mercoledì 31 agosto 2022

Godspeed You! Black Emperor ‎– G_d's Pee At State's End! (2021)


Dopo il passo falso di Luciferian Towers nel 2017 (a mio avviso una dormita colossale, ma forse lo ascoltai con distrazione), i Godspeed sono tornati l'anno scorso con una grande prova, facendo semplicemente ciò che riesce loro al meglio, cioè le imponenti sinfonie elettriche. Due maratone da 20 minuti di grande livello + e due riflessioni di 5' per stemperare, calmare provvisoriamente le acque e poi concludere in bellezza.

La formazione è quella classica, l'ottetto a semicerchio. La sontuosa A military alphabet è il primo gigante, che inizia con un pulviscolo di suoni e rifrazioni, inizia a carburare intorno ai 7 minuti e poi si erge in tutta la sua imponenza con un giro armonico fra i più indovinati di tutta la loro carriera. Segue il dolente requiem stratificato Fire at static valley, in preparazione al secondo gigante, Government came, più strutturato ed arzigogolato, con le chitarre in dissociazione e ritmiche quasi doom per i loro standard. Chiude la "breve" elegia cosmica Our side has to win, un implicito invito a resistere e continuare a lottare per i propri ideali, con commozione ed umanità.

Il senso di tragedia e dramma aleggia sovrano, come sempre. Non è nulla che non abbiamo mai sentito, soprattutto da parte loro in passato, ma riesce sempre a commuovermi.

domenica 28 agosto 2022

Spacebox ‎– Kick Up (1984)

Secondo ed ultimo Spacebox. Mentre il 98/99% del mondo musicale aveva preso il tunnel delle produzioni opulente, un'aulico Uli Trepte piazzava un paio di microfoni in un 2-tracce-2 davanti a lui ed al suo trio, lo stesso di Spacebox. Rispetto ad esso, il fattore precarietà salì al potere e l'aria si fece più pesante, con meno sarcasmo e maggiore sismicità. Il sax di Hoffmann passava un po' in secondo piano, la chitarra di Golombeck guadagnava spazio e distorsioni psicotiche, facendo riaffiorare a tratti il temibile fantasma dei Guru Guru. E come nell'esordio, la sensazione che da un momento all'altro possa crollare la stanza dove i 4 si trovano, sotto i fendenti micidiali del basso di Trepte e le pachidermiche esecuzioni. Difficile sostenere se si trattasse di un passo indietro, vista l'aurea generale di jam-session su canovacci circolari: sicuro invece che fu un passo nel precipizio, e che fosse improbabile andare avanti in una direzione così disastrata.

giovedì 25 agosto 2022

For Against – Never Been (2009)


L'ultimo dei For Against, ed essendo passati 13 anni, mai dire mai ma sembra ragionevole ipotizzare che sia finita l'avventura di uno dei gruppi statunitensi più criminalmente ignorati dalle masse, nonostante i fertili revival che avrebbero potuto rilanciarli alle orecchie di tanti neo-wavers che hanno fatto la fortuna di Interpol ed affini. Ci vuole della fortuna, ed il primo fattore che ha dato loro contro è stata la questione anagrafica; non era destino per chi era nato nell'età di mezzo, così come non ha favorito neanche il fatto di nascere in una regione remota come il Nebraska.

Never Been è stata l'ennesima prova di un talento naturale del trio (i fondatori Runnings e Dingman + l'ultimo batterista Buller) nel cesellare melodie atmosferiche a presa istantanea, che fossero immerse in ritmi sostenuti o in contesti più dreamy e rilassati. Roba più che matura, si dirà, ma un ballatone autunnale come Of A Time avrebbe fatto un figurone in uno degli ultimi Cure, così come il top della scaletta Different Departures lo avrebbe rinvigorito ed asciugato di orpelli discutibili. Ma si tratta di paralleli puramente arbitrali, perchè il FA-factor resta indiscutibile sui vigorosi spleen-wave di Sameness, Antidote e Specificity, da aggiungere rigorosamente al loro best-of. Alla facciaccia di Onda Rock.

lunedì 22 agosto 2022

Teardrop Explodes – Wilder (1981)


