atmosfere dei successivi monoliti, Aeons of Darkness, Beyond the Void e, soprattutto, The Doom-Trolls of Grelch, di venticinque minuti. Si è da subito trasportati a volo d’aquila in un paesaggio di solitudine antartica e ghiacci perenni, immobilizzato da tempi immemori, in cui torreggiano reperti di civiltà ignote, irriducibili all’umanità.
L’antecedente letterario più prossimo a tali suggestioni sembrerebbe il romanzo breve di Lovecraft At the Mountains of Madness, a sua volta ispirato alle battute finali del Gordon Pym di Edgar Allan Poe; ma questo pare vero solo ad un grado più superficiale. Vista l’origine anglosassone dei Nostri saremmo portati ad azzardare una ipotesi più profonda: che in tale opera, come in quella di certi gruppi drone-doom di area scandinava e germanica, agisca una predilezione pagana antica e inconscia per le vedute desolate ed ampie, per l’elegia virile, per il rigore delle stagioni e l’inclemenza di un destino ineluttabile.
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