giovedì 30 maggio 2019

Jesu ‎– Infinity (2009)

Uno dei dischi più ignorati di Jesu, e parzialmente bocciato persino da Broadrick stesso, che in un intervista lo dichiara un'esperimento non esattamente riuscito come pensava di poter realizzare. Si tratta di una suite di 50 minuti in cui condensa i concetti fino a quel momento brillantemente espressi sui primi due album, mentre lui lo ha elaborato pensando ad una cosa proggy (!).
Mi chiedo cosa avesse in mente di sviluppare, dato che per me invece si tratta di uno dei suoi massimi capolavori; 50 minuti emozionanti, che si articolano su 4-5 temi principali, concatenati ma non ossessivamente ripetuti. Una breve partenza elettronica, una seconda serrata dream-gaze con doppia cassa, poi un rallentamento parziale, un rapidissimo excursus godfleshiano con growl, un emotivo bridge e poi lo stop. 
E' il sogno; un riff sospeso nel vuoto che trasporta in un'altra dimensione. Qui Broadrick tradisce una grande influenza fino a quel momento pressochè insospettabile, che poi diverrà assodata su Ascension: i primi Red House Painters. E' l'inizio della fase slow-core di Infinity, che si dipana per 16 magici minuti. Gli ultimi 10 invece sono la fase ambient, con le scorie chitarristiche che si stratificano una sopra l'altra, su cui mi immagino Mark Kozelek che ascolta compiacente e benedice, pensando, bello, avrei voluto farlo io.
Beh, se questo è Broadrick-progging, prog sia. Ed è chiaro che l'esperimento non si ripeterà, perchè ha ben altro per la testa. Ma Infinity è una delle sue vette, e non m'importa se lo penso solo io.

martedì 28 maggio 2019

Screams From The List #83 - Dies Irae – First (1971)

Ruspante hard-blues da parte di una meteora tedesca; non ci fu mai un Second, per il quartetto di Saarbrucken. Forse il mondo non si è perso nulla, perchè dopo tutto l'output era abbastanza canonico: un hard-rock blueseggiante sanguigno e viscerale, molto british nell'impostazione, non resta decisamente un must per gli amanti dell'epoca, ma ciò che colpisce (oltre al fatto che uno dei componenti era quasi rasato a zero, una rarità assoluta per quei tempi) dopo 48 anni è la qualità assoluta del suono, grazie alla regia in cabina di Conny Plank, autentico deus-ex machina di una stagione irripetibile. Per quanto riguarda le tracce, risaltano quelle con un pizzico di psichedelia annessa, una vena che avrebbero potuto sviluppare in caso di continuazione: le scie galattiche della chitarra in Witches' Meeting e soprattutto l'ipnosi di Trip, che li vede protagonisti anche in un video delirante sotto l'egida della WDR. Erano tempi proprio ruggenti.

domenica 26 maggio 2019

Crass ‎– Yes Sir, I Will. (1983)

L'ultimo album dei Crass, il più estremo, il più selvaggio, il più parlato, forse il meno amato. Al termine della loro missione ne avevano di cose da dire, soprattutto per quanto riguarda la questione delle Falklands, su quella folle incosciente che governava il loro paese. 
Ovvio che la denuncia prevarica e distoglie l'attenzione dal suono, ma che suono; questo era puro free-jazz-punk, soda caustica come se piovesse. La facciata B, Taking Sides, è una tirata chilometrica impossibile da districare. E la A lo è poco da meno, anche se più canonicamente divisa in tracce. E cosa tirano fuori i Crass? Una ballad intimista per canto, piano ed archi, Speed or Greed?, che spezza il disco in due. Se fossero andati avanti anzichè terminare l'anno successivo, sono convinto che ne avremmo sentite delle belle, sotto tanti punti di vista. Ed oggi forse ci sarebbe ancora tanto bisogno di loro....

venerdì 24 maggio 2019

VV.AA. - Music And Migration (2010)