 Il secondo, sottovalutato dei Teardrop Explodes, con Julian Cope ormai monopolista unico autore, Balfe represso pronto a tentare di rilanciarsi, un'annetto prima della rottura. Rispetto a Kilimanjaro, un approccio leggermente più vaporoso, soffice ed incline alle melodie ad ampio respiro, con il pugno di perle da rovesciare sul tavolo (Passionate Friend, Bent Out Of Shape, Colours fly away). La ristampa deluxe monstre del 2013 includeva una decina di bonus fra b-sides ed affini, con le provvidenziali evidenze di East of the equator. Suffocate, e se non fosse bastato, la ripresa di una BBC Session coeva. E' stato giustissimo svuotare tutti i cassetti e dare fondo alle scorte, perchè la loro imperfezione, unita alla irrequietezza, forse fu il carburante ideale per una musica così innocente e genuinamente giovanile.

venerdì 19 agosto 2022

Evan Caminiti – Meridian (2015)


Al secondo su Thrill Jockey, Evan Caminiti riapparve con un nuovo look sia esteriore che sonoro. Se il precedente Dreamless Sleep, per quanto molto riuscito, segnava ancora un debito di riconoscenza nei confronti dei giganti tedeschi, con Meridian l'ex Barn Owl con i suoi synth modulari è entrato in una sfera più atonale ed astratta e si allontana sempre più anni luce dai modelli ispirativi con cui emerse 15 anni fa. Non più è soltanto una questione cosmica, quindi, ma anche lunare. Le inquietanti architetture di EC si dipanano con fare circospetto, avvolgono e a volte quasi shockano con trovate ai limiti dell'avanguardismo, un po' come certi pionieri di decenni fa che sembravano naif ed invece si inventavano trovate che avrebbero reso eterne le loro pieces. Certo, EC non raggiungerà mai uno status autorevole, ma la ricerca del suono e la qualità delle sue escursioni labirintiche dimostrano la stazza artistica.

martedì 16 agosto 2022

Unrest – Tink Of S.E. (1987)

 

Più o meno nell'ordine di scaletta: un garage-punk epidermico e trascinante, un surf'n'roll a rotta di collo, un anthem emo-indie anticipatorio della saga Kinsella e derivati (soprattutto nel canto), uno strumentale in odore new-wave, una versione rozzissima di 21st Century Schizoid Man, una ballad indolente a base di strumming ostinato, uno strumentale sconclusionato con basso fuzz di reminescenza No Means No, un bizzarro esperimento per percussioni trovate, un'austerissima e dolente acustica con canto marziale in tedesco (?!), e siamo alla traccia n.9. Le restanti 7 riprendono le tematiche precedenti, in ordine sparso, con predilezione preponderante per il lato più indie ma con follie sparse ovunque.

Gli Unrest furono un trio di Washington attivo a cavallo degli anni '90, e Tink Of S.E. fu il loro terzo album. Dire che fossero indecisi sulla linea da seguire è un puro eufemismo, come si può evincere dai contenuti. PS li esalta come fra i più originali interpreti del post-hardcore degli Stati Uniti ed attribuisce loro un ruolo fondamentale nel superamento di quei canoni, ed in effetti a tratti le loro pirotecniche vignette nascondono un genio vulcanico e sarcastico. Non tutto funziona sempre a dovere su questo meltin pot astruso, ma resta un ottimo esempio di caos organizzato ed originale.

sabato 13 agosto 2022

Dreamcrusher – Another Country (2020)


Un raro album che mi fa sentire ancora abbastanza aperto nei confronti dell'attualità musicale, che non mi fa auto-ritenere un inguaribile dinosauro incartapecorito. Negli ultimi 5 anni è successo con pochissimi acts (Lingua Ignota su tutti, ma anche Stabscotch), ed è comune denominatore che si tratti di artisti piuttosto estremi, che sia solo per l'oggetto musicale o per il vissuto personale che si va a riversare sull'ouput sonoro. Non fa eccezione Luwayne Glass, transgender texano rilocato a New York per fabbricare del trovarobato traumatico, acido e abrasivo, ben esemplificato nei 43 minuti senza sosta di Another Country. Questo non è un prodotto musicale, bensì un testimone amorfo dei nostri tempi, in cui la violenza la fa da padrone ma in maniera subdola, diagonale, a volte travestita da sembianze quasi rassicuranti (gli arpeggi chitarristici iniziali, alcuni richiami sparsi allo shoegaze, certe ritmiche meccaniche rallentate, giri di basso ostinati) ma pronta a rivestire tutto di lava, feedback e distorsioni. L'articolazione del collage, apparentemente aleatoria, è invece il suo segreto: gli scenari, saturi di elettricità, si susseguono allucinati con continue svolte ed implosioni.

