Un disco al quale sono molto affezionato; mi accapparrai la cassetta ad un prezzo stracciato, dopo aver letto la miniguida di Rumore sulla new-wave. Soltanto anni dopo avrei ascoltato anche Kilimanjaro e Wilder, ma il mio apprezzamento per questo album postumo non è calato.
Tutti volevano fottere i TE, e Cope dice che riformarli sarebbe come prendere ancora gli schiaffi sul culo dalla madre. La storia del gruppo aveva dell'incredibile, fra litigi, acidi e buona, ottima musica. Ormai ridotti al trio con Balfe, Dwyer e i nervi a fior di pelle, nel 1982 ebbero comunque un colpo di reni. L'intro è memorabile: fra gracidare di grilli, frasi di organo e chorus, Ouch monkeys sembra ambientata in un'oasi nel deserto. Il songwriting visionario di Cope è già pronto per il decollo solista: la splendida pastorale Soft enough for you, la giocosa e tenebrosa Not my only friend, sono le vette compositive del disco, quadretti melanconici da scolpire nella memoria.
Ma Balfe spingeva più per il tecno-pop: Serious Danger e In Psychopledia sono schizzi sintetizzati che si salvano solo per le qualità carismatiche del vocalist. Per fortuna che nella maggior parte dei pezzi si riesce a mediare: Metranil Vavin è mutuata dai Japan di Tin Drum, le sarabande fiatistice di Count to ten and run for cover e The Challenger, i simpatici funk di You disappeared from view e Sex Pussyface, il delirio claudicante di Strange house in the snow, tutto contribuisce a variegare il disco da renderlo squisito, dall'ascolto piacevolissimo.
E la lacrima scoppiò definitivamente.
Tutti volevano fottere i TE, e Cope dice che riformarli sarebbe come prendere ancora gli schiaffi sul culo dalla madre. La storia del gruppo aveva dell'incredibile, fra litigi, acidi e buona, ottima musica. Ormai ridotti al trio con Balfe, Dwyer e i nervi a fior di pelle, nel 1982 ebbero comunque un colpo di reni. L'intro è memorabile: fra gracidare di grilli, frasi di organo e chorus, Ouch monkeys sembra ambientata in un'oasi nel deserto. Il songwriting visionario di Cope è già pronto per il decollo solista: la splendida pastorale Soft enough for you, la giocosa e tenebrosa Not my only friend, sono le vette compositive del disco, quadretti melanconici da scolpire nella memoria.
Ma Balfe spingeva più per il tecno-pop: Serious Danger e In Psychopledia sono schizzi sintetizzati che si salvano solo per le qualità carismatiche del vocalist. Per fortuna che nella maggior parte dei pezzi si riesce a mediare: Metranil Vavin è mutuata dai Japan di Tin Drum, le sarabande fiatistice di Count to ten and run for cover e The Challenger, i simpatici funk di You disappeared from view e Sex Pussyface, il delirio claudicante di Strange house in the snow, tutto contribuisce a variegare il disco da renderlo squisito, dall'ascolto piacevolissimo.
E la lacrima scoppiò definitivamente.
(originalmente pubblicato il 30/12/08)
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