Valida antologia di una label inglese, la Second Language, specializzata in materiali neo-folk, cantautorati artigianati semi-elettronici e derivati. Curata fra gli altri da Glen Johnson dei Piano Magic, supporta un organizzazione benefica che monitora le migrazioni dei volatili in tutto il pianeta.
Contiene 21 tracce per altrettanti artisti, fra cui occorre segnalare senza dubbio i pesi massimi: Vashti Bunyan con una delicatissima delle sue, Xela con un divino echeggiante peregrinare dei suoi, Richard Skelton con una girandola panoramica Carousell, Library Tapes con un carrello pastorale e Leyland Kirby con un escursione light-dark-ambient in stile.
Il resto dei partecipanti non lo conosco, ma qualche bella scopertina c'è: David John Sheppard, Danny Norbury, Heather Woods, Lene Charlotte Holm (puro Grouper-style pianistico con qualche anno di anticipo), Fieldhead, tutti più o meno concentrati su materiali di questa caratura. Due/tre stecche nette ci sono, in ambito folk più canonico, ma ciò non toglie che si tratti davvero di una bella compilazione.

mercoledì 22 maggio 2019

Bernard Parmegiani ‎– La Création Du Monde (1986)

Con quell'aspetto così antico, difficilmente ci si sarebbe atteso un compositore così ardito. Invece il francese Parmegiani è stato un agitatore di suoni d'avanguardia coraggioso e proteso in avanti, oltretutto a partire dai 40 anni in poi, ovvero dai seventies, dopo un lungo apprendistato come ingegnere del suono e sonorizzatore di servizio. In quello che viene definito il suo capolavoro, composto a metà '80, Parmegiani concepisce una "musica" temibile, apparentemente atonale, ma costruita a puntino per stratificare stati d'animo e stimolazione di cellule cerebrali; lo spettro delle frequenze è sbilanciato verso l'alto, con le micropunte a conficcarsi come schegge, le oscillazioni paurose fanno sbalzare da una cassa all'altra. E' ovviamente un ascolto difficile (sono anche 73 minuti, per cui occorre una certa forza di stomaco), ma se si riesce a seguire il filo del discorso si viene premiati con un gorgo avvincente ed avventuroso.

lunedì 20 maggio 2019

Helios ‎– Veriditas (2018)

Kenniff svolta, lievita e levita leggiadro verso lo spazio. Una mutazione inaspettata, ma forse necessaria per il monicker che più ha fatto la gioia delle orecchie di chi lo segue. Dopo aver sfornato capolavori assoluti come Eingya, Caesura, e per ultimo Yume, l'occhialuto del Maine ha aspettato 3 anni per tornare decidendo di recidere con quello stile vincente. Veriditas è il suo disco new-age, in proporzione a quanto realizzato fino a ieri: zero beats/percussioni, chitarra soltanto in un pezzo su 12, poco piano, più che altro un ammasso formoso e vaporoso di synth. Rinunciando a qualsiasi dinamica ritmica, Kenniff si è librato in volo verso lo spazio, carico di Elio ma soprattutto di un austerità mai sentita prima nelle sue corde. Al primo ascolto non l'ho trovato gradevole, in tutta sincerità. Ma è dopo una rigorosa, ripetuta assunzione, che Veriditas trova il suo bandolo, rivela con parsimonia lampi di quel dono naturale che KK possiede, e che assumono maggior valore in quanto circondati da queste siderali e fredde arie.

sabato 18 maggio 2019

Lords Of The New Church ‎– This Is The House (Live 1982)