E' un teatro post-industriale, perchè eredita qualcosa di quella gloriosa stirpe (impossibile non pensare ai Throbbing Gristle) ma con un gusto shocking perfettamente calato nel presente. Non ascolto molta musica attuale, ma ho come il sentore che questo mostro possa essere una trasposizione molto rappresentativa (ed angosciosa) dello scenario sociale odierno.

mercoledì 10 agosto 2022

Voivod – Dimension Hatröss (1988)


Ogni tappa di transito dei giovani Voivod verso l'apice di maturazione ebbe un suo preciso significato. Gli esordi trash lasciarono il campo ad un'evoluzione con il pallino della fisica e della complessità applicata, uniti alla crescita impressionante del chitarrista D'Amour e la svolta vocale di Belanger, lasciatosi alle spalle la carta vetrata e passato ad un canto nitido e stentoreo. Dimension Hatröss ha i connotati di un epic colossal drammatico e futuristico, una lotta titanica contro forze oscure ed entità amorfe. Pezzi come Technocratic Manipulators, Tribal Convinctions, Psychick Vacuum, non sono brani standard di heavy metal evoluto. Sono battaglie cerebrali quanto sanguinolente, discendenti bastarde dell'ispirazione più feroce di Fripp, che non vengono scalfite nè dagli anni nè dall'appiattimento produttivo.

domenica 7 agosto 2022

Cheer-Accident – Chicago XX (2019)

 

20esimo album per i Cheer-Accident (stando alle loro statistiche, perchè sembrerebbero un paio in più ma dopotutto cosa cambia), e si permetta loro di dargli un titolo autocelebrativo. Io ne ho ascoltati solo una manciata, ma come sintesi è possibile che sia abbastanza vicino alla realtà: forse non hanno mai realizzato un capolavoro definitivo, ma hanno sempre mantenuto uno stile personale e la barra dritta sul loro light-prog, lucido e scintillante ma con una puntina di follia ben sparpagliata. Formula inossidabile anche ai giorni nostri, con la vivacità e l'immediatezza di pezzi frizzanti come Like Something To Resemble e Life rings hollows, irresistibili: soprattutto il primo, impavido crocevia fra Who, Yes post-77 ed il filone Pinback di Rob Crow e Zak Smith, che qualcosa devono avere mutuato dai Cheer-Accident già dalla gioventù. Qualche ospite alle voci, la consueta maestria di Thymme Jones alla batteria, quella di Liebersher alla chitarra, qualche composizione un po' più complessa (senza cervelloticismi) e Chicago XX scorre che è un piacere sottilmente intellettuale.
 

venerdì 5 agosto 2022

Flaming Lips - Live In Villa Torlonia, San Mauro Pascoli, 02/08/2022


Spettacolo, grande spettacolo martedì sera nell'incantevole location di Villa Torlonia per un'occasione irrinunciabile da me prenotata la stessa mattina in cui uscì la prevendita (non ce ne sarebbe stato bisogno, ma questo dà la misura di quanto lo aspettassi). Un concerto a misura perfettamente umana (occhio e croce un paio di migliaia di persone ben distribuite nel piazzale interno della tenuta) da parte di una leggenda vivente ed in una forma che in tutta franchezza non mi sarei aspettato. Di certo l'entità del pubblico non è paragonabile a quello di cui dispongono in America, ma non si può dire che si siano risparmiati nell'organizzazione dello spettacolo, che come da tradizione ha previsto i classici numeri (Coyne nella bolla, la bolla vuota lanciata in stage-diving, il gonfiabile gigante per Yoshimi, la pioggia di coriandoli, il light-show multicolore, tutte cose ben risapute ma che dal vivo fanno un grande effetto, poco da dire) senza minimamente far passare in sottofondo una performance superba da parte del sestetto sul palco; Coyne istrione e divertentissimo nelle sue presentazioni, vocalmente impeccabile; Drozd e Brown seduti in prima linea ad alternarsi fra chitarre e tastiere ed esaltanti nel lavoro dei cori; Duckworth un tornado metronomico, Ley a doppiarlo ma spesso anche impegnato al basso ed un sesto componente in seconda fila di cui non conosco il nome ma non meno importante, a basso e chitarre. Impossibile non notare il grande lavoro di orchestrazione e l'effetto coesivo di quella che è quasi più una mini-orchestra che una semplice band. Giù il cappello.

