Ritornano, con la loro flemma produttiva, una ritrovata ispirazione, senza nulla creare se non un'altra sfilata di songs difficilmente dimenticabili. Quasi 25 anni di carriera e non sentirli, in sostanza, è il motto di Shade side sunny side. Quando ormai non mi aspettavo più nulla che andasse oltre la stanca routine, mi hanno sorpreso come altri vecchi marpioni (Flaming Lips, Church) che ogni tanto tirano fuori la zampata di classe.
Sarà magari anche stato merito del ritorno in formissima della sei corde fondatrice di Dingman, ma il disco è bellissimo e una buona metà di esso indugia in durate chilometriche per i loro standard. L'opening da urlo, Glamour, è un purissimo ritorno alle origini. Intro oscura di feedback e synth inquietante, strofa minimal-dark e chorus da disgelo polare, si impone come uno dei migliori pezzi del repertorio intero. Lo spleen-pop in stile Aperture si manifesta in Underestimate, seppur con un suono più pieno e impreziosito dalle venature tastieristiche. La voce di Runnings, alla soglia della mezza età, non ha più il timbro dell'adolescente ma quello di un ventenne (!). Toni tranquilli e trasognati spezzano il ritmo in Why are you so angry e Spirit lake, perchè in fondo lo stato d'animo principale del disco è una malinconia parecchio agitata. La spietata Aftertaste è uno schiaffo a 5 dita in faccia ai giovani copioni della new wave di moda nel decennio. Le malsane ambientazioni dei nove minuti di Friendly fires vagano in una notte di guerra martoriata. Dingman spadroneggia in lungo e in largo, sembrando quasi più creativo degli esordi e ricorrendo spesso alla distorsione. Anche Quiet please sfiora la soglia del decino di minuti in una complessa articolazione di potenza e flussi elettromagnetici.
Nel mezzo di tutto questo, Runnings trova anche la maestria di piazzare una piccola perla pianistica come Game over, struggente e riflessiva fino a quando il trio non riprende ad esalare emissioni sulfuree.
Quel che si dice maturità...
Sarà magari anche stato merito del ritorno in formissima della sei corde fondatrice di Dingman, ma il disco è bellissimo e una buona metà di esso indugia in durate chilometriche per i loro standard. L'opening da urlo, Glamour, è un purissimo ritorno alle origini. Intro oscura di feedback e synth inquietante, strofa minimal-dark e chorus da disgelo polare, si impone come uno dei migliori pezzi del repertorio intero. Lo spleen-pop in stile Aperture si manifesta in Underestimate, seppur con un suono più pieno e impreziosito dalle venature tastieristiche. La voce di Runnings, alla soglia della mezza età, non ha più il timbro dell'adolescente ma quello di un ventenne (!). Toni tranquilli e trasognati spezzano il ritmo in Why are you so angry e Spirit lake, perchè in fondo lo stato d'animo principale del disco è una malinconia parecchio agitata. La spietata Aftertaste è uno schiaffo a 5 dita in faccia ai giovani copioni della new wave di moda nel decennio. Le malsane ambientazioni dei nove minuti di Friendly fires vagano in una notte di guerra martoriata. Dingman spadroneggia in lungo e in largo, sembrando quasi più creativo degli esordi e ricorrendo spesso alla distorsione. Anche Quiet please sfiora la soglia del decino di minuti in una complessa articolazione di potenza e flussi elettromagnetici.
Nel mezzo di tutto questo, Runnings trova anche la maestria di piazzare una piccola perla pianistica come Game over, struggente e riflessiva fino a quando il trio non riprende ad esalare emissioni sulfuree.
Quel che si dice maturità...
(originalmente pubblicato il 04/12/09)
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