Questo è per chiudere un trittico, che va ad integrare i due precedenti tasselli: insieme agli Psychedelic Furs (uno dei primissimi post, nel 2007) e ai Wall Of Voodoo, This is the house fu l'altro cd bootleg della leggendaria Beech Marten che raccattai, se non ricordo male, a 1.900 del vecchio conio cadauno fra il '94 ed il '95. Se con le prime due band andavo abbastanza sul sicuro, con i Lords invece andai per tentativo: non li avevo mai sentiti nominare e non avevo modo di recuperare informazioni al volo, ma nome e copertina mi suggerivano un ambientazione piuttosto dark-wave. Mi sarebbe stato sufficiente vedere una loro foto per capire che l'impressione era sbagliata, ma per la cifra ridicola che avevo speso tanto valeva provare.
I Lords erano un quartetto di ex-punkers della prima ora che in sostanza non rinnegavano le radici come tanti eroi della new-wave, ma portavano avanti un suono spigliato ed effervescente, rifiutavano la tecnologia e le innovazioni dei primi '80, rifiutavano qualsiasi velleità di plastificazioni pur adattando i suoni di chitarra e basso ai canoni della grande ondata. Insomma, un riadattamento del 77's sound ad un livello più professionale, una strizzatina d'occhio a qualche concessione melodica ma l'attitudine restava quella, grazie anche alle doti istrioniche del cantante Bators.
Questo live li inquadra ad inizio carriera, ed è un set epidermico, onesto e rotolante. Non erano dei fenomeni (fare il confronto con gli Stooges è un po' impietoso, ma tant'è...), ma facevano il loro sporco lavoro con sudore e passione.
Ah, all'epoca il cd ovviamente non mi piacque, lo prestai a qualcuno a scuola e non rientrò mai a casa.

giovedì 16 maggio 2019

Rivulets ‎– Debridement (2003)

C'è stato un periodo, fra il 2002 ed il 2005, in cui Amundson era una colossale promessa del cantautorato. Le tele fragilissime dell'esordio rivelarono un talento intimista forse ancora acerbo ma con un potenziale enorme. Il terzo album, con la benvenuta crescita di arrangiamenti, non fu il capolavoro che ci si poteva aspettare ma segnava comunque una transizione. Nel mezzo, Debridement documenta fedelmente il passaggio incessante di flussi di coscienza agrodolci, ancora pressochè acustico, col fantasma di Nick Drake in vista e le orme di Mark Kozelek fresche fresche sul sentiero.
Il ragazzo purtroppo non ha rispettato le promesse; dopo You are my home, un lungo silenzio e poi solo dischi deludenti. Non è riuscito ad ergersi su un piedistallo importante, non è diventato un prode titano, ma quel trittico iniziale di nudità dell'anima non me lo scorderò facilmente. Non erano capolavori, ma espressioni di un umanità sconcertante.

martedì 14 maggio 2019

King Crimson ‎– Lizard (1970)

Un piccolo omaggio alle stagioni remote di Planet Rock, ovvero al suo esaurirsi: negli ultimi giorni della sua vita quei due assi di Mixo e Rupert trasmettevano pezzi di lunghezza dai 15 minuti in su, e la Lizard suite si stagliò imperiosa coi suoi 23 e tutto il caleidoscopio magnificente che trasporta. All'epoca del Re conoscevo soltanto il primo e così venni a sapere che c'era altro dopo l'Epitaffio e i discorsi al Vento. Inutile spendere parole su uno dei massimi capolavori del progressive, partorito da un ensemble che definire instabile è un eufemismo, in cui gli ospiti ebbero un importanza capitale, doppiato fra l'altro dall'opening Cirkus, uno degli psicodrammi più riusciti di tutto il Mark I di Bobby Fripp. Leggermente inferiori i restanti 3 pezzi, ma solo per questioni di impossibilità di pareggio.
Dopo tanti anni di non-ascolto, l'effetto è sempre quello delle prime volte; meraviglia.

domenica 12 maggio 2019

Cigarettes After Sex ‎– Cigarettes After Sex (2017)

A dispetto dell'immagine ombrosa e tutto sommato rude dei componenti, il quartetto americano dei CAS esegue in realtà un indie-dream-pop delicato e soffuso, curatissimo ed omogeneo in questo primo omonimo. Il chitarrista / cantante Greg Gonzalez, che detiene il marchio da una decina d'anni a seguito di massicci turnover in formazione, possiede un timbro vocale sottile e quasi femmineo, al punto che ascoltandolo a scatola chiusa lo direi più appartenere a donna mascolina che a uomo, e scrive canzoni con uno stampino fumoso ed illuminato, che prende su da Mazzy Star, Beach House e Slowdive con la consapevolezza di chi vuole provarci spudoratamente (basta leggere un'intervista per capire che razza di ruffiano è questo barbuto texano). E la stoffa sembra proprio averla; K., Opera House, Each Time You Fall In Love e soprattutto Apocalypse (ma che diavolo, non mi si stacca più dalla testa da un paio di giorni, maledetta...) sono piccole perle di manuale dream-pop che riscaldano il cuore e riconciliano col melodismo. E pazienza se l'ultimo terzo del disco perde drasticamente in qualità....