La scaletta è praticamente un greatest hits, a partire dall'antica She Don't Use Jelly fino agli highlights del grande American Head, con pochi spazi riservati alle pagine cupe e tanta, tantissima melodia e voglia di divertirsi. Sempre più difficile trovare parole per esprimere il mio entusiasmo nei confronti di questa eminenza psichedelica. Era proprio vero; vederli dal vivo è un'esperienza da fare prima di lasciare questa valle di lacrime.

giovedì 4 agosto 2022

Who – Live At Leeds (1970)


Piccolo spazio memoriale. 25 anni fa svolgevo il mio servizio militare lavorando di supporto ad un maresciallo amministrativo della provincia pavese, Carlo Bellancino. Per essere un dipendente dell'esercito era infinitamente più solerte ed operativo della media dei suoi colleghi, però durante la giornata si fermava spesso, come posseduto da un demone, a sbacchettare la scrivania con le dita senza sosta, impegnato in un frenetico desk-drumming. Era un batterista. Il tempo di acquisire un minimo di confidenza e mi rivelò che suonava in una cover band degli Who.

A quei tempi non ero interessato alla musica del passato; durante la scuola avevo già passato abbondanti fasi di sbornia per certuni mostri sacri dei '70, ma in quel momento ero molto più concentrato sull'attualità. Gli Who in pratica non li conoscevo, così finii per ascoltarli per la prima volta nelle versioni super-lo-fi del gruppo del maresciallo (che fra l'altro aveva un nome piuttosto infelice, Nico e i suoi ubriachi....). Fu decisamente l'impatto sbagliato, così archiviai quelle cassette e soprattutto la mia considerazione degli Who in un cassetto. Ci vollero alcuni anni perchè riconsiderassi la mia opinione, ed accadde precisamente nel momento in cui mi capitò di guardare il concerto all'isola di Wight del 1970.

Non sto certo a discutere la funzione storica degli Who sui 50 anni successivi e probabilmente per molti altri a venire. Sostengo soltanto la mia opinione: furono così giganteschi sul palco che per contrasto i loro dischi in studio li ho cestinati dopo un solo ascolto. Non erano fenomenali nella composizione, e non a caso i set erano infarciti di covers. Si reggevano su un equilibrio miracoloso fra vanità, ed egocentrismo, follia e spirito collettivo, humour britannico e denti stretti. Per molti addetti ai lavori Live At Leeds è il più grande disco dal vivo di tutti i tempi.

Non sono mai riuscito a far fare breccia nel mio cuore agli Who, ed un po' mi dispiace. Ma quando mi capita, diciamo una volta ogni 2/3 anni, se li leggo o li sento nominare, alla prima occasione vado al mio dispositivo e mi guardo un paio di estratti dall'isola di Wight. Preferibilmente Young Man Blues, che guardacaso è una cover. Ed è una goduria.

lunedì 1 agosto 2022

Balletto Di Bronzo ‎– The Official Bootleg (2020)


Si sa, Ys è una bestia senza tempo, che non muore mai e ciclicamente si ha bisogno di relative somministrazioni. Nel corso di quasi 50 anni l'orgoglioso ed indefesso Leone si è occupato di ridare esso vita sul palco, con le dovute ed inevitabili differenze. Nel 1996 Trys fu un primo tentativo, non molto riuscito a dire la verità. Andò meglio nel 2000 nell'ambito del famoso festival prog statunitense. Il revival ha trovato una nuova puntata in questa esibizione del 2018 (46 anni, mica 25!), con l'ottima sezione ritmica Spilli-Salvatori. L'impressione dominante è costituita da Leone stesso, che a più di 60 anni sfodera una prova vocale superba, anche se non saprei dire quanto inaspettatamente. Per il resto, com'è ovvio Ys viene srotolato come nei casi precedenti, con pregi e difetti: l'irreversibile assenza della chitarra (sarebbe stato il mio sogno) ed un suono di tastiere molto diverso dall'originale. A seguire un paio di recuperi graditi, Donna Vittoria e La discesa nel cervello, mentre stendiamo un velo sulla danzereccia Diaframma. Imperdibile infine il lungo monologo di Leone ai saluti, che molto bonariamente definirei l'invettiva esilarante di una cariatide nei confronti del mondo musicale moderno, per il quale tra l'altro sono d'accordo quasi su tutto.