venerdì 10 maggio 2019

Slint - Live 1990-10-27 Wrocklodge - Louisville,KY

Il miglior bootleg che abbia sentito degli Slint. Non ce ne sono moltissimi in circolo, soprattutto quelli dei tempi originari, ma questo si ritaglia l'abusato termine "stato di grazia", oltre ad avere una qualità sonora di media superiore. In quella serata di autunno giocavano in casa, non erano profeti in patria ed il pubblico attivo sarà veramente stato sotto le 50 unità, a meno che tanti altri non fossero immobili con gli occhi rapiti e la bocca aperta per lo stupore.
La congiuntura temporale è decisiva: hanno appena finito di registrare Spiderland e McMahan palesa i segni di una depressione che di lì a poco lo porteranno a lasciare, mettendo la parola fine al mito. Spicca il primo titolo in scaletta, Snoopy: una piccola anomalia di poco più di un minuto, una specie di math-sigletta di poco conto, forse uno scherzo dei ragazzi per contrastare l'imminente, metafisica intro di For Dinner.... Il concerto salta regolarmente fra Tweez e Spiderland (peccato soltanto l'assenza di Washer) ed include anche una dilatata e micidiale Glenn. Unico neo (puramente tecnico) il taglio brutale ad un paio di minuti dalla fine di Good Morning Captain, che ci impedisce di godere il finale. Ma al contempo mi ha portato a rivedere il documentario del 2014, per cercare di capire qualcosa in più, invano.

mercoledì 8 maggio 2019

Foodsoon ‎– Somelove (2005)

Oggetto poco identificabile fuoriuscito da Montreal nel 2005 e titolare soltanto di questo promettente e caustico album. Trattavasi (credo si possa parlare al passato) di un trio chitarra-batteria-nastri, autore di un electro-noise-rock troppo abrasivo per piacere agli amanti dell'elettronica e troppo contaminato per piacere agli amanti del noise. In questa acida contraddizione stava il punto forte di Somelove, fatto di 18 brevi pezzi molto imprevedibili, che prendevano spunti sparsi dei grandi Aufgehoben, dei nostrani Starfuckers, dei dimenticati You Fantastic! e persino qualcosa dei Faust, per un complesso iconoclasta e casinista. Un contesto intellettualoide di fondo ma suonato in maniera brada e selvaggia per essere di avanguardia. Un'anomalia interessante rimasta isolata.

martedì 7 maggio 2019

Umberto Maria Giardini - Live Covo, Bologna 04/05/2019


Mia terza presenza ad un concerto di UMG, e l'ingiustizia prosegue senza pietà. Soltanto un centinaio di presenze sabato sera al Covo, per la tappa casalinga del tour di Forma Mentis. Non è che si spera in un exploit di popolarità da parte sua, soprattutto alla luce di un disco spigoloso (si fa per dire, almeno nelle sonorità) che l'ha fatto perlomeno rinascere dopo le risacche un po' stanche di Futuro Proximo. Ma il fatto che non raccolga consensi resta inspiegabile, a mio parere.
Un po' si spiega anche con l'età media del pubblico, che direi aggirarsi fra i 35 ed i 40 anni. Di certo Umberto non fa proseliti fra i più giovani, ed il suo prezioso cantautoriato resta radicato in un auto-classicismo che difficilmente subirà cambiamenti traumatici in futuro. Ma non c'è problema, ce lo teniamo noi, e anche stretto. 
L'acustica del Covo, si sa, è il suo punto debole. Lo scuro tunnel non favorisce l'impasto di un set che è fragoroso. Tant'è che dopo il 2/3° pezzo, Umberto chiede al pubblico se il volume è troppo forte. Ha ragione, è vero, ma è troppo educato e sensibile per insistere, e nessuno si sente di ammettere e fare outing che sì, i volumi sono assordanti e forse non basterebbe neanche arretrare di 20 metri per assaporarlo meglio. Per cui il pubblico risponde NO, lui sorride e dice Va bene, allora andiamo avanti.
Il trio che lo sospinge è valido. Il chitarrista, ormai fido da diversi anni, è chirurgico e ne apprezziamo le piccole varianti. Il batterista picchia forte, forse un po' troppo, ma è altrettanto preciso. Il bassista fa il suo, l'unico appunto è dovuto alle sue espressioni facciali...
Umberto è il solito, infallibile mostro vocale, e graffia forte anche con le sue Gibson, soprattutto con la SG.  Il repertorio è recentissimo, pesca soltanto dagli ultimi 3 album (neanche un estratto dalla Dieta dell'imperatrice, peccato....), ed ha il suo top nell'energetica accoppiata di Argo e Materia Nera, di gran lunga il frangente più alto di Forma Mentis.  
Dopo un ora e mezza di set, usciamo con le orecchie un po' tramortite nella fredda serata bolognese. Il Covo resta sempre una leggenda dell'alternatività felsinea, e gli vogliamo comunque bene.

 

lunedì 6 maggio 2019

Primus ‎– Sailing The Seas Of Cheese (1991)

Dovessi scegliere il capolavoro dei Primus, propenderei per questo caseificico album. Perchè media alla perfezione le asprezze e le sfuriate degli esordi con l'approccio un po' più serioso del proseguio, riservando la dose giusta di sense of humour. Forse per questo motivo è il loro disco più beefheartiano, ovviamente declinato al funk-metal, ricco com'è di trovate sghembe e geniali, e contiene alcune fra le loro tracce più memorabili (Jerry e Tommy, sarà un caso che le storielle su personaggi fossero le vette?). L'affettività poi recita un ruolo decisivo: lo possedevo in C60 sdoppiata da cd preso in prestito da qualche amico, e su Indies il video di Tommy The Cat era una gag irresistibilissima. E non si fecero mancare niente, neanche la mini-suite progressive Fish On. Una meraviglia che regge fortissimo i suoi quasi 30 anni.

sabato 4 maggio 2019

Phantomsmasher ‎– Phantomsmasher (2002)

Un anno dopo il varo del progetto, Plotkin rilanciava anche col nome: da spacca-atomi a spacca-fantasmi, per un vortice ancor più azzardato, un punto di non ritorno che infatti segnò la fine di questo lato sardonico ed impazzito del chitarrista; di lì a poco avrebbe fondato il più grande gruppo doom della storia.
Svariate soluzioni pervadono Phantomsmasher, che si lancia con un inedito glitch-grind, un elettro-metal per androidi, abrasivo ma persino raffinato a tratti (le linee chitarristiche pulite, dal gusto vagamente avant-wave), un art-core venato di follia digitale. Dopo qualche ascolto molti punti restano irrisolti: ma dove voleva arrivare Plotkin? In un bilancio complessivo, forse un filo inferiore ad Atomsmasher, ma che coraggio...

giovedì 2 maggio 2019

M.B. - Armaghedon (1984 - 2012 Reissue)

Un'unica, colossale, immane, gigantesca allucinazione sonora di Bianchi, l'ultimo titolo prima della pausa di 13 anni complice la svolta mistico-religiosa, accreditata come colonna sonora per un fantomatico film mai realizzato dallo stesso. 47 minuti, il massimo consentito dal vinile riempito come un uovo, con la solita sforbiciata brutale al termine, sostanzialmente un fermo immagine di Phaedra dei Tangerine Dream elevato all'ennesima potenza, che si sviluppa per ondate intercalate. Lato A più astratto, lato B più organico con una vaga parvenza di ritmo nel finale, e che vede persino la comparsa della voce, seppur ovviamente manipolata e distorta. Poco da dire, è un suono che ipnotizza senza compromessi e ti cala in un vortice ineffabile, col punto a favore del fascino vintage della bassa fedeltà, una lezione che risuona ancora oggi in tutto il mondo.